Dal 19 al 27 settembre a Milano si è svolto Le vie del cinema, la rassegna cinematografica annuale organizzata da AGIS Lombardia, che ha portato nelle sale una selezione di film provenienti dai grandi festival internazionali. Ringraziamo AGIS Lombardia per l'accesso stampa alla proiezione di seguito recensita.
Love è il capitolo conclusivo della trilogia Sex Dreams Love (Sex Drømmer Kjærlighet) del regista norvegese Dag Johan Haugerud. Ambientato nella Oslo contemporanea, il film segue le vicende di due colleghi, l’urologa Marianne (Andrea Bræin Hovig) e l’infermiere Tor (Tayo Cittadella Jacobsen), entrambi single, sebbene non particolarmente interessati ad intraprendere relazioni. Marianne viene spinta da un’amica a conoscere un affascinante geologo, appena divorziato, mentre Tor conosce sul traghetto uno psicologo scontroso, che per caso incrocerà nuovamente qualche giorno più tardi. Entrambi saranno incuriositi dalle esperienze sentimentali dell’altro e incominceranno a sperimentare modi alternativi, scissi dalle aspettative della società nei loro confronti, per relazionarsi agli altri.
Chi ha visto il fortunato La persona peggiore del mondo (Verdens verste menneske, 2021, Joachim Trier) ha già in mente le atmosfere dei film scandinavi: un utente su un popolare sito di recensioni le ha descritte con “persone che discutono delle grandi questioni della vita in bellissime case di design”, un altro ha detto che questo è il genere di film “che può essere stato girato solo in un Paese in cui il PIL è andato solo aumentando negli ultimi trent’anni”. Sicuramente, queste osservazioni, per quanto ironiche, contengono un fondo di verità. Love è innanzitutto un film di sceneggiatura, meglio ancora di dialoghi, tramite cui, platonicamente, il regista propone le sue visioni per un mondo nuovo. Le immagini potrebbero sembrare spesso accessorie, per quanto esteticamente piacevoli, ma frequentemente Haugerud lascia la macchina da presa libera di staccarsi dal personaggio che sta parlando e di riprendere Oslo, con cartoline che introducono la città nel cast dei personaggi e la portano al centro delle elucubrazioni del film. Love ha tante grandi idee, spesso confuse, ma non vuole cambiare il mondo. O forse, vorrebbe cambiare il mondo, ma si accontenterebbe anche di cambiare solo la Norvegia, Oslo, un suo quartiere o la vita di uno spettatore.
Per quanto, chiaramente, la riflessione sulle nuove forme dell’amore contemporaneo, tra sperimentazioni di sesso occasionale, famiglie allargate, app di incontri e nuove cure per l’AIDS, implichi quasi automaticamente un occhio privilegiato, bianco e borghese, il film di Haugerud accetta questo presupposto di base e si rivolge a persone che, come i suoi personaggi, condividono queste caratteristiche. E lo fa piuttosto bene, tramite interpretazioni attoriali mai sopra le righe, sfaccettate, discrete e una sceneggiatura mai giudicante, anche se talvolta leggermente didascalica, soprattutto nel tratteggiare l’amica di Marianne, legata a valori tradizionali nel privato, nonostante sostenga cause progressiste sul lavoro e in politica.
Non uno dei titoli migliori dell’anno, ma una finestra interessante su un Paese che è Europa eppure è lontanissimo dal nostro, geograficamente e socialmente, Love è uno spunto per conversazioni e scambi di idee, come dichiarato anche dal regista stesso per la scheda del film alla Mostra di Venezia:
«Per molti versi questo film è utopico: riguarda il tentativo di raggiungere l’intimità sessuale e mentale con gli altri senza necessariamente conformarsi alle norme e alle convenzioni sociali che governano le relazioni. Credo che l’invenzione narrativa svolga un ruolo cruciale nell’immaginare mondi possibili e mentalità alternative. Permette alle persone di esprimersi e comportarsi in modi spesso insoliti. Questo serve da ispirazione per pensare in modi diversi nella vita reale. Con Kjærlighet, e l’intera trilogia, il mio obiettivo principale è stato quello di far capire che è possibile immaginare nuovi modi di pensare e comportarsi».
Love è un film da vedere con parenti e amici, per pimentare un po’ il tanto temuto Pranzo Di Natale, ormai in inesorabile avvicinamento. Allo stesso tempo, è anche una storia delicata di anime in cerca di senso e di affetto in un mondo troppo cinico e rumoroso, un invito a fermarci per due ore e ri-centrare l’asse delle nostre priorità quotidiane. È il promemoria delle piccole fortune che ci capitano ogni giorno, un traghetto verso il futuro in cui ci si può sedere un attimo e sorridere anche solo perché si ama il proprio lavoro. Certo, lo stipendio norvegese aiuta.
Valentina Oger
Nata a Bologna nel lontano 2002, ha girato l’Italia (e, per dieci mesi, la Corea del Sud) prima di approdare al DAMS dell’Università di Torino. Generalmente è la meno socievole del gruppo – ha madre ligure e padre francese – e per L’Eclisse fa l’uccello del malaugurio. La sua ossessione principale è il cinema (per farla apparire basta dire davanti allo specchio “Martin Scorsese” otto volte e mezzo), ma è abbastanza eclettica: le sue ultime celebrity crushes includono Orson Welles, Magnus Carlsen, Farinata degli Uberti e Paul McCartney nel ’66. Ha due gatti e molti dubbi.