Sette volte bosco, sette volte prato, poi tutto tornerà com’era stato
Proverbio trentino
Fin da quando sono nata, ho trascorso gran parte dell’estate in montagna, al confine tra Lombardia e Trentino. Qui, si cammina su sentieri e mulattiere che un tempo furono percorsi dai militari durante la Prima Guerra Mondiale, intenti a raggiungere forti e avamposti ancora oggi in piedi (e visitabili). Non è raro che qualche escursionista si imbatta in vecchi cimeli appartenuti alle truppe del Regio Esercito, da una parte, o dell’Impero austro-ungarico, dall’altra: un coltello, un pezzo di sci, un frammento di elmetto. È un pezzo della nostra storia, che si può conoscere e toccare girando per le valli che sono state teatro di aspri combattimenti e che, dalla Val di Sole in avanti, fino al 1918 facevano parte del tirolo austriaco.
È nelle valli intorno a Rovereto, vicino al torrente Leno, che Caterina Manfrini (Rovereto, classe 1996) ambienta il suo romanzo d’esordio Sette volte bosco, edito da Neri Pozza.
La storia comincia con il ritorno di Adalina al suo maso nel paese natale, dopo un periodo nel campo profughi di Mitterndorf, in Austria. La prima parte del libro ha un ritmo più lento: infatti, l’autrice ci fa immergere in una comunità che, dopo la guerra, procedendo un po’ incerta ma molto determinata, deve ricostruirsi e riprendere a vivere. Il tempo della comunità è scandito dal mercato settimanale, dove chi ha qualcosa da offrire prova a venderlo, e dal ritmo naturale delle giornate e delle attività principalmente agricole.
Adalina attende il possibile ricongiungimento con il fratello Emiliano, arruolato nell’esercito austro-ungarico e ora prigioniero degli taliani. Durante questa attesa, avviene un incontro inaspettato con un giovane soldato, che le si presenta in tedesco e confessa di essersi rifugiato nel suo maso di nascosto, dopo essere fuggito dai combattimenti.
Attorno a lei, vediamo un territorio che ha vissuto il passaggio da un’identità amministrativa ad un’altra, dove la comunità cerca di ricostruirsi giorno dopo giorno attraverso la vita quotidiana e le abitudini, che non dipendono dalla bandiera di riferimento.
Sette volte bosco è un libro profondamente legato al suo territorio. Le incursioni dialettali ne sono una traccia evidente: da parole isolate come putela per dire “ragazza”, fino a intere frasi nei ricordi del padre di Adalina, che necessitano di una traduzione per essere comprese totalmente. Per comprendere meglio questo legame molto forte con l’ambiente circostante e la storia di quei luoghi, ho avuto il piacere di intervistare l’autrice stessa, domandandole quanto della memoria della guerra viva ancora nei paesaggi e nelle persone delle “sue” valli del Leno e nei territori che hanno vissuto il conflitto.
« Secondo me, le montagne qui attorno hanno molto da raccontarci. Sono tanti i prati segnati dai crateri delle bombe e capita ancora di imbattersi non soltanto nelle grande opere belliche, come forti e trincee, ma anche in piccoli cimeli della vita militare in quota: vecchi chiodi, lattine, pezzi di filo spinato… Per questo, credo, anche la memoria collettiva è particolarmente sensibile in queste zone. È importante fermarsi a riflettere sui cambiamenti delle valli e dei paesi che oggi brulicano di vita e che un centinaio di anni fa erano macerie, ma anche dei boschi ricresciuti dopo la distruzione più totale. Mi piace pensare che vivo in un posto dove le comunità, in uno sforzo comune con la natura, hanno portato avanti il sogno di ricostruire tutto. »
La scrittura di Manfrini si inserisce in quello che si potrebbe non canonicamente definire uno “stile di montagna”. Si tratta di una scrittura in equilibrio tra la dimensione poetica e la dimensione più ruvida e concreta. È una letteratura che, come nei testi di Mario Rigoni Stern, Dino Buzzati o Primo Levi (che, in effetti, andavano spesso in montagna insieme), sa esprimere riflessioni fresche, che risultano autentiche nella loro semplicità, proprio a partire dall’osservazione dell’ambiente circostante. Le ho chiesto, quindi, se, secondo lei, l’ambiente finisce inevitabilmente per fondersi nella scrittura:
« È una domanda che mi sono posta io stessa molte volte. Forse sì, forse un po’ della magia dell’alta quota finisce a infilarsi anche tra le pagine di chi ne vuole scrivere. Per me la montagna è lo spazio della fatica, ma anche del riposo, della solitudine, ma anche della solidarietà. È un posto che concilia il silenzio e allo stesso tempo è dove, qualche volta, è possibile raccontarsi cose che nella vita di tutti i giorni non riusciremo a dirci. Mi piace pensare che questa sua anima bellissima e sempre contraddittoria potrebbe essere un “ingrediente segreto”. »
Sette volte bosco è un esordio confortante, anche se non si tratta della prima pubblicazione dell’autrice. Il suo libro precedente, Cugini (edito Einaudi e pubblicato nel 2024), è un romanzo di formazione per ragazzi, ambientato durante la Seconda guerra mondiale. Anche in quest’ultimo ritorna un forte sfondo storico e bellico. Ma perché tornare su questi temi? E perché, invece, cambiare il proprio target di riferimento?
« Sin da piccola, sono rimasta affascinata dai racconti di infanzia dei nonni e dei parenti più anziani. Le loro erano storie semplici, come di quando con i genitori andavano al torrente a fare legna o di quando salivano tra ragazzi in alpeggio con le mucche e dormivano all’aria aperta, sulla paglia. Le due guerre facevano sempre in qualche modo da sfondo a quelle vicende: uno zio era partito per il fronte orientale e non era mai tornato; l’altro si era ripresentato dopo anni con un sacco di monete e ci aveva comprato un campo da coltivare; una sorella maggiore era nata nel campo profughi di Mitterndorf, nella miseria, e il marito era diventato poi aviatore nella Seconda Guerra Mondiale… Nei loro piccoli frammenti di vita finivano, insomma, per intrecciarsi vicende grandi, grandissime, ed è alle loro voci, anche molto scherzose e ironiche, che mi sono ispirata nella stesura del mio libro precedente. Con ‘Sette volte bosco’, invece, il tono della storia mi è da subito sembrato diverso, forse un po’ più malinconico in certi punti, e mi sono proposta la sfida di scrivere per un pubblico adulto. »
Sette volte bosco è uno di quei romanzi in cui la Storia si intreccia con la storia narrata, costruita attorno a una trama che inizia piú lenta (senza però mai lasciare spazio al superfluo) e che poi snoda, nella seconda parte, i suoi intrecci. Manfrini offre, dunque, una narrazione che è, allo stesso tempo, storia d’amore, racconto di formazione, di radici e di ricostruzione.
Leggerlo in una valle, l’alta Valle Camonica, non lontano dal luogo in cui il romanzo è ambientato, ha sicuramente contribuito alla mia esperienza di lettura. Ma sono convinta che anche chi lo leggerà altrove potrà apprezzare la qualità della scrittura, priva di orpelli e ben calibrata, unita anche alla capacitá della scrittrice di far nascere, pagina dopo pagina – anzi, passo dopo passo, come quando si cammina in salita – una profonda empatia con i personaggi. Dai più comprensibili, come la protagonista, con cui entriamo in sintonia senza difficoltà fin da subito, a quelli più irrequieti e delicati, come Stefan o Emiliano, che, non del tutto limpidi nelle prime pagine, rivelano a poco a poco la loro complessa umanità.
Ringraziamo la casa editrice Neri Pozza per averci inviato il libro e l’autrice per aver collaborato con l’intervista.