Recensione del libro Appunti Contadini di Marco Bonfanti

Fonte: Edizioni Clichy
Le opere letterarie narrano storie riguardanti personaggi mitici e memorabili, se non addirittura eroici, lasciando poco spazio a tutto ciò che non esce dagli schemi della quotidianità e dell’impersonalità. Le opere letterarie, infine, tendono ad escludere tutto ciò che viene usualmente reputato banale. Ma se fosse proprio il banale a essere memorabile?
Appunti Contadini, romanzo scritto da Marco Bonfanti e pubblicato da Edizioni Clichy, che ci ha gentilmente omaggiato di una copia, racconta la storia di Michele Naccari. Se il suo nome non vi ricorda nulla, è perché Michele è stato “solo” uno dei tanti individui che, nel corso del tempo, hanno abitato le case di Tropea. Un cittadino come gli altri, che ha trascorso la propria esistenza nel costante sforzo di ritagliarsi un dignitoso spazio all’interno della società. Un lavoratore, un contadino per l’appunto, che ha faticato e sudato enormemente per raggiungere quelle soddisfazioni, magari non numerose, ma certamente vere e tangibili. Eppure, in quella che potrebbe apparentemente sembrare una vita comune come tutte le altre, si nascondono moltissime possibilità, ma anche innumerevoli insidie.
La storia, la fortuna e il caso sono entità, se così si possono definire, indubbiamente esistenti, ma non palpabili. Sono ampiamente concrete, invece, le loro conseguenze, che giocano un ruolo non indifferente nella vita di ognuno di noi.

Fonte: Pinterest
Di primo acchito, Michele Naccari potrebbe sembrare tutt’altro che fortunato: nasce circa un secolo fa a Tropea, in una zona piuttosto povera, in un’epoca in cui le attività quotidiane non sono ancora state alleggerite da tutti gli agi che oggigiorno si danno per scontati. Inoltre, egli cresce in un ambiente familiare culturalmente poco stimolante, in cui spesso e volentieri prevale l’analfabetismo. Non a caso, il piccolo Michele deve affiancare sin troppo presto il lavoro pomeridiano alla scuola per poter aiutare la sua famiglia, che si trova in condizioni economiche non propriamente idilliache. Superate l’infanzia e l’adolescenza, nonché messi in pratica alcuni (fallimentari) tentativi di trasferirsi lontano dalla sua Tropea, Michele si vede ben presto costretto a ritornarci per stabilirsi, ponendo le basi di quell’esistenza che avrebbe poi tanto apprezzato fino all’ultimo dei suoi giorni.
Considerato che, nella nostra cultura, l’approccio di studio alla storia ci mostra quest’ultima come un ambito profondamente asettico e impersonale, il racconto della sua vita è interessante perché permette di analizzare lo scorrere del tempo attraverso gli occhi di una persona comune. Non una serie di date, avvenimenti e novità positive o negative da imparare a memoria, bensì la consistenza del tempo, inesorabilmente mobile e inarrestabile. Essendo la visione della storia, in questo caso, profondamente legata al pensiero del protagonista, è facile che possa causare nel lettore reazioni più o meno favorevoli. Questo è un bene perché chi legge diventa partecipe non solo nei confronti della vicenda principale del libro, ma sviluppa spirito critico anche verso la storia tutta e verso i suoi cambiamenti.
Nella fattispecie, soprattutto se letto e analizzato da una persona giovane, il pensiero di Naccari appare totalmente sconnesso dalla realtà dell’era attuale e, spesso, volutamente critico nei confronti di quest’ultima. Al tempo stesso, emerge in maniera tanto evidente quanto a suo modo triste la sua diffidenza nei confronti di ciò che è nuovo, specialmente dopo il passaggio di testimone a canoni di vita e di riflessione differenti da quelli con cui era cresciuto. Per quanto sia parzialmente comprensibile, la sua irremovibilità nel restare perennemente ancorato a standard vecchi di decenni è quantomeno retrograda. Non si può certamente farne una colpa al singolo, figlio di un retaggio culturale fortemente legato alle tradizioni e poco aperto alle novità, plausibilmente per le suddette carenze intellettualistiche. Inevitabilmente, tuttavia, si nota come questi precetti e questi (apparentemente) insuperabili dogmi siano trasmessi poi anche ai figli di Michele, i quali li recepiscono a loro volta, chi più, chi meno.
Senza dilungarsi in un giudizio morale, l’apertura al nuovo è effettivamente un punto su cui la cultura del nostro paese, a partire dalle istituzioni, dovrebbe lavorare non poco: questo romanzo è sia una dimostrazione che un documento storico-sociale di notevole importanza in questo senso.
Nonostante la critica, va precisato che Michele non si è mai mosso, almeno secondo quanto raccontato, con opportunismo e/o furbizia, ma sempre nella più totale buonafede. Questo dettaglio è la prova che certe usanze sono considerate come delle prassi, inserite nel comportamento comune delle persone. Oggi, forse, lo sono meno che nell’epoca di Naccari, ma questo resta comunque un sintomo di quanto il cambio di passo di cui sopra sia assolutamente necessario.
Bisogna rivolgere i doverosi plausi all’autore, non solo per le sue nobili intenzioni, esposte chiaramente nella postfazione, ma anche e soprattutto per la capacità di mantenere pienamente i registri linguistico ed emotivo carpiti dai racconti diretti di Michele (tra cui si annoverano delle forme come sono nato di Tropea, muglierima e/o la punteggiatura utile per riportare lo stato d’animo di una citazione specifica). A loro modo, anche gli errori di grammatica trascinati dalla voce alla penna non appaiono come un’impurità, bensì come una viva testimonianza di quel mondo che, nel bene e nel male, oggigiorno sta pian piano svanendo. Scegliere la storia di una “persona qualsiasi” e trasformarla in un’opera letteraria è un’impresa molto più ostica di quanto non possa sembrare e, dall’inizio alla fine, Bonfanti ha reso tutto il racconto tanto gradevole quanto più realistico e tangibile possibile: la vera e viva voce delle persone conta più di quanto non si creda.
In ultimo, chiudendo questa recensione allo stesso modo in cui la si è iniziata, è interessante approfondire il ruolo di Michele Naccari e il suo simbolismo. Quest’opera e il suo protagonista non sono altro che la dimostrazione che, come scritto sopra, anche le persone più comuni possono avere aneddoti importanti da raccontare: Michele Naccari è un abitante qualsiasi di Tropea, e si è ritrovato quasi per caso a raccontare per iscritto le sue storie. O, perlomeno, lo era. In effetti, grazie a questo romanzo, Michele Naccari è riuscito a raccogliere e a guadagnarsi una piccola porzione di immortalità, rendendo incancellabile e fruibile a tutti il suo trascorso. Verba volant, scripta manent.
Questa operazione ha concesso a tutti i lettori di poter godere, per l’appunto, di una sua personale interpretazione di tutto ciò che succedeva intorno a lui, anche più lontano. Idealmente, sarebbe bello e forse anche corretto che questo tipo di lavoro venisse applicato a ogni persona. Non solo smetteremmo di visionare la storia come un freddo insieme di date, avvenimenti e personaggi, ma la sentiremmo più nostra, come un mezzo per guardare al futuro conoscendo il passato. Al tempo stesso, più esistenzialmente, sarebbe un metodo per fare in modo che tuttɘ possano guadagnarsi il loro “pezzetto” di immortalità. Sarebbe bello che accadesse per non disperdere la propria esistenza in un nulla di fatto, sotto qualche metro di terra o incastonata in una sorta di stabile in cemento. Sarebbe bello per ricordare che, prima della fine, si è stati anche e soprattutto mente, non solo corpo. Sarebbe bello perché tantissima gente magari aveva idee interessanti da esporre, ma non è probabilmente mai riuscita nell’intento e, pur senza saperlo, questo particolare è inevitabile concausa dei mali che viviamo anche noi. Sarebbe bello, infine, e nella maggior parte dei casi, per la “semplice” condizione di essere un’utopia incantevole e romantica, ma “la vita è così…”.

Alessandro Mazza
Nato nel 2002 in Romagna, sono studente all’Università di Bologna. Lo studio è, fortunatamente, fra le mie passioni, come lettura, musica e scrittura. Insieme ad altre meno “auliche”, come lo sport. Curioso per natura, mi pongo domande e cerco risposte, molto spesso senza successo, ma con conoscenze in più.