Papà e mamma sono invecchiati
Mentre cercavo la felicità
Vivono soli in case giganti
Mentre io cerco la felicità
Qualche volta vorrei andare a trovarli
Ma mi organizzo sempre troppo tardi
Perché cerco la felicità
senza trovare la felicità
Giovanni Truppi, La felicità, “Infinite possibilità per esseri finiti”
Si è da poco conclusa l’XI edizione di In-Philosophy Festival, il festival di filosofia a Ischia, ideato e diretto da Raffaele Mirelli, che dal 2015 è polo attrattivo per importanti accademici e aspiranti filosofi e filosofe. Le riflessioni del festival ruotano, ogni anno, su un tema diverso. Il tema del 2025 era la felicità, affrontata da diverse prospettive spesso legate al rapporto con la tecnologia e, più specificamente, con i social network.
Apparentemente, oggi la felicità è ovunque: la si cerca, la si misura, la si condivide. Gli algoritmi la anticipano, le app la monitorano, i social la promettono. Eppure, appare sempre più evanescente, disincarnata e ridotta a scariche dopaminiche. In-Philosophy, dunque, vuole porre degli interrogativi più profondi, domande universali: cos’è realmente la felicità oggi e dove si trova? Sta nell’accumulo e nell’eccesso? O è uno stato di consapevolezza che si trova nelle piccole cose della vita quotidiana? Queste sono solo alcune delle domande emerse cui, invece di provare a rispondere, si è lasciato loro il permesso di interrogare e lasciar attraversare i partecipanti. In un mondo dove non solo rincorriamo continuamente la felicità, ma soprattutto la certezza, aver coltivato il dubbio è stata una piccola rivoluzione.
Gli eventi, aperti gratuitamente al pubblico, si sono snodati per tutto il mese di settembre, trasformando l’isola in una vera e propria fucina di idee. Tuttavia, è nei giorni del 25, 26 e 27 che si è concentrato il programma più fitto, con conferenze e le lectio magistralis di Paolo Ercolani, Silio Bozzi e Vito Mancuso.
Paolo Ercolani, filosofo, giornalista e docente di Filosofia, ha esplorato il modo in cui gli algoritmi costruiscono e vendono una falsa promessa di felicità, orientando i nostri bisogni e desideri verso qualcosa che non ha reale consistenza. Nella sua conferenza ha offerto una contro-narrazione rispetto all’idea diffusa che basti usare bene i social per sfruttarne il potenziale. Se è vero che queste piattaforme hanno aspetti positivi, è altrettanto vero che essere immersi in esse senza strumenti per gestirle o proteggersi dai rischi può risultare non solo nocivo, ma persino pericoloso. La forza dell’intervento di Ercolani sta proprio nell’aver saputo stimolare una riflessione sulla realtà digitale in cui viviamo oggi, senza demonizzarla, ma acquisendo consapevolezza del suo potere. In questo contesto anche la felicità appare sempre più artificiale, individuale e costruita ad hoc sui nostri bisogni. Ma è davvero possibile essere felici in questa bolla che ci isola e ci conferma continuamente nelle nostre scelte e convinzioni? Si può essere felici da soli?
Bozzi, criminologo, ha proposto una prospettiva inedita sulla felicità, che la vede legata alla scena del crimine: tragica eppure affascinante, capace di farci riflettere sulle ambiguità della felicità e sul nostro bisogno di giustizia. Anche qui, le domande sono state molte e complesse. Un killer che soddisfa i suoi impulsi può dirsi felice? E cosa si può dire della felicità di una famiglia che riceve giustizia? E ancora, chi risolve un caso è davvero felice? Personalmente, il talk di Silio Bozzi mi ha fatto riflettere anche sulla nuova moda dello storytelling true crime e sul paradosso che essa genera: la “felicità” dello spettatore nel seguire una storia che non è finzione, ma realtà, e parla di morte. Quanto stride questo con l’idea di felicità?
Mancuso, teologo, filosofo e saggista, invece ha raccontato, intrecciando alla filosofia la sua esperienza personale, il cammino verso la gioia: non emozione fugace, ma piena disposizione alla vita. Il suo è un invito a guardare la vita come un dono che tiene in sé anche dolore e sofferenza, mostrando come la felicità possa emergere proprio attraverso questi momenti. Da questa riflessione è emersa una felicità dialettica, un percorso non sempre facile e spesso contraddittorio che si discosta dal racconto di quest’ultima come uno stato di assoluta armonia.
Lo spirito del festival è quello di aprire la filosofia a spazi più ampi di quelli esclusivamente accademici, per restituirla a tutti come pratica di vita. L’obiettivo è alimentare la ricerca, il dibattito e il dialogo in un contesto in cui può partecipare chiunque voglia lasciarsi contaminare dalle inattese direzioni del pensiero. Il festival, infatti, non resta chiuso nella teoria: con le due iniziative di “Eticit(t)à” e “Essere Coraggiosi”, la filosofia diventa azione. Eticit(t)à restituisce l’isola agli abitanti, promuovendo delle giornate in cui le auto restano ferme e le strade si aprono ai passanti. La campagna Essere Coraggiosi, invece, coinvolge giovani studenti e studentesse nella creazione di pensieri filosofici che poi tappezzano tutta l’isola. Ne risulta un mix tra promozione
Personalmente, ho avuto l’occasione di partecipare come relatrice al Young Thinkers Festival, uno spazio del festival diviso in due giornate (26 e 27 settembre) dedicato interamente ai giovani e ai loro contributi sul tema della felicità. Questa è stata per me un’esperienza intensa e stimolante: confrontarsi con coetanei appassionati, ascoltare con curiosità punti di vista originali e condividere le proprie riflessioni ha reso concreto il senso di comunità pensante che il festival intende creare.
Durante queste giornate, si percepisce la filosofia camminare tra la gente con momenti di confronto e convivialità. Scende nelle piazze, nei vicoli e in luoghi incantevoli: dai Giardini La Mortella, splendido giardino botanico che ha ospitato la conferenza di apertura, al Castello Aragonese, cornice delle lectio magistralis, fino alla Torre Guevara, che ha accolto le conferenze in uno spazio vista mare.
A fare da sfondo a questo brulichio di incontri è infatti una bellissima isola. Qui i luoghi incantano e ispirano, ospitano il pensiero e lo alimentano. La suggestività del paesaggio permette una profonda connessione non solo tra persone, ma anche con una natura che pervade l’ambiente, in un’atmosfera panteista che conferisce al contesto un valore unico. E se è vero che “la bellezza salverà il mondo” come ci dice Dostoevskij, allora eventi come questo ci ricordano che la bellezza capace di salvare il mondo è quella che sa unire e che nasce dalla parola condivisa, dal riconoscimento reciproco e dalla relazione, tutti elementi radicati in un luogo che parla esso stesso di armonia.
Ciò che mi rimane è l’idea che la felicità non sia tanto una meta da raggiungere, quanto un movimento: quello del pensiero, dell’altro che ci interpella e a cui rispondiamo, del presente che ci sorprende. Durante il festival, non l’ho trovata in una definizione filosofica, ma in uno scambio improvvisato tra sconosciuti in un vicolo, in una risata condivisa dopo un dibattito acceso, o nel silenzio seguito a una domanda aperta. Così ci rendiamo conto che non c’è nessun concetto o astrazione, collocata chissà in quale tempo e spazio lontani da noi, da afferrare.
Alla fine, forse, la vera felicità è quella del tempo presente, che si dà nell’accogliere l’esperienza così come si presenta a noi. Si cela tra le pieghe dello stare insieme, quando ci si riconosce immersi in questa trama insieme ad altri e ci si scopre, più profondamente, umani. In questo modo è possibile non solo sapersi felici, ma anche riscoprirsi parte di una comunità attiva e vivere la filosofia come esperienza quotidiana, accessibile e coinvolgente, che stimola a interrogarsi senza mai perdere leggerezza e curiosità.
Infine, il festival non solo rimette al centro la filosofia come pratica condivisa, ma promuove e valorizza il territorio, un aspetto fondamentale soprattutto per le regioni del Sud, spesso oggetto di pregiudizi, che invece sono ricche di occasioni culturali di rilievo e spazi di creatività e generatività. È fondamentale riconoscere e dare visibilità a questi progetti, perché raccontano un Sud vivo, capace di collaborazione e innovazione. La ricchezza culturale, infatti, può fiorire ovunque ci siano persone appassionate e desiderose di costruire questi spazi, come è accaduto a Ischia.