Leggere o non leggere? Questo è il vero dilemma. Nel firmamento shakespeariano, Amleto è sicuramente la stella più brillante e, diciamocelo, anche la più fortunata: conosciuto da tutte e tutti, e amato da moltissime/i, è un’opera che ha avuto grande fortuna sia fra i suoi contemporanei che fra i posteri, soprattutto per quella sua innata ed intrinseca capacità di offrire sempre nuove possibilità di lettura (e grandi citazioni).
Per quanto possa sembrare paradossale, il principe danese e la sua tragica storia rimangono accessibili e al contempo follemente sfuggenti. Perché l’Amleto resiste? Perché il pubblico moderno sembra non stancarsi di inseguire questo capolavoro come un instancabile Dante che insegue la sua Beatrice? Permettetemi di accompagnarvi in un viaggio attraverso uno dei labirinti più affascinanti della letteratura, dove il terrore esistenziale e l’arguzia tagliente si scontrano in un caos glorioso.
Drama king, anche se sarebbe più corretto definirlo prince, per eccellenza, Amleto è un uomo perennemente in bilico tra azione e indecisione – come ogni uomo dei nostri giorni che si rispetti – il giovedì sera davanti al catalogo di Netflix. È proprio per questo che Amleto risulta così moderno nonostante la calzamaglia del XVII secolo e altre scelte di stile alquanto discutibili. Non è un sempliciotto assetato di vendetta: Amleto è filosofo, amante, boia riluttante e un uomo che sa trasformare la procrastinazione in una forma d’arte – quest’ultimo è forse il desiderio più profondo dell’uomo moderno. Mentre Otello soccombe alla gelosia, Macbeth all’ambizione e Re Lear all’arroganza, la vera tragedia di Amleto è, in poche parole, l’eccesso di pensiero.
Ridurre l’Amleto a un’opera di vendetta sarebbe crudele e pari al definire la Madonna Sistina uno scarabocchio. Shakespeare, almeno apparentemente, presenta quella dei re di Danimarca come una moderna famiglia disfunzionale. Claudio, lo zio assetato di potere, uccide il fratello, padre di Amleto, sposa la cognata e ruba il trono al nipotino. Amleto nel frattempo rimugina, escogita piani elaborati per vendicarsi, riflette continuamente sulla morte, sulla vendetta e sulla futilità della vita. Altrettanto spesso, com’è ben noto, parla anche da solo. Se alla storia di questa famiglia tutt’altro che idilliaca si aggiungono un fantasma vagamente inquietante, una tragedia nella tragedia e un duello, il risultato è una perfetta nuvola di caos e una delle pièce più accattivanti mai scritte. La vera genialità di Shakespeare sta nel prendere questi elementi ed infondere in ognuno di essi una profondità psicologica che trascende il genere. Amleto, a differenza di un Achille o di una Medea accecati dalla sete di vendetta, non si affretta a vendicare l’omicidio del padre perché è troppo impegnato a interrogarsi su questioni più ampie: che cos’è la giustizia? Che cos’è la verità? La vendetta può mai essere giustificata dal punto di vista morale? Una risposta a queste domande non l’abbiamo ancora trovata a quattrocento anni di distanza.
Una troppo semplice etichetta affibbiata fin troppo spesso ad Amleto è quella di personaggio tragico. Benché lo sia indubbiamente, Amleto è anzitutto brillante, arguto, machiavellico; i suoi giochi di parole e i suoi ragionamenti sono meravigliosi. Il suo umorismo velato ci mostra un finissimo utilizzo del linguaggio e una capacità tutta britannica di Shakespeare di combinare umorismo e tragedia.
Amleto è una di quelle opere che vengono ciclicamente riscoperte: non che l’esistenza del povero principe danese sia mai stata effettivamente dimenticata da qualcuno, ma per il fatto che ogni generazione ne ha scoperto qualcosa di nuovo. I romantici ne ammiravano l’introspezione, i vittoriani la sua malinconia, il pubblico moderno lo considera un manifesto dell’ansia e della “paralisi dell’analisi”1. E non dimentichiamo gli innumerevoli (e amatissimi) adattamenti, dal cupo film di Laurence Olivier del 1948 alla sontuosa versione di Kenneth Branagh del 1996, fino a Il re leone, che presenta una familiarità innegabile.

Fra i personaggi più straordinari e affascinanti dell’Amleto – a mio modesto giudizio – vi sono le figure femminili: Gertrude e Ofelia. La prima, oltre che ad essere la madre che non augurerei di avere a nessuno e ad essere spesso considerata semplicemente la complice del perfido Claudio, è un personaggio affascinante che vive in bilico fra amore, lealtà e sopravvivenza; Ofelia, invece, è la figura tragica per antonomasia: una giovane donna la cui discesa nella follia è al contempo straziante e ossessionante. All’inizio del dramma, Ofelia è emblema di una giovinezza innocente, divisa tra suo padre, suo fratello e il suo amante, ognuno dei quali impone su di lei la propria volontà, dicendole come dovrebbe comportarsi, di chi dovrebbe fidarsi e che sentimenti dovrebbe provare. La follia di Ofelia, a discapito delle apparenze, è tutt’altro che passiva ed è forse il suo più spavaldo atto di ribellione. Messa a tacere e privata di autonomia nella vita, i suoi vaneggiamenti diventano presto un inno di dolore esistenziale, che contrasta con la calcolata e teatrale follia di Amleto. La sua morte, accidentale o volontaria che sia, la vede scivolare nell’acqua come per sfuggire alla soffocante morsa stretta su di lei dagli uomini della sua vita, trovando lì la fluidità e la libertà che questi le avevano negato. Oggi Ofelia è stata rivendicata come una musa tragica, una pacata ribelle la cui eredità duratura continua ad ispirare rivisitazioni femministe della pièce e opere d’arte iconiche come il dipinto di di Sir John Everett Millais conservato al Tate Britain.

Tra le caratteristiche emblematiche di questa tragedia, è impossibile non menzionare il fatto che essa sia una miniera d’oro di citazioni e frasi fatte, di cui “essere o non essere” non è altro che la punta dell’iceberg. Il linguaggio shakespeariano nell’Amleto è poesia pura; le sue metafore vivide, le sue immagini ossessionanti e i suoi ritmi ipnotici. Anche gli insulti di Amleto hanno una sorta di bellezza lirica e a proposito sono addirittura stati scritti dei libri! Tra i miei preferiti ci sono questi due: Shakespeare Insult Generator: Mix and Match More Than 150,000 Insults in the Bard’s Own Words che ho personalmente regalato e The Little Book of Shakespeare’s Insults che mi sono regalata l’ultima volta che sono capitata a Londra!
Quindi, domanda delle domande, perché leggere l’Amleto in un mondo di programmi televisivi da guardare in fretta e furia e di intrattenimento frenetico? Perché l’Amleto non è solo un’opera teatrale, ma un’esperienza illuminante. Ci sfida a pensare in modo profondo, a porci domande audaci e a riflettere. Ci ricorda che la letteratura, soprattutto quella di un certo tipo, non si limita a intrattenere, ma ha il potere di trasformare. Amleto sarà anche un principe senza lieto fine (chi glielo dice alla Disney?), ma la sua storia resiste perché cattura delle caratteristiche eterne della condizione umana. È imperfetto, divertente, frustrante e indimenticabile e finché continueremo a interrogarci sulle grandi questioni esistenziali, Amleto avrà sempre qualcosa da dire. Quindi, leggere o non leggere? La risposta è chiara. Leggete l’Amleto.
Note
- In psicologia, la paralisi dell’analisi è un fenomeno associato all’overthinking e all’overanalyzing. Si tratta dell’incapacità di fare scelte a causa di un eccesso di analisi, che porta a procrastinazione o inazione.
