Personalmente, non sono mai stata una grande fan dell’estate: odio il caldo e soprattutto il sudore, odio la spiaggia e i suoi bambini urlanti, odio avere delle giornate in cui non ho niente da fare, se non cercare di non sciogliermi. Decisamente, l’estate è una di quelle cose che per me funziona solo in teoria, solo nei piccoli labirinti della mente (memoria, immaginazione, anticipazione…) o, al limite, solo nelle immagini, dove restano il sole e i vestitini al ginocchio e spariscono odori poco gradevoli e gabbiani burloni.
Tuttavia, so benissimo che la mia opinione è abbastanza impopolare e, alle porte di una sessione autunnale particolarmente stressante, ammetto che persino io mi ritrovo a far vagare la fantasia tra albe in riva al mare e macedonie di frutta appena colta.
Perciò, ho deciso di proporvi cinque (+ 1) titoli cinematografici che riescano a lasciarci sulla lingua il sapore dolce-un-po’-salato dei gelati nelle serate estive, aiutandoci a dare un ultimo saluto alle vacanze prima di rituffarci in maglioni e tazze di tè degni della miglior fanfiction dark academia.
Scorrete il carosello per scoprire tutti i film!
Spike Lee, USA, 1989
Iniziamo con il più caldo dei film nella lista. Non sto usando questo aggettivo con un sottotesto erotico, lo giuro: il quarto lungometraggio di Spike Lee – qui anche protagonista – è uno di quei film che riesce a trasmettere la sensazione appiccicosa del sudore che si incolla alla pelle nei quartieri assolati di una grande città. Eppure, è un film che adoro (contengo moltitudini ecc. ecc., esatto). La trama, come accade spesso nell’opera del regista, ruota intorno alle tensioni razziali che percorrono New York City e i suoi quartieri popolari, ponendosi chiaramente dalla parte della rivolta – anche violenta – delle minoranze nei confronti della violenta maggioranza, con espliciti riferimenti a Malcom X e Martin Luther King Jr., così come a numerosi fatti di cronaca degli anni ‘80. Eppure, nonostante il tema durissimo, Fa’ la cosa giusta riesce anche a trasmettere un’incredibile sensazione di familiarità grazie ad una cinepresa che non asseconda semplicemente l’intreccio, ma si assicura di fare ripetutamente visita a tutti i personaggi del quartiere, di perdersi a giocare nell’acqua degli idranti e di sintonizzarsi tutte le mattine sulla radio del DJ Mister Señor Love Daddy (Samuel L. Jackson). L’afa newyorchese fa da collante tra i membri della comunità, ma funge anche da miccia su conflitti in precario equilibrio, rendendo Fa’ la cosa giusta non soltanto un film al contempo incredibilmente attuale e assolutamente atemporale, ma anche uno dei film che più gridano «estate» della storia del cinema.
Norman Ferguson et al., USA, 1944
Grazie ad una lunga permanenza negli Stati Uniti, i miei nonni erano forniti di una grande quantità di videocassette, che da piccola guardavo e riguardavo senza preoccuparmi di capirci qualcosa (l’insegnamento dell’inglese nella mia scuola elementare è stato a dir poco scadente). Una di queste cassette era I tre caballeros, un film che, penso, conosciamo solo io e lə tiziə che l’ha inserito nella lista ufficiale dei Classici Disney. Eppure, è sempre stato uno dei miei preferiti, anche quando, qualche anno fa, ho deciso di riguardarlo e mi sono accorta che sì, cavoli, è proprio un immenso ed insensato trip. Il film è diviso in quattro episodi, che vedono Paperino e i suoi amici (uno di loro si chiama Panchito Pistoles – ditemi voi se non è il nome migliore mai dato ad un uccello animato) fare un viaggio ideale attraverso l’America Latina grazie ai regali che José Carioca, il terzo caballero, regala al papero per il compleanno. La pellicola è girata in tecnica mista, quindi con parti animate e parti live-action, che includono grandi star sudamericane del periodo. E sembra prodotta sotto l’effetto di acidi, oppure dopo una forte insolazione sulla spiaggia di Acapulco. Se ancora non siete convintə, non so davvero cos’altro dirvi, se non che potete recuperarlo facilmente su Disney+.
Jacques Demy, FRA, 1967
Va bene, ho capito, è il momento di indossare di nuovo i panni della cinefila con la puzza sotto il naso… e allora ecco, beccatevi un film francese. No, aspettate, non chiudete l’articolo! Vi giuro che questo non è un film da festival misconosciuto in cui i personaggi non si dicono niente per due ore e in cui ci sono decisamente troppe scene di nudo! (NdA: posso prendere in giro i film francesi perché sono francese). Anzi, i personaggi di questo film non solamente parlano davvero tra di loro, ma addirittura cantano. In una stupenda scena addirittura rappano o, quantomeno, conducono una conversazione al tavolo della cena tutta in rima. In più, c’è anche Gene Kelly! Jacques Demy, infatti, ha voluto creare un film che, pur essendo intimamente francese, rifacendosi ad alcune delle nuove armi messe a disposizione dalla contemporanea Nouvelle Vague e non facendosi mancare neppure un brutale omicidio, rendesse omaggio ai musical dell’era d’oro hollywoodiana, in particolare quelli spettacolari e coloratissimi della Metro-Goldwyn-Meyer.
Les Demoiselles de Rochefort segue le avventure sentimentali e lavorative di due gemelle diverse, Delphine e Solange (Catherine Deneuve e Françoise Dorleac, sorelle anche nella vita reale), e di diversi abitanti della cittadina portuale di Rochefort, sulla costa occidentale della Francia. La vicenda si svolge lungo tre giorni, delimitati dall’arrivo e la partenza di un complesso fieristico: a mano a mano che si procede con la visione, il film diventa un tango di incontri mancati e mezze verità impacchettato in alcuni dei più bei colori pastello mai impressi sulla pellicola. Nel cast sono presenti anche Michel Piccoli, Jacques Perrin, George Chakiris e Danielle Darrieux, mentre le musiche sono affidate al più stretto collaboratore di Demy, Michel Legrand, che aveva già firmato la colonna sonora del più grande successo del regista, Les parapluies de Cherbourg (1963). Ah, vi chiedete chi sia la Joséphine del titolo italiano? Be’, nessuno. O meglio, è il nome che il distributore nostrano volle dare al personaggio di Catherine Deneuve, a cui si decise di lasciare più spazio, tagliando più di mezz’ora di film e ingarbugliando inevitabilmente la storia. Per fortuna, su MUBI lo trovate nella sua versione originale, naturalmente sottotitolata.
Paul Thomas Anderson, USA, 2021
C’è qualcosa di magico nella California degli anni ‘70 e PTA lo sa benissimo. Dopo aver rivisitato i luoghi e il tempo della sua gioventù già in Boogie Nights – L’altra Hollywood (Boogie Nights, USA, 1997) e Vizio di forma (Inherent Vice, USA, 2014), il regista torna nella Valley per quello che forse, ad oggi, è il suo film più personale. Infatti, le precedenti pellicole erano ancorate a temi molto specifici: nel primo caso, il mondo della pornografia, nel secondo un’esplorazione del neo-noir tratta da un romanzo di Thomas Pynchon. Licorice Pizza si distingue perché, più che un film, sembra un viaggio nella memoria. La trama segue Gary Valentine (Cooper Hoffman), un intraprendente attore quindicenne, e Alana Kane (Alana Haim), più grande, senza peli sulla lingua e senza idea di cosa voglia fare della sua vita. La loro strana amicizia (forse qualcosa di più?) li accompagna nel corso della lunga estate del ‘73, mentre entrambi cercano di trovare una loro strada nel mondo. Ma il film, spesso, perde i riferimenti temporali interni e si concentra su piccoli sketch, piuttosto che su grandi eventi storici, che restano sullo sfondo, dando l’impressione allo spettatore di star attraversando i ricordi d’infanzia del regista, a volte sovrapposti, a volte confusi, a volte forse modificati dal tempo. Non andate a vedere questo film cercando disperatamente di seguire una trama, ma lasciatevi trasportare dallo spirito dei tempi e da quel sapore dolceamaro delle estati dell’adolescenza, quelle che ricorderemo per sempre, ma che sembrano già lontanissime mentre stanno accadendo.
René Clair, FRA/ITA, 1960
Tratto da Il talento di Mr. Ripley di Patricia Highsmith, questo film funge da perfetta sponda tra la stagione estiva, grazie all’ambientazione amalfitana di gran parte del film, e quella autunnale, dato che i temi affrontati includono l’omicidio, il conflitto di classe, le dinamiche psicologiche tra i personaggi e un queercoding neanche troppo velato. Alain Delon è Tom Ripley, un impersonatore professionista mandato in Italia dal ricco signor Greenleaf per convincere il di lui figlio, Philippe (Maurice Ronet), a tornare in patria. Ripley, però, inizia un gioco pericoloso in cui l’ossessione e l’odio si confondono e in cui le bugie iniziano ad accumularsi sempre di più, fino a tessere una rete fatale intorno al protagonista. La fotografia del film indugia parecchio sulle bellezze naturali e architettoniche del nostro Paese (e sì, anche sulla bellezza del giovane Delon, non vi preoccupate), ma la patina da rivista di viaggi non riesce a distrarre a lungo dal soggetto torbido e dalle turbe del protagonista e degli altri personaggi, riuscendo a portare a galla le loro delicate psicologie.
Jean Vigo, FRA, 1933
Infine, eccoci arrivati all’unico, tra i film di questa lista, a non essere ambientato in estate, bensì all’inizio dell’anno scolastico. Purtroppo le vacanze finiscono per tuttə, ma Zéro de conduite ci mostra come anche il ritorno tra i banchi (della scuola, dell’università o dell’ufficio) non debba per forza essere una tragedia della noia… basta mantenere intatto un po’ di spirito ribelle. Questo divertentissimo mediometraggio, disponibile gratuitamente su RaiPlay, ruota intorno alle avventure di alcuni ragazzi di un prestigioso collegio per sempre in guerra con maestri e sorveglianti. La loro ribellione all’autorità si manifesta con marachelle e insurrezioni più o meno grosse, fino ad arrivare alla gioiosamente anarchica battaglia finale sui tetti della scuola, mentre gli adulti sono quasi tutti dipinti come personaggi grotteschi, fissati con regole di buoncostume che non seguono neanche loro. All’epoca, il film fu considerato “antifrancese” dalle autorità e pesantemente censurato, ma oggi è entrato di diritto nella storia del cinema come un esempio perfetto della poetica di Vigo, regista della prima avanguardia francese scomparso prematuramente. In vista delle imminenti elezioni, penso che un po’ del suo spirito anticonformista non possa che farci bene.
di Valentina Oger
Nata a Bologna nel lontano 2002, ha girato l’Italia (e, per dieci mesi, la Corea del Sud) prima di approdare al DAMS dell’Università di Torino.
Generalmente è la meno socievole del gruppo, un po’ perché ha madre ligure e padre francese, un po’ perché è posseduta dallo spirito di un’ottantenne bisbetica che comincia a chiedere “quando si va a dormire?” alle dieci di sera.
La sua ossessione principale è il cinema (per farla apparire basta dire davanti allo specchio “Martin Scorsese” otto volte e mezzo), ma è abbastanza eclettica: le sue ultime celebrity crushes includono Orson Welles, Magnus Carlsen, Farinata degli Uberti e Paul McCartney nel ’66. Ha tre gatti e molti dubbi..