In Germania si vive da soli
In Germania si vive da soli. Non è uno slogan, non è un’allarmante statistica sociale, ma una realtà quotidiana che si respira nelle strade silenziose di Berlino, nei corridoi ordinati delle case a Düsseldorf, nei vagoni dei treni dove ciascuno legge in silenzio o guarda fuori dal finestrino.
La solitudine è ovunque, e spesso non fa paura perché ha un volto ben preciso. Non è quella che si nasconde, che si sussurra, che si combatte con eventi forzati e socialità di plastica. È una solitudine discreta e dignitosa. Nelle grandi città tedesche è del tutto comune vivere in un monolocale senza sentire il bisogno di condividerlo e questa condizione è fatta di scelte, più che di abbandoni.
Il 20,3% della popolazione tedesca risiede in abitazioni occupate da un’unica persona, superando la media europea, che si avvicina al 16%. Ma la solitudine abitativa non è più un’eccezione legata all’età o alle circostanze: è diventata una forma abituale dell’esistenza urbana tedesca. Infatti, se un tempo vivere da solә era associato alla terza età, oggi riguarda giovani, studenti e studentesse e adultә single, ma c’è anche chi, pur essendo in una relazione di coppia, sceglie di mantenere il proprio spazio abitativo per sé. Non è raro, ad esempio, che due persone che sono in una relazione vivano in appartamenti separati, ognuno con il proprio spazio, i propri ritmi e la propria identità. Infatti, è opinione sempre più diffusa il fatto che vivere separati sia il segreto dietro a un rapporto felice e duraturo.
In un contesto culturale dove l’autonomia personale è un valore fondamentale, vivere da solә non è visto come un fallimento, ma come un’espressione di libertà. C’è un termine tedesco che aiuta a capire questa sfumatura: Alleinsein, che significa “essere da soli”, non ha la connotazione negativa che può avere Einsamkeit, ovvero la “solitudine” nel senso malinconico del termine.
Questo atteggiamento si riflette nei gesti quotidiani: le case sono curate nei dettagli, arredate per il comfort di una sola persona, le attività si svolgono spesso senza la necessità di compagnia e la socialità non è imposta, ma cercata con precisione.
A guardarla da vicino, la vita quotidiana in Germania sembra costruita per agevolare chi è solә. Le file scorrono ordinate, i trasporti pubblici favoriscono la discrezione, le conversazioni sono essenziali. Anche il design urbano, dalle panchine singole nei parchi agli scompartimenti silenziosi nei treni, sembra pensato per non costringere mai all’interazione, ma nemmeno per escluderla.
Per chi arriva da fuori, specialmente dai paesi più espansivi e rumorosi, questa compostezza può sembrare distaccata, persino fredda. Ma con il tempo si rivela come un sistema armonioso e non invadente.
Naturalmente, anche in un Paese che ha fatto della riservatezza una virtù, cresce la consapevolezza che l’isolamento sociale possa diventare un problema di salute pubblica. In Germania, la questione è ormai al centro di numerose ricerche e iniziative politiche: la ministra per la Famiglia Lisa Paus ha definito la solitudine “una sfida sociale”, paragonandola all’inquinamento e alla povertà. Studi recenti mostrano che circa sei tedeschi su dieci si sentono solә o subiscono gli effetti della solitudine, con punte più alte tra i giovani, la categoria più colpita anche per via dei segni profondi lasciati dalla pandemia di Covid-19, che ha interrotto i rituali di socializzazione più spontanei.
Prima del 2020, la fascia di età più colpita dalla solitudine era quella degli over 75, ma con il lockdown la situazione ha subito un cambiamento drastico. Infatti, adesso è il 31,8% dei giovani dai 18 ai 29 anni a subire gli effetti di questa condizione.
Tutto questo sta avendo risvolti piuttosto negativi anche a livello politico. Chi soffre di solitudine lamenta spesso una crescente sfiducia nelle istituzioni politiche. Il loro interesse nei cambiamenti riguardanti la società si fa sempre più sottile e, di conseguenza, la partecipazione alla vita politica e alle elezioni non è contemplata. Il rischio è quello di una democrazia che perde contatto con chi si sente invisibile, alimentando un circolo vizioso di disillusione e disimpegno.
È bene ricordare che vivere da soli e sentirsi soli non sono la stessa cosa, e confondere questi due concetti rischia di distorcere la percezione del fenomeno. In Germania, l’aumento del numero di individui che abitano da soli non ha portato a un parallelo aumento del senso di solitudine nella popolazione. Molte persone scelgono consapevolmente la vita autonoma come forma di libertà e indipendenza. In alcuni casi, questo può persino favorire il benessere, a patto che sia accompagnato da una rete sociale attiva. È quindi fondamentale distinguere l’isolamento sociale, che può essere involontario e doloroso, dalla solitudine abitativa, che per molti è una condizione desiderata e gestita.
Gli indicatori più rilevanti per valutare la solitudine, infatti, non sono il numero di persone in casa, ma la qualità dei legami sociali e delle opportunità di relazione.
Detto ciò, la solitudine in Germania è un fenomeno complesso, che non si esaurisce in un dato statistico o in un momento di crisi. È spesso normalizzata e riguarda anche chi fatica a trovare spazi di connessione reale all’interno di una società che valorizza l’autonomia e la riservatezza.
Questa questione non riguarda solo il presente, ma pone interrogativi sul futuro della vita urbana, dei rapporti umani e delle nostre priorità quotidiane. In Germania, come altrove, diventa urgente riflettere su come abitare meglio non solo gli spazi, ma anche le relazioni, perché scegliere di vivere da soli non dovrebbe mai significare sentirsi solә.
di Alice Borghi