Nell’articolo precedente, Contro il postmodernismo ideologico, ho affrontato alcune delle contraddizioni riscontrabili nell’opinione pubblica contemporanea di sinistra, riconducendone gli schemi mentali alla filosofia postmoderna. Nello specifico, volevo dimostrare l’inconciliabilità di questa prospettiva proprio con posizioni “di sinistra”, purché con questo termine si intendano quei punti di vista dettati da un rigido determinismo sociale e dall’adesione dogmatica e indiscriminata a valori quali l’uguaglianza economica e sociale. Per farlo, ho seguito un percorso gnoseologico molto teorico, quindi indigesto. Spero, tuttavia, che la generosa quantità di esempi abbia alleviato una scrittura che, per essere chiara ed esaustiva, non poteva che essere articolata e complessa.
In questo pezzo, invece, mi propongo di approfondire alcune questioni apparentemente marginali rispetto all’attualità più scottante, benché indicative tanto della diffusione capillare del pensiero postmoderno, quanto della mancata accortezza che spesso lo caratterizza. Un paradosso lampante, dato un approccio, quello postmoderno, che mira alla sistematica messa in discussione della realtà per decostruire i preconcetti con cui la si interpreta. Anzi, talvolta la decostruzione diventa l’ideologia stessa, con l’imperativo di decostruire qualsiasi aspetto della realtà, come accade ad esempio in alcune forme di femminismo contemporaneo. Ma se tale messa in discussione diventa un obbligo, allora dovrebbe essere decostruita anch’essa, e così via, assumendo la proverbiale forma del cane che si morde la coda. Si vedrà in seguito come questa disamina si tradurrà nell’attenta analisi del conformismo latente alla temperie postmoderna contemporanea; ma procediamo con ordine.
Come ho già sostenuto nel primo articolo, per la sua natura avversa a qualsiasi apriori, il postmodernismo potrebbe essere una filosofia di straordinaria libertà e di spregiudicato spirito critico. Sradicando la ragione dal trono assegnatole dall’illuminismo e ponendola sullo stesso piano delle altre facoltà conoscitive (l’esperienza, la testimonianza, la morale), le ricerche postmoderne spesso si configurano come l’identificazione dei limiti dell’atto conoscitivo, spiegando più le ragioni per cui un fenomeno venga interpretato in un certo modo che il fenomeno stesso. Se mantenuto su un piano accademico-scientifico, il postmodernismo spiega che non esistono gerarchie assolutamente valide, e che l’argomentazione ha un valore maggiore rispetto alle supposizioni su cui si poggia e, forse, anche alla realtà cui si approccia.
Il problema sorge, semmai, quando tale dibattito si sposta nell’opinione pubblica, dove invece una gerarchia valoriale (se non conoscitiva) è necessaria, e almeno parzialmente inconscia. Con questo termine voglio dire che in ogni forma di convivenza sociale, le relazioni umane si articolano intorno a una serie di valori morali con diverse gradazioni di rilevanza. Ad esempio, pensando ad Antigone e a gran parte della tragedia classica, è evidente che nell’Antica Grecia la giustizia divina debba avere una posizione superiore a quella umana, previa la condanna e la morte di chi infrange tale regola. Ora, si presti attenzione: in una democrazia è ovvio che vi possano essere delle gerarchie concorrenti e conviventi, ma nella stragrande maggioranza dei casi tali gerarchie si sviluppano intorno allo stesso sparuto grappolo di questioni, che quindi rispecchiano un’ulteriore gerarchia morale rappresentante i bisogni, veri o presunti, di un’epoca. Per tale ragione, pur con esiti diversi, spesso si possono riscontrare una serie di parole d’ordine e di istanze condivise dall’intero spettro democratico, che travalicano le divergenze politiche anche per ragioni più o meno arbitrarie. Parlando di attualità, si possono menzionare i diritti civili, che hanno scalzato i diritti sociali anche nel lessico politico della sinistra1, oppure la sanità pubblica e la transizione ecologica, ormai condivise da quasi tutti gli schieramenti, pur con le dovute modulazioni.
In effetti, nella storia del pensiero, si è ripetutamente osservato che, pur garantendo teorica libertà, i regimi democratici tendono all’uniformazione dei comportamenti dei cittadini, un fenomeno volgarizzato nel termine “conformismo”. Da un lato, il pensatore francese Alexis de Tocqueville, discutendo sulla società statunitense del primo Ottocento, rileva come tendenze conformiste compensino la (sedicente) libertà assoluta democratica, attenuando il potenziale anarchico di questi presupposti2. Ad una legge giuridica che non pone limiti significativi alla libertà individuale, si sostituisce, dunque, una legge sociale, altrettanto stringente se non di più, che esclude dalla vita pubblica chiunque non si attenga ai dettami del buon senso condiviso, in questo caso borghese. Nel prossimo intervento cercherò di sviluppare le ricadute di tale prospettiva sull’arte contemporanea alla quale, a causa della sua circolazione nel mercato del capitale, viene richiesta una sempre maggiore adesione ai principi dell’opinione pubblica, soprattutto quella dei social.
Dall’altro, invece, nel suo celebre saggio Mensonge romantique et vérité romanesque, Réné Girard applica la sua teoria del desiderio triangolare alla storia politica dell’umanità. Secondo l’autore, il desiderio non è lineare- non mette, cioè, in relazione diretta il soggetto desiderante e l’oggetto desiderato; bensì crea un triangolo dove il mediatore (il modello di riferimento dell’io, sia esso umano naturale o divino) del desiderio gioca un ruolo fondamentale. Il dato più rilevante riguardo la sua natura è, inoltre, la sua caratterizzazione esterna o interna al soggetto desiderante, ovvero la sua possibile sovrapposizione con l’io che esprime il desiderio3.
Tagliando con l’accetta le sue sottili osservazioni, il filosofo sostiene che la nobiltà vera, quella in cui nobiltà genetica e morale si sovrappongono e che egli identifica con l’Italia umanistica e rinascimentale, era tale in virtù di un mediatore esterno posto ad un’incolmabile distanza dal soggetto. Rifacendosi a sistemi valoriali tanto consolidati da sembrare/apparire divini, i “veri” nobili imitavano in scelte e comportamenti un’“entità mediatrice” astratta. Questo equilibrio si spezza, però, con l’Assolutismo, dove il processo di imitazione investe il sovrano nella sua concretezza, avviando un inesorabile avvicinamento del mediatore, benché esso rimanga comunque esterno rispetto al soggetto desiderante. È il caso, molto noto, della corte di Versailles che ruotava intorno alla routine quotidiana del Re Sole. Le estreme conseguenze si vedono, invece, nel sistema democratico, dove, appunto, l’imitazione non riguarda più un ente unico e definito, bensì la categoria quanto mai liquida degli “altri” e quindi, in ultima istanza, se stessi, interiorizzando una mediazione ormai “vanitosa” e autistica.
Tuttavia, uno degli aspetti più interessanti della teoria politica di Girard è che questa società, apparentemente conformista, si rivela, in realtà, la più propensa ad opposizioni nette e a tendenze scismatiche. Poiché chiunque, volente o nolente, può diventare un polo della triangolazione del sentimento, e, dato che tale desiderio non può essere soddisfatto, nella società si creano una serie di tensioni latenti che scoppiano con l’identificazione di un capro espiatorio comune4. Pertanto, l’eguaglianza diffusa provoca una differenziazione indotta che si risolve in un conflitto volto a ristabilire una precaria armonia sociale fondata sul conformismo. In quest’ottica mi pare che si possano leggere alcune dinamiche dell’opinione pubblica di Internet. Si pensi, ad esempio, alle valanghe social scatenate dall’affossamento del DDL Zan oppure all’indignazione sollevata intorno alla voce “donna” della Treccani.
Pur trattandosi di temi delicati, in entrambi i casi c’erano alcune critiche sensate e ragionevoli che potevano essere accolte, divenendo parte integrante del dibattito. Penso, soprattutto, a punti tecnici che riguardavano la compilazione dell’enciclopedia e la sua stessa natura di dizionario d’uso, che spiegavano in larga parte la ragion d’essere di espressioni poco lusinghiere nella descrizione del lemma “donna”5. Nello specifico, pare che a determinare la presenza di termini quali prostituta, puttana, accompagnatrice ecc. nella voce della Treccani sia stata una questione puramente compilativa. Infatti, la finestra dedicata ai sinonimi si struttura in collegamento con le locuzioni presenti nella definizione del lemma, disposte imparzialmente in ordine alfabetico. Fra queste locuzioni, una delle prime era figlio di buona donna, che spiega la presenza dei termini sopra indicati nella voce del dizionario.
Inoltre, allargando il campo, bisogna ricordare che il Treccani è un dizionario d’uso, ovvero che registra l’utilizzo concreto della lingua e deve rendere conto delle specifiche applicazioni dei vari termini, anche quando essi non rispecchino più la sensibilità diffusa. D’altro canto, l’attivista Maria Beatrice Giovanardi, principale promotrice della polemica, ha comparato questa faccenda a quella, ben più problematica, della definizione di woman nell’Oxford Dictionary, dove la donna era identificata semplicemente come “a man’s wife, girlfriend or, female lover”. Il punto, però, è che c’è una radicale differenza tra una definizione lemmatica discriminatoria, quale quella del vocabolario britannico, e il riscontro scientifico di un utilizzo linguistico, per quanto condannabile. Senza poi contare che la missione scientifica dell’Accademia, in ogni sua forma, dovrebbe essere rendere conto del reale, e non modificarlo.

Questa discussione ci richiama ad un altro punto affrontato nel primo articolo: la crisi dell’autorità. In un mondo in cui la Verità assoluta non esiste, ma solo le sue specifiche narrazioni, l’autorità non viene più concessa in base ad argomentazioni razionali, considerate espressione del contesto socio-politico-culturale in cui si opera. Al contrario, la gerarchia conoscitiva si struttura in base agli slogan ideologici più recenti, favorendo chi (di)mostra di appartenere a un gruppo discriminato, o di difenderne le prerogative. Non si tratta, quindi, di un’autorità stabilita per competenze, conoscenze o meriti, ma per semplice adesione ideologica, rilevando qualche somiglianza con alcune forme di totalitarismo ben analizzate da Hannah Arendt6.
Potrebbe sembrare che questo problema sia astratto e limitato alla filosofia del diritto o alla prassi giudiziaria, ma non lo è. Al contrario, colpisce molti aspetti della vita pubblica. Non è un caso, infatti, che fra i primi a porvi l’accento sia stato Leonardo Sciascia7, scrittore quanto mai attento all’attualità, che non mancò di evidenziare molte perplessità in merito agli strumenti impugnati dai PM nella lotta alla mafia. In particolare, lo preoccupava il fenomeno del pentitismo, ovvero di quegli ex membri delle associazioni mafiose che, in cambio di sgravi penali o di garanzie di protezione, offrivano le proprie confessioni per incastrare gli esponenti della mafia locale. Accortamente, lo scrittore evidenziava come l’utilizzo della sola confessione, con cui i mafiosi potevano facilmente manipolare la realtà regolando alcuni conti interni, fosse non solo discutibile ma potenzialmente dannoso.
Ritornando al dibattito contemporaneo, problemi simili riguardano i casi di violenza sulle minoranze etniche e sessuali. Infatti, la legge non può basarsi esclusivamente sulla testimonianza delle vittime, poiché, in questo caso, si aprirebbe lo spazio all’arbitrio e alla manipolazione, potenzialmente con fini ricattatori o peggio, come testimoniato dall’ambiguo caso Amber Heard-Johnny Depp8. Allo stesso tempo, in questi contesti la legge è l’unico strumento esistente giacché, specie nel caso di violenze domestiche, le denunce vengono depositate con grande ritardo rispetto alle 48-72 ore, che garantirebbero la persistenza di segni clinici con cui attestare l’accaduto. Per non parlare, poi, delle violenze a stampo misogino, dove si instaura una dinamica di terrore, favorita dall’assenza di sistemi di sostegno o accoglienza delle vittime, per cui l’eventuale denuncia potrebbe aggravare la situazione. Ne emerge, dunque, l’esigenza di un rinnovamento dei sistemi giudiziari, che sappia garantire correttezza, protezione e, non ultime, migliori informazioni sull’incidenza di alcuni crimini, quali le discriminazioni che oggi rientrano nella categoria penale delle “violenze per futili motivi”.
Concludo con un rapido accenno al paradosso delle soluzioni proposte dalla “sinistra postmoderna” per far fronte, a livello legislativo, ai doppi-standard radicati nella cultura diffusa. Tacendo l’ovvia considerazione che, per modificare una cultura, non basti l’intervento legale ma serva un’azione culturale dal basso, le soluzioni impongono, di fatto, un nuovo doppio standard (anche qui, si vedano le quote rosa, il caso americano per le ammissioni dottorali ecc.). Si potrebbe anche sottolineare come, nel sottobosco dell’opinione pubblica, si stiano già creando dei doppi standard alternativi. Ad esempio, se il membro di una minoranza infrange la legge, ci si richiama alle sue limitazioni contestuali, ci si appella alla sua indigenza per sostenere la necessità del suo atto, con un determinismo deresponsabilizzante che farebbe rabbrividire anche Marx. Al contrario, se ad infrangere la legge (almeno su alcuni specifici temi) è un membro della maggioranza, o di quella fantomatica classe privilegiata definita solo in senso negativo, allora immediatamente le costrizioni, il contesto, l’influenza sociale smettono di esistere, e il crimine diventa un atto di pura volontà criminale. Insomma, perché la giustizia sia davvero “giusta”, bisogna evitare di cadere nella morsa del conformismo, che mina il potenziale democratico del postmodernismo tanto quanto la sua variante ideologica.
Note
- Consiglio la lettura del bell’articolo di Arianna Laura Savelli: https://rivistaeclisse.com/2021/11/18/diritti-sociali-e-diritti-civili-quale-femminismo-nel-capitalismo/
- Cfr. Alexis de Tocqueville, Démocratie en Amérique, Paris, Flammarion 2010.
- Cfr. René Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, Paris, Grasset 1961.
- Cfr. René Girard, La violence et le sacré, Paris, Grasse 1972.
- Rinvio qui ai due articoli da cui è partita la polemica: https://www.repubblica.it/cronaca/2021/03/05/news/parola_donna_treccani_lettera_maria_beatrice_giovanardi-290294721/ e https://www.repubblica.it/cronaca/2021/03/09/news/treccani_donna_oxford_dictionary_woman_zingarelli_maria_beatrice_giovanardi-291051577/.
- Cfr. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi 2004.
- Si vedano i numerosi interventi di Sciascia su Radio Radicale: https://www.radioradicale.it/scheda/114461/il-pentitismo-la-legge-premiale-lamministrazione-della-giustizia-i-radicali-servizio?i=1820049; https://www.radioradicale.it/scheda/16116/la-battaglia-per-la-giustizia-giusta?i=2763224; https://www.radioradicale.it/scheda/13983/i-problemi-della-giustizia-oggi?i=2771262; https://www.radioradicale.it/scheda/10614/terrorismo-le-norme-che-agevolano-il-pentimento-1982?i=2780064.
- Cfr. https://www.repubblica.it/spettacoli/people/2021/03/26/news/processo_depp_-_heard_il_tribunale_di_londra_contro_il_divo_di_hollywood-293847365/; https://www.vanityfair.it/people/mondo/2021/08/19/johnny-depp-vince-round-contro-amber-heard-processata-per-diffamazione-notizie-foto-gossip#:~:text=Johnny%20Depp%20vince%20un%20round%20contro%20l’ex%20moglie%3A%20Amber,Heard%20sar%C3%A0%20processata%20per%20diffamazione&text=Dopo%20che%20Amber%20aveva%20raccontato,da%2050%20milioni%20di%20dollari; https://www.tgcom24.mediaset.it/spettacolo/johnny-depp-vittoria-in-tribunale-contro-l-ex-amber-heardsara-processata-per-diffamazione_37031081-202102k.shtml.

di Francesco Vecchi
Studio Letteratura Inglese e Francese all’Università di Pisa e frequento la classe di Letteratura e Filologia Moderna, Linguistica presso la Scuola Normale Superiore. Nato nel 1998, mi ritengo liberale, volutamente anti-ideologico e soprattutto puntiglioso. Antipatico? Probabile, ma preferisco dire le cose come stanno. Amo la musica, il teatro, ovviamente la letteratura, e ho sempre nutrito un interesse sghembo per la politica.
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