Gino Strada: diritto al cuore
Cosa significa essere una persona influente? Il Time stila annualmente la lista delle 100 persone più “influenti” dell’anno trascorso, nominando politici, cantanti, attori, giornalisti e così via. Qual è l’elemento di discrimine? E, soprattutto, occorre davvero essere celebrità per esercitare una certa influenza? Così mi sono interrogata mentre ragionavo su quali personaggi potessero davvero aver fatto la differenza in questo 2021.
Come sempre, non so se la mia forma mentis, o più semplicemente il mio cuore, mi portano a cercare le risposte alle mie domande nel solco filosofico lasciato da grandi e lungimiranti pensatori, tra cui uno tra i più enigmatici e affascinanti al tempo stesso, Georg Wilhelm Friedrich Hegel.
Il filosofo tedesco parla di alienazione, intesa come l’uscita dello Spirito dal soggetto verso il mondo esterno, il mondo naturale. In termini più semplicistici (gioia all’anima di Hegel!), il soggetto è portatore di un’idea, la quale si oggettiva nel mondo sotto forme concrete e percepibili grazie alla sua opera. Tuttavia, se il processo terminasse qui, l’alienazione risulterebbe incompleta, in quanto l’idea rimarrebbe vagante, persa nel mondo del molteplice fisico, proprio perché disgiunta dal suo creatore.
Un’alienazione completa e arricchente è, invece, quella che prevede, oltre ad un “andare”, un “tornare”: quando un’idea, un sentimento, una predisposizione, esce dal soggetto e si materializza, poi deve anche tornarvi. Lo Spirito si aliena nello spazio, produce una sorta di estensione del soggetto e, così facendo, produce la storia, tuttavia, solo nella riconquista dell’unità tra idea e ideatore, la storia si scrive e non si produce soltanto.
Ecco che, allora, mi è apparsa estremamente chiara la direzione che avrei voluto imprimere alla mia riflessione, nonché il motivo che mi ha fatto scrivere di lui, di Gino Strada, venuto a mancare lo scorso 13 agosto. Medico, attivista, filantropo italiano e fondatore, insieme alla prima moglie, Teresa Sarti, dell’ONG italiana Emergency.

Io credo che Gino Strada sia stato una persona che, tra poche altre, ha saputo realizzare l’alienazione hegeliana in termini positivi, cioè ha saputo lasciare al mondo qualcosa di concreto e trascendente da lui: la sua associazione, assieme a tutti i suoi volontari e tutte le persone soccorse. Tuttavia, la sua influenza vera e autentica non si esaurisce solo in questo “altro da sé”, ma, come afferma Hegel, si è cristallizzata soprattutto nelle sue idee e nelle sue intenzioni. In altre parole, in ciò che ne ha guidato l’azione e la vita e che, dopo la sua morte, continuerà ad ispirare anime affini alla sua.
Gino Strada nasce il 21 aprile 1948 a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale di Milano e si specializza in Chirurgia d’Urgenza. Per completare la formazione da medico-chirurgo, negli anni Ottanta si trasferisce negli Stati Uniti, dove vivrà per quattro anni per occuparsi di chirurgia dei trapianti di cuore e cuore-polmone; si sposta poi in Inghilterra e in Sud Africa, dove svolge periodi di formazione presso gli ospedali locali.
Nel 1988 decide di applicare la sua esperienza in chirurgia d’urgenza all’assistenza dei feriti di guerra. Negli anni successivi, fino al 1994, lavora con la Croce Rossa Internazionale di Ginevra in Pakistan, Etiopia, Thailandia, Afghanistan, Perù, Gibuti, Somalia e Bosnia. Nel 1994, l’esperienza conglobata negli anni con la Croce Rossa spinge Gino Strada, insieme alla prima moglie, Teresa Sarti, e alcuni colleghi e amici, a fondare Emergency, associazione indipendente e neutrale, nata per portare cure medico-chirurgiche di elevata qualità e gratuite alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà.
E il nome? «Lo scelsi io. Era l’aggettivo all’inizio d’Emergency-Life Support for Civilian War Victims.
Troppo lungo: l’aggettivo diventò sostantivo».1
Tra i paesi in cui Emergency e il suo fondatore hanno operato ricordiamo: Ruanda durante il genocidio, Cambogia, Afghanistan, Iraq, Eritrea, Kosovo, Sudan e Sierra Leone per l’emergenza ebola. Emergency ha curato oltre 11 milioni di persone, di cui 7 solo nella terra dei talebani.
«In Afghanistan, il sistema sanitario siamo noi».2
Così si pronunciò Gino Strada nell’intervista concessa al Corriere della Sera nel 2019, in occasione del 25esimo anniversario della fondazione di Emergency. In Afghanistan, la presenza e l’operato dei medici volontari sono stati essenziali, a fortiori considerando che tuttora tengono i piedi appoggiati su un terreno sul quale è ancora rinvenibile l’eredità di tutte le guerre precedenti: mine antiuomo e ordigni inesplosi continuano a mutilare bambini e adulti, soprattutto civili.
Lo scorso agosto, i talebani hanno ripreso il potere nel paese, dando luogo ad una preoccupante retrocessione in termini di democrazia e diritti fondamentali, determinando, di fatto, una sorta di sospensione del coprifuoco mediatico in riferimento all’Afghanistan, a noi tutti nota sotto la voce “2021”.
La situazione degli afghani è sempre stata a cuore a Strada, che non ha mai perso occasione per parlare e riflettere sulla situazione politica, sociale e sanitaria del paese: proprio l’Afghanistan era stato tra gli ultimi suoi pensieri. Porta, infatti, la data del 13 agosto l’articolo sul tema pubblicato su “La Stampa”, proprio nel giorno in cui il cuore di Gino Strada si è fermato per sempre. E, amara ironia della sorte, il fondatore di Emergency è venuto a mancare proprio quando le truppe talebane marciavano su Kabul, mentre si annunciava la fine di un governo democratico dai piedi d’argilla.
Forse, anche in questo senso, la vita e la persona di Gino Strada possono ritenersi inveterate nell’anno appena trascorso. Non solo perché il 2021 è l’anno in cui il suo nome è stato tristemente iscritto sulla lapide del famedio milanese, ma anche perché la sua alienazione hegeliana si è completata in un momento storico dagli eventi mestamente indimenticabili. Magari, il destino ha voluto cristallizzare l’eredità di valori e d’intenti di Gino Strada proprio quando ce ne fosse stato più bisogno, per ricordarci di non dimenticare, di non dimenticarlo. E per pungolarci a ripercorrere le sue orme, piede dopo piede, passo dopo passo.
Tracciando, dunque, i contorni di una vita profondamente impegnata e ragguardevolmente militante, ci apparirebbe perspicuo un comun denominatore: la propensione all’aiuto e al servizio. Un’esistenza dedicata nel concreto, non solo a ciarle, alla filantropia, id est ad un umanitarismo concreto ed incondizionato, vivificato da una tenace e totale opposizione alla guerra e a tutte le sue tanto drammatiche, quanto realistiche, oggettivazioni contingenti.
«Sessanta anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russell-Einstein: “Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”. È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano?»4
Gino Strada ha sempre tradotto i suoi principi in azione, esponendosi senza filtri e senza accidia in quella vexata quaestio che è la guerra. Ha saputo allineare valori e opere in un’atea religione del fare, votata all’immanenza delle relazioni umane, in un’operatività professionale di assoluta eccellenza e, in sé, trascendente il recesso delle brutalità belliche quotidiane e delle ingiustizie sociali.
«Non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio».5
La passione incondizionata di Strada non chiedeva passaporti o conversioni: rincorreva la vita là dov’era maggiormente in pericolo. La filantropia e la carità che Strada ha sempre cercato di riscattare in chiunque lo ascoltasse o incontrasse non ha, infatti, alcuna connotazione religiosa.
«Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare».
Non illudiamoci, rammenta Strada, di star facendo qualcosa di migliore o encomiabile, ogni qual volta aiutiamo, curiamo o doniamo. L’altruismo non dovrebbe essere uno sforzo, né tanto meno qualcosa da riconoscere o premiare: egli aiutava perché era giusto, non perché era prescritto o degno di lode.
Questa riflessione mi ricorda lo slogan di una campagna pubblicitaria lanciata nel 2006 da Emergency per far conoscere un nuovo ed importante progetto umanitario: la realizzazione a Khartoum (Sudan) di un grande ospedale regionale, dotato di un centro di cardiochirurgia di alto livello medico-scientifico. La campagna venne chiamata “Diritto al cuore”.

Mi piace leggere questa triade di parole secondo due diverse prospettive.
Innanzitutto, diritto al cuore è tutto ciò che colpisce, che “tocca i giusti tasti” e che, in un certo senso, scomoda perché scombussola, induce a ripensare se stessi e i propri orizzonti. Per certi versi, Strada e tutto il mondo di Emergency sono andati diritti al cuore: hanno scosso e hanno toccato con il loro operato privo d’orpello.
In secondo luogo, lo slogan si può comprendere anche sotto una luce “giuridica”. Il diritto al cuore costituisce, pertanto, al pari della libertà, della vita e dell’uguaglianza, un diritto fondamentale della persona. Chiunque abbia bisogno di cure ha il diritto d’essere assistito, ancor di più coloro che si trovano su di un terreno di guerra e rimangano ingiustamente coinvolti in quelli che, con faciloneria, vengono definiti “danni collaterali” dei conflitti bellici.
Mi piace, infine, pensare che il diritto al cuore del paziente si rifletta sempre nel diritto al cuore del medico. Dovrebbe essere naturale essere curati se feriti, così come, allo stesso modo, ugualmente naturale dovrebbe essere l’istinto di cura e di umanità nei confronti di chi ha più bisogno di noi, inteso come via maestra di realizzazione umana. Quest’ultima accezione racchiude, ancora una volta, il messaggio forse più importante lanciato da Gino Strada: l’incoraggiamento ad agire. Come ben scrive Il Riformista, il fondatore di Emergency ha lasciato a tutti il “vangelo del fare”, un’eredità che stimola a concretizzare sempre il diritto al cuore, per noi e per gli altri. Perché, come diceva Aristotele, “tertium non datur”: non è concessa una terza possibilità. O si agisce o non si agisce. O si predica o si fa.
«Quel che facciamo per loro, noi e altri, quel che possiamo fare con le nostre forze, è forse meno di una gocciolina nell’oceano. Ma resto dell’idea che è meglio che ci sia, quella gocciolina, perché se non ci fosse sarebbe peggio per tutti. Tutto qui».8
Il sito di Emergency, nella pagina dedicata al suo fondatore, reca come titolo: “Non esistono scommesse impossibili”. Per ogni qual volta siamo disposti a scommettere che la nostra piccola azione non possa apportare grandi modifiche al sistema, Gino Strada ci ricorda che, invece, aiutare è sempre giusto. Anche se sembra inutile, anche se sembra un’utopia.
«Non mi piace la parola “utopia”; preferisco parlare di “progetto non ancora realizzato”».9
Ecco che, finalmente, si fa più tangibile l’influenza più autentica di Gino Strada, che positivamente cominus et eminus ferit. Da lui uscì e a lui tornò la voce che ha dato forma ad un pensiero potente: la possibilità di un mondo in cui l’utopia è solo qualcosa che ancora non c’è.
L’utopia è semplicemente qualcosa che non è ancora accaduto, ma che accadrà, se c’è la forza di volontà, l’ambizione, ma, soprattutto, la determinazione naturale e priva di sussiego a tradurre l’universale diritto al cuore in atti di gratuito e disinteressato altruismo.
Bibliografia
- Dall’intervista che Gino Strada ha concesso al Corriere della Sera nel 2019, in occasione del 25esimo anniversario della fondazione di Emergency.
- Ibidem
- https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2021/08/13/news/cosi-ho-visto-morire-kabul-1.40594569/
- Dal discorso tenuto da Gino Strada nel 2015 a Stoccolma, in occasione del ricevimento dell’Alternative Nobel Prize
- Ibidem
- 6Ibidem
- https://www.ilriformista.it/leredita-di-gino-strada-lateo-buono-che-lascia-a-tutti-il-vangelo-del-fare-243286/?refresh_ce
- Lettera da un chirurgo di guerra, trascrizione da “Pappagalli Verdi”.
- Intervista a Che tempo che fa, Rai Tre, 18 novembre 2006.
di Marta Gatti
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