Acqua e fango: la mia esperienza con l’alluvione
Pensando a cosa scrivere per questo editoriale, un ricordo mi ha indicato la via. Ho letto varie cose riguardo all’alluvione che colpì, ormai due anni fa, la mia regione (l’Emilia-Romagna): alcuni testi erano strazianti, altri analitici. Invece, io cercherò di donarvi la mia esperienza personale degli eventi.
Sia durante la grande alluvione del maggio 2023, sia in quella dello scorso autunno, ero lontano dalla mia terra, la Romagna. Lontano dallə amicə, dallə parenti e da quei luoghi che fin da piccolo ho conosciuto, mi sentivo imprigionato tra le mura del mio appartamento a Bologna. L’apprensione principale era rivolta alla mia famiglia e al mio paese. Difatti, attraversato da uno dei fiumi principali della Bassa Romagna, il mio paese era tra quelli più a rischio di dissesti e straripamenti. Per giorni ho vissuto dentro una bolla: guardavo video, leggevo notizie e aggiornavo continuamente il sito della Regione dedicato al livello idrometrico dei fiumi. Dimenticato il Covid, quella fu la prima grande catastrofe che il mio territorio affrontava da anni, e io mi trovavo a oltre 80 km di distanza. Passavo quasi tutto il giorno a chiamare familiari, amicə, e anche persone al di fuori della mia cerchia più stretta. Nonostante i migliaia di video sul web, non posso dire di aver vissuto pienamente la catastrofe che piegò la Romagna. A qualcunə potrà sembrare esagerato, ma per molte attività commerciali e famiglie c’è stato un prima e un dopo la primavera del 2023. Si stimano danni per 8,5 miliardi di euro: una somma gargantuesca, in gran parte ancora non colmata. Intere aziende chiusero, agricoltori persero i campi, e comunità intere furono spazzate via o isolate dal resto del mondo per molto tempo.
Dopo qualche giorno presi la decisione di tornare in Romagna: cosa non semplice, perché le reti ferroviarie erano allagate e la polizia intimava di non lasciare i paesi se non per motivi urgenti. Così decisi di dirigermi verso Ferrara – una zona meno colpita – e lì aspettare mio padre. Il tragitto verso il paese fu come assistere a un film apocalittico: in quel momento, e nei giorni successivi, vidi con i miei occhi i disastri causati dalla tempesta, capace di rovesciare sulla regione 450 mm di pioggia, la pioggia che cade in sei mesi, di cui 189 mm in un solo giorno. La cittadina era diventata un’isola, collegata da una sola strada e circondata dall’acqua. Nelle campagne, gli alberi erano divelti, alcuni spezzati in due. Le case avevano perso le tegole, e alcune, abbandonate da tempo, erano crollate al suolo. Sembrava che fosse passata una violenta guerra sul territorio romagnolo.

Come una guerra, lunga quindici giorni, l’acqua portò con sé 17 vite: un bilancio sconvolgente. I fiumi straripati, i canali esplosi e le pestilenze portate dal fango sterminarono una grandissima quantità di fauna ittica. I miasmi e i virus generati dalle carcasse di pesci e animali contaminarono i corsi d’acqua e successivamente l’intera riviera romagnola. Per un mese intero (fino a metà giugno), il divieto di balneazione tenne chiuse centinaia di attività lungo la costa e nell’entroterra vicino al mare.
Finito il pieno dell’emergenza, iniziò la “caccia al colpevole”, come accade spesso in Italia. I disastri causati dall’acqua misero in luce non solo una scarsa preparazione per le emergenze, ma anche un’evidente carenza di cura e manutenzione dei corsi d’acqua e degli argini. Alcune scelte successive furono molto criticate, come quella di abbattere i pini adiacenti alle strade delle cittadine per prevenire altre tragedie dovute alla caduta degli alberi. Ma la polemica maggiore riguardò i rimborsi.
I danni erano enormi, e la Regione, oltre a chiedere aiuto al governo italiano, dovette rivolgersi anche all’UE. Nacque così uno scontro aperto tra Regione e governo sui fondi per il territorio, scontro che continua ancora oggi tra propaganda e verità. La Regione accusa il governo dei ritardi nell’erogazione dei fondi, il governo accusa la Regione di aver gestito in modo confuso e inefficace le risorse finora ricevute. La netta contrapposizione politica tra le due istituzioni – una guidata dal centro-destra (governo), l’altra dal centro-sinistra (Regione) – non ha certo aiutato nella collaborazione.
I lavori di messa in sicurezza delle zone più colpite sono iniziati, ma ormai nell’animo dellə abitanti qualcosa è cambiato. L’impatto del cambiamento climatico è diventato evidente: eventi che un tempo erano eccezionali sono ora stagionali. Nel giro di due anni, altre due alluvioni hanno colpito duramente la Romagna – una nel 2024 e una nel marzo del 2025. Le cose, però, sono cambiate: la popolazione è tristemente abituata e le istituzioni, grazie a un’informazione più mirata e all’utilizzo di allarmi sugli smartphone, cercano di contenere meglio le emergenze. Appena arrivano le prime notizie, si preparano sacchi di sabbia alle finestre, si chiudono i tunnel e si mettono transenne lungo i fiumi. La paura non è scomparsa, ma la popolazione è ora più attiva e pronta a reagire.
Quello della Romagna è stato uno degli ennesimi esempi lampanti del cambiamento climatico. Eventi che un tempo erano eccezionali ora sono comuni. Tantə in futuro ci malediranno, ma noi continueremo a mentirci dicendo che non ce lo saremmo mai aspettato.
Giornali e televisioni hanno raccontato, con servizi drammatici e pieni di retorica, dello “spirito romagnolo”, definendo lə romagnolə come un popolo che non molla mai e affronta tutto col sorriso. Io, da romagnolo, dissento: questo non è lo spirito della Romagna, ma dell’essere umano. Noi tuttə ci pieghiamo o cadiamo, ma in qualche modo andiamo sempre avanti, fino alla fine.