Verso un nuovo genere di museo
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Il museo dedicato allo scrittore George Gordon Byron è stato inaugurato a Ravenna il 29 novembre 2024, in seguito a un lungo processo di restauro e modernizzazione. A dimostrazione della sua importanza internazionale, è stato visitato lo scorso 10 aprile dalla regina Camilla, in occasione del viaggio dei reali d’Inghilterra in Italia. Tra le case del centro storico di Via Cavour, è facile riconoscere il bellissimo Palazzo Guiccioli, che stupisce il visitatore con le sue decorazioni in stile neoclassico e sembra il luogo perfetto per ospitare la collezione. Il giardino interno, visibile dall’imponente ingresso, invoglia ad entrare ed una volta iniziata la visita si scoprono le piccole, accoglienti e raffinate stanze che racchiudono l’esposizione. La sontuosa casa dell’Ottocento (oggi sede anche del Museo del Rinascimento e delle Bambole) è caratterizzata da un forte legame con l’artista. In origine, infatti, è stata la dimora di Teresa Gamba, moglie di Alessandro Guiccioli (conte ravennate), e poi amante di Lord Byron. Negli anni la contessa ha collezionato oggetti tra cui lettere, ritratti, opere letterarie e altro, che i due si sono scambiati durante la loro relazione amorosa e che oggi costituiscono la collezione.
Lord Byron trascorse buona parte della sua vita in Italia e raggiunse a Ravenna la pienezza della propria espressione poetica. Nella città romagnola compose le opere Don Juan, Marino Faliero, Sardanapalus, The two Foscari, The Prophecy of Dante. Proprio quest’ultima opera è stata dedicata alla sua amante, scrittrice e, a sua volta, interessata al padre della letteratura italiana. Proprio per l’attaccamento dell’autore alla città sono esposte varie edizioni di queste opere, oltre ad altri oggetti cari a Teresa Gamba, tra cui il suo busto realizzato da Lorenzo Bartolini, gioielli, lettere e doni.
La collezione si distingue nel panorama museale italiano per l’inserimento di installazioni interattive, che descrivono episodi della vita di Byron o danno voce ad alcune citazioni. I gesti sono semplici: aprire una teca, prendere una piuma da un calamaio, sedersi su una riproduzione di un divano d’epoca o inserire delle lastre di vetro in un proiettore. Successivamente, una voce fuoricampo crea l’atmosfera e una proiezione di immagini integra la narrazione. Questo modo di arricchire la collezione è sicuramente innovativo e fa parte dell’evoluzione dei musei verso un’epoca sempre più improntata sul digitale e sulla tecnologia. Infatti, se nei musei più tradizionali le collezioni sono solitamente integrate da pannelli descrittivi, al Museo Byron questi sono sì presenti, ma solo per indicare nello specifico a quale episodio della vita dell’artista è dedicata la sala che si sta visitando; le narrazioni più specifiche compaiono solo dall’interazione del visitatore con l’ambiente.

È sicuramente un approccio diverso che il visitatore deve avere nei confronti della mostra e può essere, per questo, vantaggioso. Può incrementare l’interesse verso la materia, pur permettendo di ascoltare solo le storie o gli approfondimenti a cui si è interessati. I bambini, avendo la possibilità di ascoltare e vedere, oltre che di approcciarsi in maniera passiva agli oggetti esposti, possono essere coinvolti di più, come anche le persone con disabilità visive o uditive, che avrebbero la possibilità di percepire maggiormente la narrazione rispetto a un’esperienza in un museo tradizionale. Questo tipo di installazione può avere un risvolto positivo anche per il museo: esso si mostra originale e, inoltre, ha la possibilità di integrare la piccola collezione con attrazioni differenti.
Tuttavia, è un sistema narrativo che può non sempre essere efficiente, a partire dal fatto che è evidente come queste installazioni possano essere utilizzate solo in piccole mostre e collezioni. Immaginandoci un museo di grandi dimensioni come il Louvre di Parigi o i Musei Vaticani, ci appare subito chiaro come questa organizzazione e modalità di narrazione non possa funzionare.
Infatti, ogni narrazione interattiva può essere utilizzata solo da una persona alla volta e, nonostante duri pochi minuti, non è difficile immaginare la fila di persone che si creerebbe in un museo di tale grandezza e/o con una così grande affluenza. Per questo palazzo Guiccioli, a differenza di altri spazi, è senz’altro adatto: le piccole ma numerose stanze, non troppo stipate di oggetti, consentono il fluire relativamente rapido delle persone e permettono di dedicare ogni stanza a una singola narrazione interattiva incentrata su uno specifico tema o episodio. In questo modo, un visitatore nella prima stanza non è disturbato da un altro in una stanza successiva.
Ad ogni modo, come ogni cosa, soprattutto se innovativa, è possibile che sia accolta da pareri discordanti a seconda del visitatore. Mentre un esperto della materia andrà ad interessarsi a singoli elementi e magari eviterà di ascoltare una citazione di Byron tramite la narrazione interattiva, al contrario, una famiglia o una persona poco esperta, ma interessata, potrebbe trovare più coinvolgente l’atmosfera accogliente ed immersiva e le piccole stanze dedicate a singoli approfondimenti.
Quindi, la scelta di adottare questo tipo di organizzazione dipende anche dal possibile pubblico a cui ci si andrà a rivolgere, oltre che dagli spazi a disposizione e dalla grandezza della collezione, onde evitare scomodità durante la visita.
Nonostante i lati positivi e negativi che si possono cogliere, è certo che questa sia una delle varie innovazioni dell’ultimo decennio, che ci spingono a modificare gli ambienti museali e a cambiare la nostra concezione di museo o di esposizione. Infatti, il museo Byron non è un caso isolato in Italia. Un altro museo che ha scelto un percorso espositivo improntato sulla tecnologia è il Museo Federico II – Stupor Mundi a Jesi (AN). Dedicato alla figura storica di Federico II di Svevia, la collezione ne esalta non solo il racconto biografico immerso nel panorama della sua epoca, ma anche il significato del soprannome (Stupor Mundi), datogli per la grande curiosità intellettuale che lo contraddistingueva. L’intera esposizione è incentrata su un percorso interattivo e tecnologico, composto da ricostruzioni scenografiche e tridimensionali, installazioni multimediali, proiezioni di immagini, anche animate, tratte da miniature medievali; e poi ancora olografie, ricostruzioni di oggetti, costumi e luoghi. Quindi, nonostante ci siano pochi oggetti storici, le sedici stanze regalano un’esperienza immersiva e multisensoriale, che sfrutta le nuove tecnologie per coinvolgere di più il visitatore[1].
Un altro esempio è il MAUA – Museo di Arte Urbana Aumentata, che è nato per valorizzare i quartieri periferici di Palermo, ma oggi è presente anche a Torino, Milano, Brescia e a Waterford (Irlanda). Uscendo totalmente dall’idea di museo tradizionale, il MAUA è a cielo aperto e si basa sulla street art presente nei quartieri periferici delle città sopraelencate. Tramite l’applicazione Bepart, le opere prendono vita grazie alla realtà aumentata e permettono di valorizzare aree spesso non frequentate dai turisti, mentre si dà visibilità ad artisti di strada spesso sconosciuti[2].
L’iniziativa è stata così tanto apprezzata da ricevere numerosi premi, tra cui il Digital Award – MEET the Media Guru nel 2017[3], il Premio Turismo Sostenibile della Camera di Commercio di Milano nel 2019[4] e il Premio Innovazione Culturale della Fondazione Cariplo nello stesso anno[5].
Per finire questa rassegna dei musei più innovativi in Italia, è doveroso parlare del Vittoriale degli Italiani, la casa-museo del poeta Gabriele D’Annunzio. Sebbene la parte tecnologica sia molto ristretta in confronto ai due musei precedenti, in realtà è presente un’attrazione in particolare che proietterà il visitatore, allo stesso tempo, sia nel passato che nel futuro. Si tratta dell’ologramma di Gabriele d’Annunzio, che, come ha annunciato il direttore della casa-museo Giordano Bruno Guerri , è stato inaugurato il 3 maggio[6] tramite l’intelligenza artificiale e sarà sia in grado di dialogare con i visitatori, sia di rispondere a ogni loro dubbio sulla vita di d’Annunzio e sulle sue opere.
Inutile dire che con l’avanzamento tecnologico, che sembra inarrestabile, anche i musei e le mostre cerchino di stare al passo.
Saranno sempre innovazioni positive? O forse in alcuni casi sarà meglio rimanere vicini alla tradizione?
Infatti, queste novità cambieranno inevitabilmente il rapporto che abbiamo con ciò che resta del passato e, quindi, l’importanza che gli diamo. Gli schermi a cui siamo sottoposti costantemente durante le nostre giornate hanno già modificato il modo in cui percepiamo notizie e contenuti e l’importanza che attribuiamo a questi. Abbiamo sviluppato una vera e propria dipendenza, tanto che cerchiamo di mettere sempre più dispositivi in tutte le parti della casa e negli ambienti lavorativi. Così, anche nei luoghi dedicati alle nostre passioni si sta realizzando questo cambiamento, proprio perché diventa un’attrazione: la nostra mente lo trova sempre più interessante ed è attratta da luci, movimento, immagini… È inevitabile che si dia più attenzione a ciò, piuttosto che ad oggetti immobili, polverosi e spesso per noi incomprensibili.
Chi si ferma più a leggere una didascalia quando c’è un video o un supporto digitale che lo spiega in maniera più veloce e chiara? È proprio la necessità di velocità e novità che ci porta ad essere annoiati di fronte alle esposizioni, se non c’è un modo per interagire con esse.
Si spera che, nonostante tutte le innovazioni che possiamo inserire nel mondo dell’arte e dei musei più in generale, l’elemento esposto avrà sempre un valore storico e culturale molto più alto, che però, forse, sarà in parte oscurato dalle sempre più futuristiche installazioni moderne.
Note
[1] Museo Federico secondo stupor mundi – experience museum, Federico Secondo Stupor Mundi, 2024.
[2] Museo di arte urbana aumentata, MAUA, 2024.
[3] A Milano il primo museo di arte urbana aumentata, Corriere della Sera, 2017.
[4] E. Ferrara, A Maua il Premio Impresa 4.0 Turismo sostenibile E responsabile, MAUA, 2019.
[5] Street art 2.0, Fondazione Cariplo, 2019.
[6] Dal vate all’avatar: L’ologramma di D’Annunzio Al Vittoriale, Arte Magazine – Il quotidiano di Arte e Cultura, 2025.

di Elena Floris
Sono nata nel 2005 in Sardegna, ma la passione per l’arte mi ha portata fino a Ravenna per studiare Beni Culturali all’Università di Bologna. Mentre cerco di godermi a pieno la vita universitaria assieme ai miei amici, mi piace tenermi aggiornata sugli ultimi articoli delle grandi testate giornalistiche dedicate alla cultura, scrivere, visitare mostre e musei e immergermi nel mare che bagna la mia terra. Di tanto in tanto sogno e progetto il mio futuro, di cui l’unica cosa di cui sono certa è che l’arte ne farà parte.