Am I in the background?
Una riflessione su Bo Burnham: Inside
Tra le celebrità del periodo del lockdown il nome di Bo Burnham si è fatto strada. A differenza di altri influencer e tiktoker esplosi durante il Covid, decisamente più “meteore”, Burnham aveva già accumulato un discreto seguito nel mondo digitale nel corso dei dieci anni precedenti: con l’avvento di YouTube, raggiunge una prima notorietà online con le sue canzoni originali, la quale lo porta a firmare un contratto di quattro dischi con Comedy Central Records. Il suo secondo album, Words Words Words (2010) è anche il titolo del suo primo spettacolo comico dal vivo: ha solo vent’anni. Arrivano anche what. nel 2013 e Make Happy nel 2016, che vengono rilasciati su YouTube e su Netflix; ormai Bo è un razzo diretto verso le stelle. Comprensibile, quindi, come questa rapidissima ascesa abbia avuto un grande prezzo da pagare in termini di salute mentale. Burnham mette in sospeso gli spettacoli dal vivo per lavorare su altri progetti (la regia e sceneggiatura di Eighth Grade – Terza media nel 2018, e il ruolo in Una donna promettente, dir. Emerald Fennell, 2020). E poi arriva il Covid.
Dopo circa un anno dal primo lockdown di marzo 2020, esce su Netflix Bo Burnham: Inside, etichettato dalla piattaforma come “comedy special”.
Inside, però, non ha un pubblico live e Burnham non è più la giovane promessa della commedia americana. Il fatto di doversi rivolgere a un obiettivo invece che a delle persone in carne e ossa lo rende iper consapevole di se stesso, della sua reclusione e dello stato della sua salute mentale. Bo si espone e ci fa entrare dentro: nel suo processo creativo, nelle sue insicurezze, nella sua testa piena di malinconia per il passato, insicurezza per il presente e paura per il futuro.
If you’d have told me a year ago
That I’d be locked inside of my home (Ah, ah, ah)
I would have told you, a year ago:
“Interesting; now leave me alone”
Sorry that I look like a mess (Ah, ah, ah)
I booked a haircut, but it got rescheduled
Robert’s been a little depressed, no
And so, today, I’m gonna try just
Getting up, sitting down, going back to work
Might not help, but still, it couldn’t hurt
I’m sitting down, writing jokes, singing silly songs
I’m sorry I was gone
But look, I made you some content
Daddy made you your favorite, open wide
Here comes the content
It’s a beautiful day to stay inside
Se un anno fa mi avessi detto / Che saremmo stati bloccati in casa / Io un anno fa ti avrei detto / “Interessante, ora lasciami in pace” / Scusa se sembro incasinato / Ho prenotato dal parrucchiere ma ho dovuto posticipare / Robert è stato un po’ depresso / Quindi oggi proverò solo / Ad alzarmi, sedermi, tornare al lavoro / Forse non mi aiuterà, forse sì / A sedermi, scrivere battute, cantare canzoncine / Scusa se me ne ero andato / Ma guarda, ti ho portato del contenuto! / Papà ti ha fatto il tuo preferito, apri grande / Ecco che arriva il contenuto / E’ una bellissima giornata per stare dentro.
[“Content” da Bo Burnham: Inside].
Inside riflette, nella forma, un tipico comedy special di Bo Burnham, con l’inserimento di canzoni comiche e sarcastiche, che sono sicuramente l’attrattiva principale. Tuttavia, se da un lato ci sono le canzoni, accattivanti e dalle parole caustiche che tradiscono una profonda depressione, dall’altro Burnham cerca di creare una metanarrazione: ovvero, alterna brani a momenti di “dietro le quinte”, in cui essenzialmente spiega al pubblico come si sente durante la creazione di questo special. Questo rende la fruizione molto diversa: certo, possiamo vedere i suoi tre speciali precedenti su YouTube, ma assistiamo a un pubblico che reagisce a Bo. Qui, Bo agisce da solo e può controllare pienamente lo svolgimento degli eventi, senza reagire o interagire con il pubblico. Il che rende certi spezzoni recitati molto più intimi, ma altri decisamente ricalcano un orrore di tipo esistenziale.
Bo è l’unica persona che vediamo per tutto il film, ma si può dire che altre due presenze importanti in Inside siano la Stanza e la Telecamera. Quest’ultima, spesso, è inquadrata con un lento zoom verso il centro dell’obiettivo che, però, non si vede mai. E’ un cratere buio e apparentemente senza fine e noi, un po’ come in uno specchio nero (un Black Mirror1), osserviamo il nostro riflesso sullo schermo da cui stiamo guardando. La Stanza invece è una gabbia e Bo è l’animale dello zoo: intrappolato, qualunque cosa faccia non solo non può uscire (per le norme del lockdown, certo, ma la depressione non aiuta), ma è anche perennemente sotto scrutinio di entità invisibili, cioè noi, gli spettatori dietro allo schermo.
Similmente, il poeta tedesco Rainer Maria Rilke aveva documentato la straziante vita di una pantera in gabbia presso il Jardin des Plantes, durante un soggiorno a Parigi nel 1905-06. In Der Panther, gli occhi della fiera hanno perso la luce, come uno specchio scuro coperto da un velo, e non trattengono più alcuna immagine se non le mille sbarre che la circondano. Solo a volte il velo si solleva e un’immagine si intromette, attraversando le membra tese. Noi guardiamo Bo senza a nostra volta essere visti; in mezzo, c’è l’ostacolo dell’asincronia. Ma attraverso le sue parole espone ciò che stiamo facendo, in qualche modo ci vede comunque.
How are you feeling?
Do you like the show?
Are you tired of it?
Never mind, I don’t wanna know
Are you finding it boring?
Too fast? Too slow?
I’m asking, but don’t answer
‘Cause I don’t wanna know
Do I have your attention?
Yes, or no?
I bet I’d guess the answer
But I don’t wanna know
Am I on in the background?
Are you on your phone?
I’d ask you what you’re watching
But I don’t wanna know
Is there anyone out there?
Or am I all alone?
It wouldn’t make a difference
Still, I don’t wanna know
I thought it’d be over by now
But I got a while to go
I’d give away the ending
But you don’t wanna kn—
Come stai? Ti piace lo show? Ti ha stufato? Lascia stare, non lo voglio sapere.
Lo trovi noioso? Troppo veloce, troppo lento? Chiedo, ma non rispondere, perché non lo voglio sapere.
Ho la vostra attenzione? Sì o no? Scommetto che saprei la risposta ma non la voglio sapere.
Sto parlando nel sottofondo? Stai guardando il cellulare? Ti chiederei cosa stai guardando ma non lo voglio sapere.
C’è qualcuno là fuori? Sono tutto solo? Non farebbe alcuna differenza, comunque, non lo voglio sapere.
Pensavo che sarebbe finito ormai, ma manca ancora un po’. Rivelerei il finale ma non lo volete sap-
[“Don’t Wanna Know” da Bo Burnham: Inside]
Un isolamento prolungato come il lockdown ha sicuramente portato a una maggiore introspezione, ma spesso nella forma di iper-autoanalisi, e spesso anche distruttiva. Ad esempio, come si fa a capire se le tue battute fanno ridere, se non c’è nessuno lì in persona a valutare e reagire? “Don’t Wanna Know” rappresenta l’insicurezza di Bo come performer. Chiede una continua conferma a un pubblico assente, che non può dargli ragione o torto; di conseguenza, si risponde da solo “non lo voglio sapere”, per paura della verità. Questo rivela anche un suo atteggiamento perfezionista, autocritico alla massima potenza. Non lo voglio sapere se ciò che sto creando (puramente per non impazzire nella solitudine) ha un senso, se è all’altezza, se è abbastanza, ma al contempo so che non sarà mai abbastanza. Se è lecito mettere in questione il valore di un attore senza pubblico, questo vale anche al contrario: cosa fa un attore con un pubblico onnipresente, come i followers dei social, o noi spettatori che guardiamo ogni frame di Inside a posteriori? La pantera sa di essere guardata?
Il passo felpato della pantera gira in tondo, seguendo il perimetro delimitato dalle sbarre, che ostacolano lo sguardo e lo spirito. La gabbia di Rilke è una circonferenza: una figura geometrica simbolo di perfezione, ma chiusa. Non lascia entrare o uscire, dunque al felino non rimane altro che girare intorno al suo centro “ove stordito dorme un gran volere”. Bo è confinato nella Stanza a causa delle norme restrittive del lockdown e tale reclusione prolungata lo porta a riflettere sulla sua condizione attuale. Come tutti noi abbiamo fatto, cerca un modo per sì passare il tempo (vedi la scena in cui si finge uno streamer che testa un nuovo videogame, salvo poi questo essere un simulatore della vita che lui conduce in lockdown), ma anche per rimanere sano di mente dopo mesi di zero interazioni con altri esseri umani. La realtà viene stirata ai suoi limiti, si passa da satira synthpop su Bezos a un video reazione di Burnham a se stesso (che reagisce a se stesso, e così via), una mise en abyme che gli permette di levarsi di dosso strato dopo strato di autoanalisi. La pungente ironia della sua situazione è descritta nell’interludio di “All Eyes On Me”, brano che nel 2022 ha vinto anche il Grammy per “Best Song Written For Visual Media”2:
You wanna hear a funny story?
So, uh, five years ago, I quit performing live comedy
Because I was beginning to have, uh, severe panic attacks while on stage
Which is not a great place to have them
So I, I quit, and I didn’t perform for five years
And I spent that time trying to improve myself mentally
And you know what? I did! I got better
I got so much better, in fact, that in January of 2020
I thought, “You know what? I should start performing again
I’ve been hiding from the world and I need to re-enter”
And then, the funniest thing happened
Volete sentire una storia divertente? Allora, uhm, cinque anni fa ho smesso di esibirmi live perché stavo iniziando ad avere, ehm, gravi attacchi di panico mentre stavo sul palco, che non è proprio il posto ideale per averli. E quindi ho smesso e non mi sono esibito per cinque anni e ho passato tutto quel tempo a provare a migliorare la mia salute mentale, e sapete cosa? Ce l’ho fatta! E’ migliorata, così tanto che nel gennaio del 2020 ho pensato “Ma sai una cosa? Dovrei ricominciare a esibirmi. Mi sono nascosto dal mondo finora e ho bisogno di entrarci di nuovo”.
E poi è successa una cosa davvero esilarante.
Non è tutto così deprimente però! Durante la prima metà dello special l’umore è decisamente alleggerito con brani più upbeat e ottimisticamente ironici come “FaceTime With My Mom” (una canzone soft-pop sui genitori che non sanno usare il cellulare), “White Woman’s Instagram” (la hit sugli stereotipi dell’apparire sui social), “Shit” (motivetto accattivante sul sentirsi veramente uno schifo in questa routine fatta solo di stare in casa) e “Problematic” (una “Eye Of The Tiger” su come scusarsi delle controversie che riemergono dal passato). Dunque sorridiamo all’ironia di questa nuova normalità! Perché pensare male quando la personificazione dell’Internet scoppia in una malvagia risata e ammette di averci anestetizzato attraverso la tecnologia (L’apatia è una tragedia e la noia è un crimine! canta Bo)? Non soffermiamoci, basta che prendiamo “a little bit of everything all of the time”. Già… è una “strana sensazione”.
Nella seconda metà dello special, ascoltiamo proprio “That Funny Feeling”: è questo il titolo del brano acustico più intimo, così delicato che la consapevolezza di ciò che stiamo ascoltando colpisce con qualche secondo di ritardo, ma lo fa con devastante precisione. Quasi come fossimo arrivati alla sezione acustica di un concerto, Bo inizia scusandosi per non saper cantare o suonare la chitarra molto bene, e poi comincia una riflessione sugli aspetti più paradossali della società, che però abbiamo accettato con amarezza come parte della normalità. Gli episodi evocati sono spesso legati al contesto degli USA (Un gift shop all’armeria / Una sparatoria al centro commerciale), ma Burnham include dei versi più “universali”, che risvegliano un’angoscia esistenziale:
The whole world at your fingertips, the ocean at your door […]
Twenty thousand years of this, seven more to go […]
Total disassociation, fully out your mind
Googling derealisation, hating what you find
That unapparent summer air in early fall
The quiet comprehending of the ending of it all […]
Hey, what can I say? We were overdue
But it’ll be over soon […]
L’intero mondo a disposizione ai tuoi polpastrelli, l’oceano alla porta […]
Ventimila anni di questo, ne mancano ancora sette […]
Dissociazione totale, completamente fuori di sé / Googlare “derealizzazione”, odiare ciò che scopri / Quella insolita aria estiva nel primo autunno / La tacita comprensione della fine di tutto […] Ehi, che posso dire, abbiamo superato la scadenza / Ma presto finirà […]
Bo Burnham: Inside è in parte autentica disperazione e in parte esasperata autofinzione. Non c’è niente di più pauroso del sentire la propria mente atrofizzarsi in ricerca di uno stimolo dal mondo esterno, quando la tua carriera dipende dalla tua creatività. Il potenziale irrealizzato di Bo, troncato sul nascere della sua nuova e funzionante salute mentale, è rimasto chiuso nel cratere da un tappo (o meglio, una porta chiusa, quella di casa) e l’eruzione che ne è seguita ha raggiunto anche noi. La catarsi si è realizzata, Bo ha espulso dall’organismo tutto il marcio del mondo, è uscito dall’esuvia e l’ha lasciata in un angolo non appena abbiamo potuto riaprire le porte a fine lockdown. Quel guscio vuoto è ancora lì, come una piccola capsula del tempo: maneggiare con cura, fragile. Se ti ci accoccoli dentro, puoi ancora riviverne le sensazioni traumatiche che l’hanno creato.
Trying to be funny and stuck in a room
There isn’t much more to say about it
Can one be funny when stuck in a room?
Being in, trying to get something out of it
Try making faces
Try telling jokes, making little sounds, ooh
I was a kid who was stuck in his room
There isn’t much more to say about it
When you’re a kid and you’re stuck in your room
You’ll do any old shit to get out of it
Try making faces
Try telling jokes, making little sounds
Well, well
Look who’s inside again
Went out to look for a reason to hide again
Well, well
Buddy, you found it
Now, come out with your hands up
We’ve got you surrounded
Provare a far ridere ed essere bloccato in una stanza / Non c’è molto altro da dire
Si riesce a far ridere quando sei bloccato in una stanza? / A star dentro, cercando di ottenerne qualcosa
Prova a fare facce / Prova a dire battute, a fare dei versi
Ero un bambino chiuso in una stanza / Non c’è molto altro da dire
Quando sei un bambino e sei bloccato in una stanza / Faresti di tutto pur di uscirne
Prova a fare facce / Prova a dire battute, a fare dei versi
Bene, bene, guarda chi è tornato dentro / E’ uscito per cercare una ragione per nascondersi di nuovo
Bene, bene, bello mio, l’hai trovata / Ora esci con le mani alzate, sei circondato
[“Look Who’s Inside Again” da Bo Burnham: Inside]
Note
- https://cultweb.it/spettacolo/black-mirror-qual-e-il-significato-del-titolo-della-serie/
- https://www.grammy.com/news/2022-grammys-complete-winners-nominees-nominations-list
CINQUE ANNI DOPO
Editoriale · L’Eclisse
Anno 4 · N° 10 · Febbraio 2025
Copertina di Maria Traversa.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Bianca Beretta, Alice Borghi, Marta Caffa, Michele Carenini, Chiara Castano, Anna Cosentini, Eugenia Gandini, Chiara Gianfreda, Rosamaria Losito, Matteo Mallia, Alessandro Mazza, Marcello Monti, Emiliano Morelli, Valentina Oger, Erika Pagliarini, Carlotta Pedà, Virginia Piazzese, Lorenzo Ramella, Gioele Sotgiu, Vittoria Tosatto, Vittoriana Tricase, Marta Tucci, Maria Traversa, Marta Urriani.




