Donna, vita, libertà è uno slogan utilizzato dalla popolazione curda per quanto riguarda le battaglie politiche per l’indipendentismo: in curdo, Jin, Jîyan, Azadî. Nell’ultimo periodo, però, questo slogan è stato rivendicato anche dai manifestanti scesi in piazza a seguito della morte di Mahsa Amini nel 2022. Il 28 ottobre 2023 è morta anche Armita Garawand: anche lei era stata aggredita dalla Polizia morale per non aver indossato bene il velo e l’aggressione le ha causato prima un coma e poi la morte cerebrale, una settimana prima di morire a Teheran in ospedale. Ma chi erano Amini e Garawand? Come si è arrivati a questa situazione?
La storia più recente dell’Iran ha origini intorno al 1979, anno di svolta per il Paese. Prima di allora l’Iran era una monarchia con a capo lo scià Mohammad Reza Pahlavi, il quale promosse diverse riforme (sia economiche che sociali), pur rimanendo un duro autocrate. Pahlavi si avvicinò sempre di più all’Occidente: nel 1955 firmò il Patto di Baghdad e strinse diversi legami con gli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguardava il petrolio. Durante il suo regno la dissidenza politica veniva duramente repressa e diversi esponenti religiosi furono esiliati. Uno di essi fu Khomeini, il quale nel 1963 organizzò una congiura contro lo scià. Tuttavia, tale congiura fu scoperta e Khomeini fu esiliato. In esilio a Parigi, continuò l’attività politica e divenne sempre più forte agli occhi degli iraniani, inviando in Iran i suoi discorsi tramite videocassette soprattutto nel biennio 1978-1979. Il popolo iraniano era stanco di vivere sotto una monarchia autocratica: allo scoppio delle proteste contro lo scià, il 1 febbraio 1979 Khomeini tornò in Iran. La folla in protesta accolse Khomeini come la nuova guida del Paese; egli assunse il potere come Guida suprema (o ayatollah), ossia capo religioso e politico del Paese. Fin da subito diede la caccia ai collaboratori dello scià, i quali furono uccisi, processati sommariamente o esiliati (procedure simili a quelle che lo scià aveva riservato all’élite religiosa solo qualche anno prima). Inoltre, Khomeini installò la sharia, la legge islamica, con un rigidissimo codice morale: tra le regole più dure vi erano l’obbligo di indossare il velo per le donne (1981) e il divieto di divorzio. Il primo aprile 1979 nacque ufficialmente la Repubblica Islamica dell’Iran, un regime teocratico sciita.

Proteste durante la Giornata internazionale della donna, Teheran, 1979 (Mohammed Sayyad)
Un elemento distintivo del regime iraniano è la Gasht-e-Ershad: un organo all’interno della Forza Disciplinare della Repubblica Islamica dell’Iran. Comunemente chiamata polizia morale, ufficialmente prende il nome di polizia “per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”. L’attuale organo nacque nel 2006 sotto la presidenza di Ahmadinejad. Queste forze sono facilmente riconoscibili: indossano divise verdi e girano per le città con camionette blindate. Proprio ciò che accade all’interno di queste camionette è ciò che ha scatenato le recenti proteste tra gli iraniani. Infatti, in queste camionette vengono aggredite, picchiate e a volte uccise le donne che hanno infranto le regole di virtù secondo i canoni del governo iraniano. Le persone più colpite sono appunto le donne che non indossano correttamente il velo.
Il 16 settembre 2022 Mahsa Amini è stata portata in ospedale in stato di coma dopo aver passato del tempo nella caserma della Gasht-e-Ershad a Teheran. Qual era la colpa di Masha Amini? Non aver indossato correttamente il velo, e per correttamente il governo iraniano intende secondo le regole morali. Mahsa Amini è stata uccisa dalle percosse e delle violenze che le sono state inflitte all’interno della caserma, ma secondo le autorità la ragazza è morta a causa di suoi problemi fisici preesistenti. Secondo il governo iraniano una ragazza di 22 anni, dopo essere stata fermata dalla polizia morale – nota per i suoi metodi non propriamente conformi ai diritti umani – e dopo aver passato del tempo all’interno della caserma per essere corretta del suo errore, sarebbe morta di cause naturali. Anche Al-Nashif, l’Alto Commissario ad interim dell’UNHCR (agenzia ONU che si occupa di rifugiati), ritiene che le circostanze della morte descritte dalle autorità siano dubbie.1 Per quanto la morte di Amini sia straziante, non è qualcosa di cui dovremmo sorprenderci: già nel 1973, nel codice penale iraniano, fu introdotto l’hijab obbligatorio in pubblico. La pena per averlo indossato male in pubblico sarebbe stata di 74 frustate. Sfortunatamente, non è quindi singolare il fatto che una ragazza sia morta a causa delle percosse della polizia morale, che cerca di far rispettare l’interpretazione del Corano promossa dai vertici dello Stato.

Polizia morale (Ebrahim Noroozi)
A seguito della morte di Masha Amini, migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro tali imposizioni e contro il governo oppressivo di Khamenei. Le proteste sono iniziate a Saqqez, nella regione del Kurdistan iraniano a nord del Paese, luogo di origine di Masha Amini. Si sono poi subito uniti soprattutto gli studenti delle università di Teheran e di Shahid Beheshti, fino ad arrivare a una diffusione capillare in quasi tutto il paese di proteste e manifestazioni. Le proteste sono arrivate anche nel centro spirituale sciita, la città di Qom. La demografia dei manifestanti è eterogenea: si manifesta indipendentemente dal genere, dall’appartenenza sociale e dall’età. Quello che si può osservare è che vi è una “combinazione di diverse lotte contro l’oppressione delle donne, contro la corruzione e la povertà, contro la discriminazione etnica, contro il fondamentalismo religioso, contro la Repubblica Islamica, contro il conformismo intellettuale e per la libertà politica contro il terrore di stato”.2 La polizia morale per anni ha egemonizzato la sfera della vita pubblica di milioni di donne iraniane e ha diffuso terrore e sentimento di persecuzione nella popolazione femminile del Paese. Non è la prima volta che si protesta in Iran su questi temi: una delle maggiori proteste degli ultimi decenni si tenne tra l’8 e il 14 marzo 1979 a seguito dell’introduzione delle regole dell’hijab. Le donne iraniane chiedono da ormai troppo tempo uguaglianza e democrazia.

Proteste in Iran, ISPI (dati aggiornati al 21/02/2023)
Nel 2020 GAMAAN, una fondazione indipendente e no-profit con base in Olanda, ha analizzato l’atteggiamento degli iraniani nei confronti della religione. La fondazione ha riscontrato che il 68% della popolazione intervistata credeva che le prescrizioni religiose debbano essere separate dalla legislazione statale.3 Inoltre, il 58% non credeva nell’uso dell’hijab; mentre un 72% non riteneva opportune le leggi che ne impongono l’uso.4 Secondo questa survey, quindi, solo circa un 15% crede nell’obbligo del velo per le donne. Non è quindi un caso che il gesto diventato simbolico di questa ondata rivoluzionaria sia proprio l’azione di togliersi l’hijab in pubblico, di bruciarlo o di tagliarsi i capelli.
Quello che i manifestanti vogliono è sicuramente un senso di libertà che la Repubblica Islamica non può loro concedere. Sempre secondo GAMAAN, in risposta alla domanda “Repubblica Islamica: sì o no?”, l’81% degli iraniani (che vivono ancora nel Paese) ha risposto “no”. Indiscutibilmente, tra le principali richieste dei manifestanti, c’è l’eliminazione dell’obbligo del velo, una maggior apertura verso la laicità dello Stato e un incremento delle libertà personali e dei diritti civili. Gli iraniani, e soprattutto le iraniane, non hanno semplicemente più voglia di subire repressioni violente da parte del governo. Tra le altre motivazioni che spingono le rivolte vi è la pesante crisi economica: il tasso di disoccupazione all’interno del Paese oscilla intorno all’8%.5
Quindi, il 16 settembre 2022 fu uccisa Masha Amini: cinque giorni dopo, il 21 settembre 2022, il governo iraniano bloccò la messaggistica e i social media nel Paese (parliamo principalmente di WhatsApp e Instagram). L’interruzione dell’accesso a Internet nel Paese era (ed è) funzionale per evitare la diffusione delle notizie intorno alla morte di Amini, per paura che la verità intorno alla sua morte si potesse diffondere tra la popolazione e soprattutto per cercare di limitare l’entità delle proteste. Inoltre, a seguito delle manifestazioni, si sono susseguite diverse ondate di esecuzioni, sentenze arbitrarie e arresti. A dicembre 2022 la magistratura iraniana ha annunciato di aver eseguito due condanne a morte di manifestanti: le vittime si chiamavano Mohsen Shekari e Majidreza Rahnavard, la loro colpa era “l’inimicizia contro Dio” (moharebeh).6 Sfortunatamente, i due manifestanti non sono stati gli unici ad aver subito la pena di morte per aver osato criticare il governo. Amnesty International, nel rapporto sull’Iran del 2022-2023, ha denunciato il fatto che le autorità iraniane abbiano negato l’ingresso nel Paese a esperti indipendenti delle Nazioni Unite e a diversi osservatori internazionali, garantendo il diritto di entrata solo al Relatore speciale sull’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sul godimento dei diritti umani.7
Il governo iraniano, a seguito delle proteste, non ha solamente ucciso o arrestato manifestanti, ma ha anche attuato politiche più subdole – o quasi. Da novembre 2022, migliaia di studentesse iraniane sono state intossicate mediante sostanze gassose mentre erano a scuola. I dati ufficiali indicano come più di 13.000 studentesse abbiano dimostrato sintomatologia da intossicazione e richiesto cure: ciononostante, il Ministro della Salute ha sostenuto che “più del 90% dei problemi di salute è causato da stress o è stato inventato”.8 Conseguentemente, molte famiglie hanno deciso di non mandare più a scuola le loro figlie per non rischiare che possano morire o ammalarsi gravemente: l’obiettivo di limitare i diritti delle donne e bambine da parte del governo risulta ancora una volta vincente.

Avvelenamento studentesse (Fonte: ISPI)
Poco più di un anno fa, il 3 dicembre 2022, Mohammad Jafar Montazeri, il procuratore generale, dichiarò l’abolizione della polizia morale: dal governo e dai funzionari religiosi però non è ma arrivata nessuna conferma. Inoltre, nonostante tali dichiarazioni, la polizia morale è tornata attiva nell’estate del 2023, più precisamente a luglio. Poco più di un anno dopo la morte di Amini, più precisamente il 28 ottobre 2023, è morta un’altra ragazza: il suo nome era Armita Garawand. Garawand aveva 16 anni, era originaria di una regione a minoranza curda (proprio come Masha Amini) ed era stata ricoverata nell’ospedale Fajr di Tehran il 1 ottobre: una settimana prima di morire era stata dichiarata in stato di morte cerebrale. Anche lei era stata aggredita dalla polizia religiosa in metropolitana a Teheran perché non indossava correttamente il velo.9 Ancora una volta, le autorità iraniane sostengono che Garawand avesse avuto un malore all’interno della metropolitana. Le circostanze della sua morte sono particolarmente interessanti, poiché vi è un filmato in cui si vede la ragazza entrare nel vagone del treno, per poi venire dopo qualche minuto trascinata fuori dal treno e portata all’ospedale con gravi lesioni cerebrali. Contrario alle tesi delle autorità vi è anche un video pubblicato sui social dall’attivista iraniana Masih Alineiad, in cui si vede una donna della polizia morale dire “sì, abbiamo ucciso Armita Garawand” e che “se lo meritava” a causa del modo in cui indossava il velo.10
Le proteste in Iran sono state indubbiamente un simbolo degli ultimi anni: è interessante capire che cosa succederà (se succederà qualcosa) nei prossimi anni e se ci saranno dei cambi strutturali all’interno della società e della politica iraniana. Probabilmente un’analisi di questo tipo sarà possibile a distanza di diversi anni: valutare oggi se le proteste del 2022 abbiano segnato un forte e radicale cambiamento. Sicuramente ciò che hanno dimostrato è che la popolazione iraniana – o almeno una parte di essa – è disposta a scendere in piazza per maggiori diritti e richiede un livello più alto di democraticità nel Paese.
Note
- 6 grafici per capire le proteste in Iran | ISPI
- Donna, Vita, Libertà: perchè l’Iran è in rivolta e cosa può accadere
- IRANIANS’ ATTITUDES TOWARD RELIGION: A 2020 SURVEY REPORT
- Ibidem
- Principali indicatori economici (IRAN) – aggiornato al – infoMercatiEsteri
- 6 grafici per capire le proteste in Iran | ISPI
- Iran: le violazioni dei diritti umani accertate nel 2022
- Iran: milioni di studentesse a rischio di avvelenamento – Amnesty International Italia
- La morte di una ragazza – Internazionale
- Iran, funzionaria polizia morale: Abbiamo ucciso Armita Garawand, se lo meritava. VIDEO | Sky TG24

di Bianca Beretta
Mi chiamo Bianca e frequento International Politics, Law and Economic all’Università degli Studi di Milano. Mi interesso in particolare di geopolitica e diritti. Nel tempo libero amo leggere, fotografare e fare canottaggio.