“I declare before you all that my whole life, whether it be long or short, shall be devoted to your service and the service of our great imperial family to which we all belong”.
Era il 21 aprile 1947 quando, nel giorno del suo ventunesimo compleanno, l’allora Principessa Elisabetta di York rivolgeva questo giuramento ai sudditi di suo padre, Re Giorgio VI del Regno Unito. Era una giovane principessa, e conosceva già benissimo il destino che le si prospettava davanti e il peso del dovere che un giorno sarebbe stata chiamata a sostenere.
Elisabetta, come già notava Winston Churchill nel suo discorso in occasione della morte del Re, non aveva passato la gioventù nella certezza assoluta di ricevere la corona, tuttavia l’abdicazione di suo zio Edoardo VIII mise suo padre sul trono, e lei, a soli dieci anni, seppe che, prima o poi, quella corona tanto scomoda e pesante si sarebbe posata sul suo capo. Il 6 febbraio 1952 Giorgio VI morì di malattia a Sandrigham House mentre Elisabetta si trovava in Kenya. Quella notte dormì con suo marito Filippo in una capanna costruita su un albero in mezzo alla foresta: salì da principessa e ne scese da regina. Tornò a Londra in fretta, indossando uno stretto abito nero e con il nome da regnante di Elisabetta II. Da quel momento, sono passati poco più di settanta anni, fino a quando, l’8 settembre 2022, Elisabetta si è spenta all’età di 96 anni.
È molto difficile, forse impossibile, riuscire a sintetizzare in poche righe sette decenni di storia del Novecento. È molto difficile anche dare un giudizio storico al regno di Elisabetta II, la seconda epoca Elisabettiana: ciò che non è difficile, però, è rendersi conto della grandezza della sua figura.
Poche persone sono così longeve da ricordare un mondo in cui Elisabetta non era sul trono, poiché proprio lei, quella donna dai capelli argentei e cotonati, in abito di colore sgargiante e cappello in tinta, era l’ultimo pezzo di un mondo che non esiste più da diversi decenni, e la sua presenza collegava tutti noi, nel Regno Unito e nel resto del mondo, alla storia. Non è eccessivo sostenere che, nel corso del suo lunghissimo regno e della sua lunghissima vita, ebbe modo di conoscere tutti i personaggi che hanno lasciato una traccia indelebile nella nostra storia. Sotto il suo regno si sono succeduti sette Papi, quattordici Presidenti degli Stati Uniti, quindici Primi Ministri del Regno Unito e ben sessantadue governi italiani. Sotto il suo regno si sono compiuti la quasi totalità dei maggiori eventi storici del secondo Novecento. Lei era regina nel dopoguerra, durante la Guerra di Corea e durante la Guerra in Vietnam, durante la crisi di Suez, l’assassinio di Kennedy, la costruzione del muro di Berlino e la sua caduta, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la creazione dell’Unione Europea, gli attentati al World Trade Center dell’11 settembre, la Brexit e la pandemia di COVID-19. Era regina quando i Beatles incisero il loro primo album, quando Margaret Thatcher intraprese la guerra nelle Falkland, quando iniziò la pandemia di AIDS e quando si realizzarono delle terapie per impedirne il contagio.
Tutto questo lungo elenco potrebbe sembrare superfluo, perché, in fondo, si potrebbe dire che il merito qui sta nella sua longevità, ma è importante ricordare che Elisabetta II, nonostante abbia assistito a tutti questi eventi, alcuni dei quali riguardanti proprio il paese di cui era sovrana, non la mossero mai dall’unico vero e imprescindibile obbligo che il suo ruolo le imponeva: il silenzio. Proprio la difficoltà del silenzio, del non uscire mai dal prestabilito, dell’ascoltare tutto e non dire niente, dell’astensione dal giudizio, è il peso maggiore che la corona porta con sé. Il silenzio di Elisabetta non ha mai significato disinteresse o scarsa attenzione per gli eventi dell’attualità, ma rappresenta la sua più grande eredità storica, ossia il senso del dovere e gli obblighi dovuti al sistema monarchico. Il dovere nei confronti del suo popolo, del suo ruolo e della corona era così radicato in lei da riuscire ad annullarsi completamente davanti agli eventi più forti, facendo trasparire solo solidità e sicurezza, diventando un punto di riferimento per i suoi sudditi. Alcuni attenti storici della famiglia reale sostengono che Elisabetta amava comunicare le sue opinioni attraverso certi simboli nel suo abbigliamento. Ad esempio, nel 2019, l’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump si recò in visita nel Regno Unito, venendo accolto da una regina cordiale e sorridente, che, però, sul cappotto indossava una spilla donatale da Barack e Michelle Obama qualche anno prima: solo i disattenti potrebbero pensare che si tratti di una scelta casuale!
Nel giugno del 2017, Elisabetta si recò al Palazzo di Westminster per l’apertura del Parlamento. Nel discorso scritto per lei dal primo ministro in cui si sottolineavano gli aspetti più importanti del programma di governo campeggiava il tema Brexit: mai Elisabetta si sarebbe permessa di dare opinione in merito, trattandosi di un fatto politico, da cui lei era esclusa, per cui decise di presentarsi in Parlamento con un grazioso cappello decorato con fiori blu e gialli, a simboleggiare vagamente la bandiera dell’Unione Europea. Chiaramente, in questo caso si tratta di supposizioni, di analisi a posteriori, poiché l’unica cosa certa era proprio il suo silenzio, il suo essere super partes. La sua abilità nel gestire il silenzio è ciò che ha permesso alla monarchia britannica di sopravvivere in questi lunghi decenni.
Nei suoi settanta anni di regno, a volte questo silenzio divenne un’arma a doppio taglio, provocando rotture talmente forti che si pensò che mai si sarebbero sanate. Sicuramente ci furono delle pagine buie in cui il supporto che era riuscita a crearsi con il pubblico pareva assottigliarsi e scricchiolare. Il 31 agosto 1997, Diana Spencer, Principessa del Galles ed ex moglie dell’erede al trono, il Principe Carlo, morì in un tragico incidente automobilistico a Parigi. Diana era molto amata dal pubblico e in quell’occasione Elisabetta sbagliò, perché non seppe rompere le rigidissime regole del protocollo reale per un evento così dirompente. Il pubblico si chiedeva perché la Regina non fosse tornata a Londra, ma fosse rimasta in Scozia; si chiedeva perché le bandiere sulle residenze reali non fossero issate a mezz’asta in segno di lutto; si chiedeva perché a Diana non venisse concesso il funerale di Stato. Elisabetta credeva probabilmente di non avere motivo di spostarsi precipitosamente per Diana, non essendo più questa un membro della famiglia reale dal divorzio. Era convinta che la bandiera a mezz’asta non le fosse dovuta, perché lo stendardo reale non si issa a mezz’asta neanche alla morte del sovrano e non concedeva il funerale di Stato perché anche la famiglia Spencer richiedeva una cerimonia privata.
Tutto ciò non aveva importanza e il pubblico iniziò a dirsi scontento della sua gestione della faccenda. Per la monarchia britannica furono i giorni più difficili, sfiorando un punto di non ritorno, ma Elisabetta capì il suo errore, capì che, a volte, le regole e il protocollo possono essere infranti. Infatti, ritornò a Londra, fece issare le bandiere a mezz’asta e concedette il funerale di Stato. Scese tra la folla davanti a Buckingham Palace – un evento senza precedenti – incontrò le persone, accettò i loro fiori e comprese l’amore che il popolo provava per la Principessa Diana. Il giorno del funerale, quando il feretro le passò davanti, Elisabetta si inchinò per la prima e unica volta in tutto il suo regno, ordinando a tutta la famiglia reale di inchinarsi in segno di rispetto. In quel piccolo gesto risiedeva l’ammissione dell’errore, il modo più sottile per chiedere perdono al popolo e a Diana stessa.
Al giorno d’oggi, l’ascensione al trono del Principe Carlo, ora Re Carlo III, porta con sé tantissime domande. È innegabile che sarà probabilmente impossibile per lui riuscire a superare o anche solo a raggiungere la popolarità che aveva sua madre, in quanto molti ritengono Carlo inadeguato e chiedono l’abdicazione in favore del figlio William. Ciononostante, la monarchia è regolata da norme stabilite e antichissime, secondo cui la sua ascesa al trono è scritta da ben settantatré anni. La morte di Elisabetta ci porta anche a riflettere sul senso di mantenere l’istituzione monarchica, all’apparenza così vetusta, ma è evidente quanto il popolo britannico amasse la sua regina e quanto, in questi giorni, si siano dimostrati pronti ad amare il nuovo re e la sua consorte.
La monarchia è, nel Regno Unito, un’istituzione rigida nelle apparenze, ma con la profonda necessità di essere fluida e di adattarsi ai tempi e ai cambiamenti: Elisabetta II questo lo sapeva bene. Sempre composta e mai fuori dal seminato, Elisabetta era una regina del popolo, il suo umorismo innegabilmente british l’ha accompagnata per tutta la vita, portandola addirittura a girare un cortometraggio con Daniel Craig nei panni di James Bond per l’apertura dei Giochi Olimpici di Londra nel 2012, e di nuovo, a sorpresa, nel 2022, in occasione del suo giubileo di platino, apparendo in televisione con l’orso Paddington, in un grazioso sketch sui sandwich alla marmellata. Elisabetta seppe adattarsi ai tempi correnti, diventando la prima monarca al mondo a mandare una mail, a scrivere un tweet; sempre con la stessa borsa al braccio ha conosciuto icone pop contemporanee come David Beckham e Lady Gaga, i Rolling Stones e gli One Direction, Adele ed Elton John, Frank Sinatra e Marylin Monroe, Nelson Mandela e Madre Teresa di Calcutta, Sophia Loren e Roberto Bolle.
In questi giorni, molte persone si stupiscono e si indignano nell’assistere alla commozione popolare che tutto il mondo sta provando per via della sua dipartita. In fondo, potremmo dire che è semplicemente morta una donna di 96 anni, che tutti se lo aspettavano prima o poi, che non c’è niente di straordinario in tutto ciò e che ci sono problemi maggiori a cui dedicarsi. In questo caso, si fallisce nel vedere che Elisabetta II non era solo una donna di 96 anni e non era neanche solo una regina, ma era una icona e dietro alle icone, che il pubblico sceglie e riconosce, sta sempre una motivazione: Elisabetta era una certezza così ferrea che si scherzava sulla sua presunta immortalità, la sua immagine era una delle più riprodotte in vesti positive o negative per omaggio o per critica. Tutto il mondo conosceva quella donna amante dei cani e dei cavalli, che guidava un fuoristrada con grande abilità, e che, almeno una volta a settimana, appariva sui telegiornali, stringendo mani, ricevendo visite, parlando da uno schermo il giorno di Natale, e che ha saputo rendersi più popolare della monarchia stessa. La grandezza di Elisabetta è tangibile nei gesti e nella ritualità che in questi ultimi giorni abbiamo visto compiersi in suo onore: le processioni, le code infinite, il mare di fiori, i messaggi e il silenzio al passaggio del suo feretro. Il rispetto che le è stato tributato è indice di una sola, pura e semplice verità, ossia che Elisabetta non ha mai infranto quel giuramento che fece a Città del Capo nel 1946, tenendovi fede fino all’ultimo respiro e non venendo mai meno al dovere più grande che era stata chiamata a sostenere: quello nei confronti del suo popolo e della corona.
Luca Ruffini
Mi chiamo Luca, 1998, fuori corso a Lettere Moderne in Statale a Milano. Da bambino mi chiamavano “piccolo lord”, il risultato di questo soprannome è che ora vivo in doppiopetto con la cravatta sempre annodata al collo. La letteratura mi affascina, l’arte mi incuriosisce e la moda mi emoziona. Mi piacciono tante cose, fra cui, in ordine sparso: il rococò francese, Lady Gaga, i dolci in pasta di mandorle, la Prima Repubblica e la regina Elisabetta II. Qui spero di scrivere articoli che possano interessare e far nascere una passione nuova in chi legge.
Se mi cercate mi trovate molto probabilmente in Porta Venezia a Milano, con una sigaretta in bocca e un gin tonic in mano.