Se conoscete un po’ Bologna, sapete che il suo clima estivo è probabilmente il peggiore sulla faccia di questa Terra: caldo, umido, soffocante. Per una, come me, che soffre il caldo e odia sudare, poche cose suonano meno invitanti di passare otto giorni nel capoluogo emiliano, a girare come una trottola e macinare non so quanti chilometri sotto il sole e sotto i portici, dalle nove del mattino alle due di notte, mangiando quello che capita, nel bel mezzo della sessione d’esame. Eppure, l’ho fatto; anzi, l’ho rifatto, per il secondo anno di fila — questo perché amo il cinema, ma probabilmente non amo me stessa.
La trentanovesima edizione de Il Cinema Ritrovato si è svolta a Bologna dal 21 al 29 giugno e io, ancora una volta, c’ero. Della mia esperienza da novizia al festival della Cineteca di Bologna e del laboratorio di restauro L’Immagine Ritrovata avevo parlato in un articolo dell’anno scorso, che trovate qui, in cui cercavo anche di individuare qualche utile stratagemma per rendere l’esperienza il più piacevole possibile. Do as I say and not as I do, mettiamola così.
Quest’anno, il festival si è aperto con La falena d’argento (Christopher Strong), film del 1933 diretto da Dorothy Arzner, che ha introdotto la rassegna dedicata alla grande diva hollywoodiana Katharine Hepburn, ad oggi l’attrice con più Oscar della storia. La rassegna è stata curata dalla critica e studiosa femminista del cinema Molly Haskell, conosciuta ai più per il suo fondamentale volume From Reverence to Rape: The Treatment of Women in the Movies (1974). L’autrice ha introdotto molti dei film della sezione, la quale ha spaziato dagli anni Trenta ai Cinquanta, dal sentimentale Tempo d’estate (Summertime, David Lean, 1955) all’avventuroso La regina d’Africa (The African Queen, John Huston, 1951, con Humphrey Bogart), dalle commedie con Cary Grant, compresa la spassosissima Susanna! (Bringing Up Baby, Howard Hawks, 1938), a quelle con l’amore di una vita Spencer Tracy, come La costola d’Adamo (Adam’s Rib, 1949, George Cukor), dai famosi ruoli che giocano con l’identità di genere – forse il più celebre è Il diavolo è femmina (Sylvia Scarlett, 1935, ancora Cukor) – a quelli che narrativizzano la sua fama di attrice teatrale (voglio citare Palcoscenico, Stage Door, 1937, Gregory La Cava, per me un’autentica scoperta).
Impresa titanica racchiudere la carriera pluridecennale e variegata di Hepburn, di cui Alice Borghi aveva parlato in questo articolo, in una manciata di film, ma di sicuro il risultato è stato uno dei più apprezzati dal pubblico del Ritrovato, a giudicare dalle sale pienissime fin dalle proiezioni mattutine.
Anche altre rassegne si sono concentrate su singole figure: i registi Lewis Milestone, Luigi Comencini, Coline Serreau, Mikio Naruse e Willi Forst e lo scrittore Isaak Babel’ hanno tutti avuto cicli di film dedicati, tra i quali mi piacerebbe evidenziare Eden Palace (The Garden of Eden, 1928, Lewis Milestone), commedia hollywoodiana muta, ma già vicina agli scandalosi temi dell’epoca pre-codice Hays1, il cui nuovissimo restauro è stato presentato al cinema Modernissimo, con accompagnamento live di Stephen Horne al piano e di Frank Bockius alla batteria. Il restauro è ad opera di San Francisco Film Preserve in collaborazione con George Eastman Museum, Library of Congress e The Maltese Film Works, con il sostegno di Sunrise Foundation for Education and the Arts, ed è uno dei migliori visti quest’anno: quasi si percepiva la brillantezza dei sali d’argento del nitrato, nonostante l’operazione sia stata compiuta in digitale 4K.
A proposito, il digitale è stato il protagonista della storica sezione “Ritrovati & Restaurati”, zoccolo duro del festival, che da anni collabora con le maggiori istituzioni di preservazione e restauro al mondo. Una fra tutte, The Film Foundation, creata da Martin Scorsese, che ha finanziato e supervisionato i restauri 4K di alcuni capolavori riconosciuti (Prigionieri dell’oceano, Lifeboat, Alfred Hitchcock, 1944 e Duello al sole, Duel in the Sun, King Vidor, 1946, solo per citarne uno in bianco e nero e uno in un glorioso Technicolor), ma anche di film di cinematografie non occidentali, grazie al World Cinema Project, creato ormai nel 2007. Quest’anno sono riuscita a recuperare, dalla proposta del WCP, São Paulo, Sociedade Anônima (1965, Luis Sérgio Person) e Days and Nights in the Forest (Araṇyēra Dinarātri, 1970), del maestro indiano Satyajit Ray.
Ma, grazie al programma “Cinemalibero” di Cecilia Cenciarelli, co-direttrice del festival insieme a Gian Luca Farinelli, Ehsan Khoshbakht e Mariann Lewinsky, il Cinema Ritrovato si impegna a riportare al centro del discorso una «topografia cinematografica che fa della marginalità il suo centro di indagine. Quest’anno sono le voci meno note della fondamentale stagione del cinema di liberazione latinoamericano, quelle silenziate dal regime iraniano, dalle repressioni del mondo arabo e dalla violenza coloniale»2. Degli undici film in programma, è da segnalare sicuramente L’uomo di cenere (Rih Es-Sed, 1986, Nouri Bouzid), coraggioso e toccante esordio che venne pesantemente censurato nella natìa Tunisia perché metteva in scena argomenti considerati tabù, come l’omosessualità, l’abuso sessuale sui minori e la marginalizzazione degli ebrei tunisini.

Quest’anno, forse, è il cinema muto ad aver brillato di più nelle sale bolognesi. Innanzitutto grazie alla sezione “100 anni fa”, che ogni anno propone pellicole che festeggiano il secolo di vita. Devo dire, nel 1925 gli spettatori erano davvero fortunati: tra gli esordi di maestri come Hitchcock (Il labirinto delle passioni, The Pleasure Garden), Renoir (La figlia dell’acqua, La fille de l’eau) e von Sternberg (The Salvation Hunters) e capolavori come The Big Parade di King Vidor, L’angelo del focolare (Du skal ære din hustru) di Carl Theodor Dreyer e ben due opere di Sergej Ejzenštejn, il celeberrimo La corazzata Potëmkin (Bronenosec Potëmkin) e lo scioccante Sciopero! (Stačka), proiettato in 35 mm in Piazza Maggiore con arrangiamento contemporaneo di Laura Agnusdei (sax, elettronica), Jacopo Battaglia (batteria, elettronica), Luca Cavina (basso), Giuseppe Franchellucci (violoncello), Ramon Moro (tromba), Stefano Pilia (chitarra elettrica, elettronica) e Paolo Spaccamonti (chitarra elettrica)… a vincere su tutti è comunque, nonostante la competizione ferocissima, lui, il re del muto, Charlie Chaplin.
Due parole sul restauro 4K de La febbre dell’oro (The Gold Rush), presentato in Piazza Maggiore con l’accompagnamento dell’Orchestra Sinfonica di Bologna, sono doverose. Nel 1942, Charlie Chaplin compose una partitura per accompagnare il suo capolavoro muto, ma, temendo che il pubblico dell’epoca fosse ormai abituato solo al cinema sonoro, decise di rimontare il film, di scorciare il finale e di aggiungere un “voice-over” che sostituisse pedissequamente le didascalie. Infine, distrusse il negativo camera e perseguì legalmente tutti i possessori delle copie della versione muta, che negli anni è diventata una delle grandi balene bianche dei restauratori. Un iniziale, mastodontico lavoro di restauro fu compiuto nel 1993 da Kevin Brownlow e David Gill, a partire da alcuni materiali sopravvissuti. L’Immagine Ritrovata e la Cineteca di Bologna sono partiti da questa versione, aggiungendo poi materiali provenienti da sette cineteche FIAF3, e hanno portato il pubblico ancora più vicino alla versione originale di una delle massime vette di un grandissimo e poliedrico artista, che ancora oggi riesce a coinvolgere, commuovere, divertire e provocare una piazza gremita.
Altre gemme della programmazione muta di quest’anno, sicuramente, sono non pochi film fino a qualche tempo fa considerati perduti: Esmeralda (1905, Alice Guy-Blaché), uno dei primi adattamenti del Gobbo di Notre-Dame da parte della pioniera francese del cinema, ritrovato nel 2024 presso un collezionista italiano in una copia nitrato 35mm colorata a mano e quasi completa, restaurata in 4K; il primo film del mitico attore comico Ettore Petrolini, Petrolini disperato per eccesso di buon cuore (1905, ritrovato e restaurato in 4K da Fondation Jérôme Seydoux-Pathé presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata, a partire dal negativo scena nitrato); Those Awful Hats, divertente cortometraggio di David Wark Griffith del 1909, di cui la Film Preservation Society ha realizzato un nuovo restauro in 4K nel 2024, reintegrando scene altrimenti perdute a causa della decomposizione; e soprattutto La goccia scarlatta (The Scarlet Drop, 1918), tredicesimo lungometraggio di John Ford.
La storia del ritrovamento di questo film è rocambolesca: salvata in extremis dalla demolizione all’interno di un magazzino cileno, deve aver ben sorpreso gli archivisti, che si aspettavano forse qualche film di serie B commercialmente fruttuoso, non certo una copia nitrato imbibita 35mm del re dei western, considerata perduta per quasi 106 anni e già contenente molti elementi della sua poetica! La pellicola, che comunque presenta molte lacune, è stata per ora scansionata in 4K e proiettata con tutti i difetti ben visibili, dai graffi, alle muffe, ai segni di restringimento e di colla tra i fotogrammi. Certo, non un restauro vero e proprio, ma un’operazione affascinante per osservare i segni del tempo su una pellicola «commercialmente molto sfruttata», come puntualizzato da Jaime Córdova della Cineteca Nazionale del Cile.

Potrei scrivere ancora pagine e pagine su tutte le meraviglie che sono riuscita a vedere quest’anno (e anche su quelle che proprio non sono riuscita a incastrare nel programma), ma, per non tediare i miei pazienti lettori, ho pensato di concludere questo articolo con una breve lista di dieci consigli tra i sessantaquattro film della mia settimana cinefila (in programma ce n’erano quattrocento e cinquantaquattro), ovviamente senza ripetere titoli già citati.
- Un’ora d’amore (One Hour With You, 1932, Ernst Lubitsch)4. Deliziosa commedia romantica-musicale in cui non manca il famoso “tocco” di Lubitsch (con aiuto regia di George Cukor). Il tema è sexy come nel migliore cinema pre-Code, la forma è sorprendente per l’epoca, tra rotture della quarta parete e dialoghi in rima. Candidato all’Oscar nel 1932, ancora oggi è una boccata d’aria fresca.
- Betty Boop – Snow White (1933, Dave Fleischer)5. Qua sto barando, perché, pur avendo visto una deliziosa selezione di corti dei Fleischer Studios (tra cui un Greedy Humpty Dumpty, 1936, particolarmente azzeccato al clima politico odierno, e un KoKo’s Tattoo, 1928, che unisce sorprendentemente animazione e live-action), per mio errore non sono riuscita a rivedere questo in particolare, che pure è uno dei miei film d’animazione preferiti. Voglio dire, Cab Calloway presta la voce a KoKo il Clown, che si spinge fino agli Inferi per salvare Betty Boop/Biancaneve. Stupendo.
- Riso Amaro (1949, Giuseppe de Santis)6. Capolavoro nostrano e uno dei pochi film neorealisti a riscuotere un grande successo al botteghino, rampa di lancio per i giovanissimi Silvana Mangano, Vittorio Gassman e Raf Vallone, teatro di grandi cuori spezzati (quello di Marcello Mastroianni, allora sconosciuto e fidanzato con Mangano, che lo lasciò per il produttore Dino De Laurentiis) e di grandi amori (quello di Cesare Pavese, in visita sul set, prima per la protagonista Doris Dowling e poi per la sorella, Constance) e, soprattutto, grande film sul dopoguerra, la povertà, la sorellanza, la disperazione, l’invidia, il lavoro.
- Artisti e modelle (Artists and Models, 1955, Frank Tashlin)7. Ovvero, vi presento il Technicolor. Dean Martin e Jerry Lewis in un’avventura tra fumetti, sesso e corsa allo spazio, assistiti da una spumeggiante Shirley MacLaine, quasi esordiente, e le seducenti Eva Gabor e Anita Ekberg, in una grande apologia della cultura bassa e della fantasia. Il regista viene dall’animazione, in particolare dalla serie dei Looney Tunes, e si vede: chi più di Jerry Lewis è una versione in carne ed ossa di Daffy Duck, come puntualizzato da un commentatore di Letterboxd?
- Sadismo (Performance, 1970, Nicolas Roeg e Donald Cammell)8. Esordio di Nicolas Roeg, girato nel 1968 ma bloccato dalla Warner Bros per due anni. Il film esplora identità di genere e repressione attraverso una fotografia barocca, un montaggio psichedelico e i corpi mutabili di Mick Jagger, James Fox e Anita Pallenberg. La sequenza di Memo from Turner è elettrizzante, e l’intero film è un’esperienza sensoriale travolgente, perfetta per una proiezione di mezzanotte da vedere in stato alterato.
- Strade violente (Thief, 1981, Michael Mann)9. Quando mi hanno detto che questo è l’esordio di Michael Mann, non ci credevo. L’estetica dell’autore è già pienamente formata, i temi di suo interesse sono già sviluppati. La colonna sonora dei Tangerine Dream abita lo spazio urbano e la malinconia dei personaggi, fondendo noir e gangster movie, ma senza mai dimenticare il pubblico coevo e il suo intrattenimento. Pochi film urlano “anni Ottanta” come Thief, che pure non sembra invecchiato di una virgola. A vederlo, si rimpiange la meticolosità quasi documentaristica di Mann e viene da chiedere, a certi action moderni, un po’ della sua parsimonia.
- L’angelo della vendetta (Ms. 45, 1981, Abel Ferrara)10. “Cult” è un termine che viene spesso gettato un po’ a vanvera, ma a Ms. 45 calza a pennello. Breve e conciso, violento ma mai voyeuristico, grottesco e crudo, blasfemo ed empatico, lo specchio di un’alienazione ancora più estrema di quella del suo modello, Taxi Driver, perché rimette al centro i tanti emarginati della grande metropoli. In questo film, definito da alcuni femminista (io ho le mie perplessità) perché medita sul sottogenere rape-and-revenge, la vendetta genera solo altro dolore, ma è l’unica soluzione di una società vuota e vapida. Con la sua patina lurida a incorniciare il volto angelico della giovanissima protagonista, la diciassettenne Zoë Tamerlis, è forse il film più magnetico di questa edizione.
- Brazil (1985, Terry Gilliam)11. Nell’incontro con il co-direttore del festival, Gianluca Farinelli, Terry Gilliam ha detto di non aver letto 1984 fino a dopo aver completato la lavorazione di Brazil. Eppure, l’ex-Monty Python realizza forse il miglior adattamento del romanzo di Orwell, creando un mondo visivo straordinario e claustrofobico, abitato da marionette impazzite e in cui non ci si può mai fidare di nessuno. Un tripudio di gag che, nel giro di un minuto, si trasformano in angosciose trappole per il protagonista, un perfetto Jonathan Pryce, vero everyman perso tra fare ciò che deve, ciò che vuole e ciò che è giusto. Gli ultimi venti minuti sono puro cinema, flusso di immagini, omaggio ai grandi, abbandono definitivo.
- Caméra Arabe (1987, Férid Boughedir)12. Breve documentario indipendente realizzato da un giovane regista algerino in seguito a Caméra d’Afrique, girato qualche anno prima. «Il formato di un’ora è troppo breve per andare oltre un rapido accenno ai film e ai registi principali, ma offre comunque un valido punto di partenza a chi desidera una panoramica generale» scriveva Anthony Yung su Variety, eppure, nel 2025, il documentario colpisce nel segno, soprattutto quando si considera quanto spazio è lasciato alla questione palestinese (il film esce nell’anno della prima intifada). Un documento prezioso, che non solo illustra la ricchezza e la varietà del cinema di lingua araba, ancora poco conosciuto in Italia, ma soprattutto trasmette l’entusiasmo e il coraggio dei cineasti post-coloniali e la loro indomita voglia di libertà.
- Yi Yi – E uno… e due… (Yi Yi, 2000, Edward Yang)13. Per me, il film di chiusura di questo Cinema Ritrovato, nonché il più recente. Edward Yang apre il nuovo millennio e chiude la propria carriera con un’epopea sentimentale di tre ore, in cui lo spettatore impara a convivere con i personaggi sullo schermo e si fa partecipe delle loro ansie, speranze, scappatelle, segreti, delusioni, dolori, scoperte. Un film che scava negli animi alla ricerca di un’effimera verità, quindi un film sul desiderio, in tutte le sue forme, quindi un film sull’insoddisfazione e sull’umanità. Una fotografia meticolosa e spartana, una regia controllatissima, delle prove attoriali disinvolte e pudiche, una sceneggiatura che in poche parole arriva dritto al cuore. Così bello che tre ore volano via, anche dopo otto giorni di Cinema Ritrovato.
Si ringrazia la Cineteca di Bologna per l’accredito stampa.

Valentina Oger
Nata a Bologna nel lontano 2002, ha girato l’Italia (e, per dieci mesi, la Corea del Sud) prima di approdare al DAMS dell’Università di Torino. Generalmente è la meno socievole del gruppo – ha madre ligure e padre francese – e per L’Eclisse fa l’uccello del malaugurio. La sua ossessione principale è il cinema, ma è abbastanza eclettica: le sue ultime celebrity crushes includono Orson Welles, Magnus Carlsen, Farinata degli Uberti e Paul McCartney nel ’66. Ha due gatti e molti dubbi.
Note
- Il codice di auto-censura di Hollywood, pubblicato nel 1930 ma applicato davvero solo dal 1934. La cosiddetta epoca “pre-code” era caratterizzata da film con argomenti ritenuti scabrosi, spesso riguardanti la sfera del sesso, della violenza o delle “perversioni”, il che alimentò la nomea di mezzo di corruzione delle masse del cinema e di luogo di perdizione di Hollywood.
- Dal catalogo del festival, consultabile qui.
- Federazione Internazionale degli Archivi Cinematografici (l’acronimo è francese); le cineteche in questione sono: BFI National Archive, Blackhawk Films, Lobster Films Collection, Bundesarchiv, Filmoteca de Catalunya, George Eastman Museum e MoMA – The Museum of Modern Art.
- Restaurato in 4K da Universal Pictures presso il laboratorio NBCUniversal StudioPost, a partire dal duplicato negativo 35mm e da un fine grain composito 35mm.
- Restaurato in 4K, insieme a un’altra manciata di corti di Fleischer, tra il 2022 e il 2025 da Fabulous Fleischer Cartoons in collaborazione con Paramount Pictures Archives presso i laboratori Cineaste Restoration, Chelsea Rialto Studios, NAAH LLC, Thunderbean Animation 2135 Kensington LLC e Christopher Gray Post Production. Restauro supervisionato da Thad Komorowski, produzione a cura di Jane Fleischer Reid e Mauricio Alvarado in associazione con Sam Davis.
- Restaurato in 4K nel 2025 da Cineteca di Bologna in collaborazione con Cristaldifilm presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata, a partire dal negativo originale, un duplicato negativo e una copia positiva depositati da Cristaldifilm presso CSC – Cineteca Nazionale e dal controtipo positivo del restauro promosso nel 1994 da CSC – Cineteca Nazionale. Con il sostegno di “A Season of Classic Films”, un’iniziativa di ACE – Association des Cinémathèques Européennes, parte del programma MEDIA di Europa Creativa.
- Restaurato in 6K nel 2024 da Paramount Pictures presso il laboratorio ColorTime, a partire dal negativo originale VistaVision 35mm.
- Restaurato in 4K nel 2024 da The Criterion Collection presso il laboratorio Resillion, a partire dal negativo scena originale 35mm. Restauro approvato dal produttore Sandy Lieberson.
- Restaurato in 4K nel 2025 da The Criterion Collection presso i laboratori Resillion e Roundabout Entertainment, a partire dal negativo scena originale 35mm. Restauro approvato da Michael Mann.
- Restaurato in 4K nel 2025 da Arrow Films presso i laboratori Warner Bros. Motion Picture Imaging e Resillion, a partire dal negativo originale 35mm.
- Restaurato in 4K nel 2025 da The Criterion Collection presso il laboratorio Company 3, a partire dal negativo originale scena 35mm. Restauro supervisionato da Terry Gilliam
- Restaurato in 4K nel 2023 da Cosmo-Digital in collaborazione con CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée presso il laboratorio Cosmo-Digital, a partire dalle copie 16mm originali. Con il sostegno di CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée.
- Restaurato in 4K nel 2025 da Pony Canyon presso il laboratorio IMAGICA Entertainment Media Services, a partire dal negativo acetato originale 35mm. Restauro sonoro effettuato da Tu Duu-Chih, a partire dal suono Hi8 conservato a Taiwan. Grading effettuato da Noboru Yamaguchi sotto la supervisione di Kaili Peng.