Ogni tanto scompaio. Mi piace scomparire. Per pochi minuti, qualche ora, diversi giorni. Una volta in serata mi sono semplicemente assentato, senza dire nulla a nessuno, per poi riapparire dopo pochi minuti come se niente fosse. Una volta in pausa pranzo, con la scusa di una “passeggiata”, sono scomparso per due ore. A volte (raramente) stacco, e mi prendo qualche giorno in un posto che conosco solo io e non rispondo al telefono per nessun motivo (con l’unica eccezione della mia famiglia). Non è semplicemente voglia di stare solo, voglio proprio lasciare un buco. Voglio (nella maniera più disgustosamente narcisistica possibile) che la mia assenza venga notata, e che le persone intorno a me si preoccupino per me.
C’è un podcast su Spotify, occasionalmente lo ascolto, che si chiama The Vanished, e si occupa di casi di persone scomparse in circostanze misteriose. Vabbè, la maggior parte di questi casi si possono ricondurre a rapimenti, traffico di esseri umani, cose così. A me interessano i casi di persone che sono (o perlomeno sembrano) scomparse per loro volontà, che se ne sono andate. Magari abbandonando la famiglia, gli amici, i propri cari. Buttare via tutto e ricominciare daccapo, una nuova vita, senza nessun contatto con quella precedente. Vanished, appunto. Mi immagino di fare lo stesso, studio i posti migliori ai vari angoli del globo dove far perdere le mie tracce, fantastico di cambiare identità in qualche modo, cambiare mestiere, diventare un’altra persona. Mi sento un po’ come se alla fine la mia vita attuale fosse in qualche modo destinata a finire in questo modo, e le mie piccole “sparizioni” nella vita quotidiana siano semplicemente dei piccoli esercizi in questa direzione.
Mi interessa relativamente poco quello che sarò nella mia nuova vita. Chiaramente mi immagino di portarmi dietro abbastanza grano da non avere problemi economici, mi immagino un’esistenza tranquilla, a volte rurale a volte cittadina, in cui sono conosciuto nella comunità locale come il forestiero misterioso, sempre introverso e sulle sue ma con un passato di cui nessuno sa nulla. Ma la mia fantasia si concentra sempre su quello che accade nel vecchio mondo. Come reagirebbe la mia famiglia? Come reagirebbero i miei amici? Giacomo? Davide? Matteo? Come reagirebbe il mio capo? Come reagirebbe quella ragazza carina che mi sorride ogni tanto? Come reagirebbe quella stronza? Chi di questi mi dimenticherebbe subito? Chi mi piangerebbe a lungo? Chi mi verrebbe a cercare, in un qualche tentativo disperato di salvarmi dalla mia stessa follia?
Io non ho mai capito come mai abbia questo fortissimo desiderio. La mia vita è fantastica: non mi manca niente. Il percorso accademico è stato brillante, il lavoro ricco di soddisfazioni, la famiglia è benestante e disposta a supportarmi, ho un sacco di amici che mi vogliono bene e mi dimostrano affetto e disponibilità emotiva in una maniera che mi basterebbe non per una, ma per cento vite.
Eppure me ne voglio andare. Voglio fare male a queste persone privandole della mia presenza. Mi addormento la notte pensando a quanto tempo ci metteranno a riprendersi dopo la mia scomparsa, come se volessi metterle alla prova. Come se non mi fidassi del loro amore. Sotto sotto sono ancora così insicuro di me stesso da non riuscire a credere che ci sia qualcuno che possa davvero apprezzare la mia presenza nella sua vita.
Ho già usato la parola narcisismo, vero? Non riesco a non leggere questa mia fantasia come ad un modo per attirare l’attenzione delle persone che mi circondano. Me ne rendo conto durante le mie piccole fughe. Non riesco a trattenere un sorrisetto compiaciuto quando mi chiedono “dov’eri finito?”. Cazzo, sono diventato quel bambino che alle elementari si comporta da pagliaccio perché non riesce a vivere quando viene ignorato. Ho costantemente bisogno di attenzioni da parte di altre persone per non sentirmi inutile, come se il mio valore come persona dipendesse unicamente dall’opinione che gli altri hanno di me. Se passa troppo tempo tra un tuo messaggio e l’altro, è perché non mi stai pensando, mi stai dimenticando, non sono così importante per te dopo tutto, non sei così tanto affezionatə.
Non è che sono stacanovista perché mi piaccia il lavoro, sono stacanovista perché mi piace essere importante al lavoro. Mi piace che ci sia costantemente qualcuno che ha bisogno di me, che mi chiede aiuto nel fare le cose. Mi piace mostrarmi disponibile anche agli orari più assurdi, per far capire quanto ci tengo, ma faccio sempre ben presente che “sto giostrando mille cose insieme e ho solo dei ritagli di tempo a disposizione”. Mi faccio aspettare, mi piace essere desiderato, anche se è per un motivo futile come un problema tecnico. Mi piace avere l’inbox che esplode, così come le notifiche di Whatsapp/Instagram/Telegram. E soprattutto mi piace che la mia assenza pesi.
È incredibile quanta della mia autostima sia unicamente basata sul feedback positivo che ricevo dal mondo esterno. Tolta quella dimensione, la mia opinione di me si rivela spaventosamente misera, al punto da sentirmi costantemente inadeguato in un qualsiasi contesto per me nuovo. Ho ereditato, da diversi traumi infantili, una certa sudditanza psicologica, e attribuisco automaticamente tutti i problemi che mi ritrovo ad affrontare nelle relazioni interpersonali ad un mio essere fondamentalmente sbagliato, difettoso, disabile. Le persone che amo e che mi amano mi possono abusare, verbalmente o fisicamente, e anzi lo faranno prima o poi. Perché anche se inizialmente mi possono anche apprezzare, eventualmente si renderanno conto dei miei difetti, del fatto che sono sbagliato, e mi schiferanno. Vivo sempre nel costante terrore che l’amore sia una cosa temporanea, che può andarsene da un momento all’altro senza preavviso.
Mi sento come se io avessi costantemente addosso una maschera da “persona normale”, che nasconde al di sotto una natura umana altamente disfunzionale che fa solo finta di essere adeguata a vivere la vita insieme alle altre persone. Nel momento in cui questa maschera viene strappata, e l’inganno rivelato, e il mio interlocutore riesce a vedere la mia vera natura di subumano, di sgorbio, di abominio, l’unica cosa che riesco a provare è una profonda vergogna, la vergogna di chi ha deluso profondamente la fiducia riposta nei suoi confronti.
C’è anche questa vergogna nella mia voglia di sparire, ovviamente.
Forse è questo il motivo per cui sono introverso. Forse mi piace stare da solo perché la solitudine, anche se è un po’ vuota e triste, mi concede di essere libero dal perenne terrore di rapportarmi con gli altri. Non ho paura di deludere nessuno quando sono solo. Per questo motivo ho sempre letto molto, crescendo. I libri non mi hanno mai fatto sentire sbagliato. Si rivolgono a me senza giudicarmi o farmi male. I libri sono per tutti.
Non sono felice, nonostante tutto. Forse non mi merito le cose belle di cui la mia vita è ricca. Ma non riesco, nonostante sia in qualche modo cosciente del modo in cui funziona la mia testa, a non sentirmi unlovable, indegno di essere amato. Ho nascosto una personalità estremamente fragile e insicura dietro ad un’apparenza ben curata di un adulto responsabile dalle spalle larghe. E quando mi sento abbandonato torno a pianificare la mia scomparsa.
Anonimo
Illustrazioni di Maria Traversa
“L’altra faccia della Luna” è la nuova rubrica de L’Eclisse, una rubrica personale, in cui vogliamo mettere a nudo le ansie e la vita quotidiana di noi giovani.