Attenzione! Questo articolo potrebbe minare certezze, abbattere falsi miti ed estirpare pericolosi pregiudizi.
Il tipo giusto, il match… stiamo forse parlando di Tinder o di un modo miracoloso di trovare la dolce. metà? Mi dispiace deludervi, ma no. Anzi, non esattamente. In questo articolo vi spiego come fare match con il tipo giusto, per trovare la vostra anima gemella nel mondo e… salvarle la vita.
“Niente si dà tanto come quando si danno delle speranze.”
– Anatole France
Un anno fa mi sono recata all’Ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo per sottopormi ad un prelievo di sangue. Non era un prelievo qualsiasi: mi stavo tipizzando per diventare donatrice di midollo osseo. Qualche settimana dopo, il telefono ha vibrato e una mail mi ha annunciato che, da quel momento, il mio nome sarebbe stato inserito a tutti gli effetti nel Registro Italiano dei Donatori di Midollo Osseo (IBMDR).
Da quando, negli anni del liceo, sono entrata in contatto con l’ADMO e ho scoperto la verità sulla donazione di midollo osseo, non ho mai perso occasione per parlarne. Non potevo non farlo anche qui, su L’Eclisse.
Iniziamo con qualche informazione di base, dopodiché potrete leggere direttamente le esperienze di chi ha vissuto la donazione in prima persona, sia come donatore che come ricevente. Queste persone vi spiegheranno come si diventa donatori e perché è importante che chi può donare compia questa scelta.
1. Cos’è e a cosa serve il midollo osseo?
Il midollo osseo è un tessuto molle che alla vista si presenta come sangue. La sua funzione è quella di produrre e rinnovare le cellule ematiche: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. 1
2. Dove si trova il midollo osseo?
Il midollo osseo si trova nelle cavità delle ossa piatte, specialmente in quelle del bacino. Il midollo osseo non si trova nella schiena, dal momento che non è il midollo spinale: sono due cose molto diverse! Diffidate delle imitazioni, ma soprattutto di chi vi dice di non donare il midollo perché potrebbe causare danni alla vostra colonna vertebrale.
3. Perché dovrei donare il midollo osseo?
La donazione del midollo osseo permette di curare malattie del midollo osseo, del sangue e del sistema immunitario altrimenti incurabili. Alcuni esempi: leucemia, linfomi, mielomi, malattie autoimmuni e tumori solidi.
4. Perché servono così tanti donatori potenziali?
Perché il trapianto di midollo osseo richiede tassativamente una soglia di compatibilità tissutale: ciò significa che donatore e ricevente devono avere gli stessi geni HLA (antigene leucocitario umano), ossia il gruppo di geni che controlla il “riconoscimento” dei vari tessuti dell’organismo. Tale compatibilità viene cercata in un primo momento tra i fratelli e le sorelle del paziente, ma solo nel 25% dei casi questa si verifica. Dopodiché, si cerca nei donatori non consanguinei. Anche qui, però, la compatibilità è molto rara: 1 su 100mila. Quindi più siamo, meglio è! Ci sarà un campione sempre più ampio all’interno del quale cercare la compatibilità.
Acquisite queste conoscenze di base, vi lascio nelle mani di Federica2, che ho intervistato con ammirazione.

Mi parli un po’ di te?
Mi chiamo Federica Rizzi e abito a Stezzano in provincia di Bergamo. Ho quasi 35 anni, una bimba di quasi 7, e lavoro full-time come impiegata in un’azienda della zona. Una chiamata speciale è arrivata inaspettata nella mia vita frenetica e sempre di corsa.
Come hai conosciuto l’ADMO o, più in generale, come hai saputo della donazione di midollo osseo?
Sono donatrice di sangue presso l’AVIS dall’età di 18 anni e sono sempre stata interessata e propensa al volontariato e all’aiuto per gli altri. Purtroppo, però in AVIS non avevo trovato molte informazioni sulla donazione di midollo osseo; semplicemente, ne sentivo parlare. Questo, unito alla mia volontà di diventare mamma, ha fatto sì che fino ai miei 32 anni non sia mai scattata in me la “molla” della decisione definitiva, che si manteneva semplicemente nella forma di una volontà vaga e generale di aiutare tutto e tutti, ma che poi effettivamente, tra una cosa e l’altra, per diversi anni non si è concretizzata.
Quando ti sei poi iscritta e tipizzata?
La famosa “molla” è scattata poco più di 2 anni fa: mi sono iscritta e tipizzata nel settembre 2019. Quel giorno ebbi la possibilità di partecipare ad un incontro di sensibilizzazione organizzato dall’ADMO presso il centro commerciale Orio Center. In quell’occasione, ho potuto sia iscrivermi che tipizzarmi. La tipizzazione consiste in un semplice prelievo di sangue, che viene poi analizzato in laboratorio e registrato nella banca dati dei donatori. Dopo un paio di mesi, ho ricevuto la mail ufficiale che mi ha comunicato l’idoneità alla donazione. Quando ti iscrivi, sembra tutto aleatorio e non reale. Dici “sì ok, sto facendo una cosa bella…ma tanto 1 su 100mila figurati se chiamano proprio me”.
Hai avuto paura di diventare donatrice di midollo osseo?
No, nel momento in cui mi sono iscritta, l’ho fatto senza esitazione e con la consapevolezza che avrei risposto “sì” ad un’eventuale chiamata. ADMO non obbliga gli iscritti a donare a tutti gli effetti, quando si riscontra una compatibilità; tuttavia, questo per me era un obbligo morale: una decisione consapevole e risoluta, che avrei affrontato fino in fondo.
Mi spieghi quali sono i requisiti per diventare donatore e quali passaggi bisogna poi seguire?
I requisiti per iscriversi sono tre: godere di buona salute, pesare almeno 50 kg e avere un’età compresa tra i 18 e i 36 anni non compiuti. Più il donatore è giovane, più ci sono possibilità di buona riuscita della donazione.
Io sono stata fortunata perché ho potuto informarmi, iscrivermi e tipizzarmi in un solo momento e in un solo luogo, cioè nel centro commerciale di cui ti dicevo. Uno dei modi per diventare donatore, quindi, è trovare e partecipare a queste occasioni di incontro organizzate da ADMO (che però purtroppo il Covid ha ostacolato).
In alternativa, ci si può iscrivere sul sito dell’ADMO (https://admo.it/iscriviti/), indicando la propria preferenza per l’ospedale che si desidera; successivamente si viene contattati dalla struttura scelta per fissare l’appuntamento per la tipizzazione. Dopo qualche settimana, se tutto è “in regola”, si riceve l’e-mail di conferma.
Mi racconti come hai scoperto della compatibilità e che emozioni hai provato in quel momento?
Un anno e mezzo dopo la mia iscrizione, cioè a maggio 2021, sono stata chiamata dal reparto di ematologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo per comunicarmi che era stata riscontrata una compatibilità tissutale da verificare e confermare. Alla ricezione della chiamata, mi si è spento e riacceso un interruttore un migliaio di volte nella testa: sono andata totalmente in tilt. Quando poi l’ho comunicato ai miei famigliari, ho riscontrato tanta preoccupazione; c’è sempre l’idea che, quando si dona, ci si privi per sempre di qualcosa. Le persone a me vicine mi hanno detto: “Perché lo fai? Proprio tu che stai bene e sei in salute”. Ma il punto è proprio questo: dono perché io sto bene e qualcun altro no.
Che iter hai dovuto seguire da quel momento?
Dal momento della scoperta della compatibilità, il percorso non è stato proprio semplicissimo come spesso viene detto. Alcune persone mi avevano detto “è una passeggiata”: a me piace essere schietta e dire che non è esattamente una passeggiata. Nonostante la disponibilità e la cortesia del personale ospedaliero, ci sono tante visite e tanti controlli da fare, per tutela assoluta della salute sia del donatore che del ricevente: esami con l’ematologo e con l’anestetista, RX al torace e all’addome, test di gravidanza, elettrocardiogramma, esame delle urine e infine, ovviamente, esami del sangue a non finire. In più, essendo io stata chiamata in piena era Covid, a tutto ciò si è aggiunta una sfilza di tamponi.
A livello psicologico, ma anche di tempo ed energia, è un percorso abbastanza impegnativo. D’altro canto, però, fornisce un check up completo, che privatamente avrebbe un costo decisamente elevato, ma soprattutto, è la dimostrazione dell’attenzione riservata alla piena sicurezza del donatore. Mi è stato detto molte volte dai medici: se ci fosse stato anche solo un piccolo problema o dubbio tale da mettermi in difficoltà, non avrebbero mai approvato la donazione (anche in presenza di compatibilità).
Com’è avvenuta l’effettiva donazione di midollo osseo?
Ho donato tramite aferesi da sangue periferico. Questa procedura, che viene scelta in nell’oltre 80% dei casi, prevede che nei cinque giorni precedenti alla donazione, il donatore faccia delle iniezioni sottocutanee di fattore di crescita: quest’ultimo fa sì che le cellule staminali del midollo osseo escano dalla loro sede e arrivino al sangue periferico (del braccio, per capirci). Io ho fatto le iniezioni nella pancia, in autonomia perché sono molto semplici da fare. Però, chi volesse, potrebbe farsele fare in ospedale. Di protocollo, inoltre, l’ospedale fornisce Tachipirina 1000 nei cinque giorni delle iniezioni, perché si potrebbe sentire un po’ di dolore alle ossa.
Il venerdì ho iniziato le iniezioni e il martedì mattina ho poi donato. Mi trovavo nel reparto di ematologia, sdraiata tra i pazienti del reparto: è stata un’esperienza che mi ha colpita. Ho pensato: “Io sono qui perché sto bene e sono qui per aiutare persone come loro”. Tutte le mie paure sono svanite.
La donazione tramite aferesi prevede che ci siano due aghi: quello di sinistra toglie il sangue, il quale poi passa in una macchina che estrae le cellule staminali; il resto del sangue viene reinfuso nel braccio destro. Nel frattempo, in endovena ricevevo anche vitamine e sali minerali per reidratazione. In 4 ore di donazione, è stato raccolto molto più del necessario: questo dava la possibilità di un’eventuale seconda rinfusione al ricevente.
Dopo la donazione, pensavo che mi sarei sentita uno straccio. Invece, avevo solo una gran fame! Ho avvertito solo un po’ di stanchezza il pomeriggio stesso, ma nulla di che.
Esiste anche un’altra modalità di donazione, che consiste nel prelievo del midollo osseo dalle ossa del bacino, sotto anestesia epidurale o totale. Questa modalità viene scelta raramente, cioè soltanto nei casi di malati pediatrici o con patologie molto aggressive. In Lombardia ci sono state 300 donazioni lo scorso anno, di cui l’89% eseguite tramite aferesi.
Donare il midollo osseo lascia ripercussioni e/o conseguenze irreversibili sulla salute?
No, donare il midollo osseo non ha alcuna conseguenza sulla salute. Nel periodo successivo alla donazione e poi una volta all’anno, il donatore è sottoposto a controlli ospedalieri, per verificare che i livelli di ciò che è stato stimolato con i fattori di crescita siano tornati regolari. Nel mio caso, dopo soli sette giorni, tutti i valori erano tornati nella norma. I medici mi avevano detto che il midollo si sarebbe riformato tranquillamente nel giro di una settimana o poco più.
Conosci la persona a cui hai donato il midollo?
Non conosco il mio fratello genetico, so solo che si tratta di un ricevente francese e che ha un peso simile al mio. Gli ho scritto una lettera, ma purtroppo non ho mai ricevuto risposta.
La tua esperienza di donazione ha avuto un impatto emotivo sulla tua vita?
Dopo aver donato, mi sono sentita una supereroina e ho avvertito un’emozione impagabile, che mai avrei pensato di provare nella mia vita. Mi sono emozionata come quando ho partorito mia figlia: seppur non stessi tenendo in braccio nessuno, mi sono sentita come se avessi appena dato la vita.
Ad oggi, sei attiva per sensibilizzare sul tema?
Attualmente, ogni qual volta ne ho la possibilità, parlo del tema e della mia esperienza. Vorrei poi, COVID permettendo, fare degli interventi di sensibilizzazione presso scuole e aziende. Spero col cuore che ogni persona che spingo ad iscriversi sia una vita in più salvata.
Federica ci ha aiutato a conoscere e capire molte cose, ma manca ancora un’altra testimonianza, quella di una persona che il midollo lo ha ricevuto. Nel tragitto università-casa, Renato3 si racconta a me molto apertamente. Niente domande o scalette: questa è, “semplicemente”, la sua storia.

Sono Renato Bertino, ho 23 anni e vengo da Cuneo, in Piemonte. Ho da poco potuto riprendere a studiare Comunicazione presso lo IAAD (n.d.r.: Istituto d’Arte Applicata e Design) di Torino. Mi affascina tutto ciò che è d’epoca e sono un accanito amante dei gatti e dei viaggi.
La storia che voglio raccontarti inizia quando frequentavo la quarta superiore: avevo 17 anni e stavo per concludere l’anno scolastico. Facevo anche uno sport, chiamato enduro, una disciplina del mountain bike che si pratica principalmente su strade sterrate. Il mio sogno era quello di essere uno dei big di questo sport. In quel periodo, quando sentivo parlare di brutte malattie, le vedevo sempre come cose molto distanti da me, che non mi avrebbero mai potuto toccare: mi sentivo fortissimo e senza limiti di energia. Quindi, perché mai sarebbe dovuto capitare proprio a me?
Ma quel 28 aprile 2016 maledetto, durante un allenamento, ho cominciato a sentire un piccolo fastidio all’ascella destra; controllando, ho trovato una “micropallina”. Questo sintomo è stato sottovalutato dal mio medico di base per diverso tempo, e ciò ha fatto tardare la mia diagnosi. Ad agosto, dopo mesi di controlli e accertamenti, dopo un’operazione di rimozione del linfonodo e un esame istologico, la diagnosi è arrivata chiara e infame: hai il linfoma di Hodgkin, un tumore del sistema linfatico. Di lì a poco, in concomitanza con l’inizio del quinto anno, avrei cominciato la chemioterapia. Da quel momento, sono iniziate grosse rinunce. La prima di tutte, il taglio dei capelli, subito seguito dalla difficoltà a intraprendere con serenità il quinto anno. Facevo una chemio ogni tre settimane e nei giorni successivi non riuscivo a mangiare nulla, né tanto meno ad andare a scuola. Le mie difese immunitarie erano bassissime: era come se Covid e rischi connessi, per me, fossero arrivati in anticipo. I miei amici organizzavano il viaggio di maturità e io rispondevo loro che non sapevo nemmeno se, per allora, ci sarei stato ancora.
Fortunatamente, però, questo primo linfoma di Hodgkin l’ho superato con l’ultima chemioterapia a dicembre 2016 e il successivo mese di radioterapia: ero in remissione completa. Finalmente, stavo riprendendo in mano la mia vita e ricominciavo a pensare al futuro. Certo, non ero proprio la stessa persona di prima, ma almeno riprendevo energia. In quel periodo di riscoperta serenità, ho fatto e superato il test d’ingresso per l’università dei miei sogni (quella che tuttora frequento) e sono anche partito per un viaggio d’avventura per festeggiare la maturità.
Nel corso del secondo semestre di università, però, ho iniziato ad avvertire un fastidio molto forte alla schiena. Quella volta l’ho capito, ancora prima della diagnosi. Nel luglio 2017 mi è stata riconfermata la malattia, in una forma però molto più aggressiva rispetto all’anno precedente. Questa volta, avrei dovuto fare una massiccia chemioterapia, seguita da un trapianto autologo (n.d.r.: un trapianto effettuato con cellule o tessuti provenienti dal paziente stesso che li riceve), ma non ha funzionato.
In ottobre 2018, venni quindi mandato dalla responsabile dei trapianti del mio ospedale, che mi disse che mi avrebbero dovuto inserire nella banca dati mondiale di pazienti in attesa di ricevere il midollo osseo: era la mia unica speranza. Non avendo fratelli né sorelle, contavo solo su un donatore non consanguineo. Questa notizia arrivò insieme al tanto sentito “1 su 100mila”. Uno su centomila era la probabilità di trovare qualcuno che potesse salvarmi la vita.
Fallita nel frattempo anche la cura con anticorpi monoclonali, il mio dottore del reparto di ematologia mi ha quindi proposto un procedimento particolare e raramente eseguito, nonché un’ultima chance: un tandem di trapianti, vale a dire un’associazione del mio midollo, che mi ero auto-donato un anno prima in vista dell’autologo, con il midollo di un donatore esterno.
Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre 2019, arrivò la telefonata più bella della mia vita: vieni subito in ospedale, appena puoi, perché dobbiamo fare un controllo di compatibilità. Pochissimi giorni dopo sarebbe arrivata la risposta. Il donatore c’è, è disponibile, abbiamo già fissato la data del trapianto, cioè il 3 dicembre 2019. Da quella telefonata, è iniziata l’ultima durissima fase del mio percorso: dopo le faticosissime chemio finali, volte a “resettarmi”, sono entrato per due volte in camera sterile per ricevere i due trapianti. L’ultimo di questi, ossia quello da donatore, mi ha tenuto in ospedale cinque settimane, all’inizio delle quali ho visto arrivare quella preziosissima sacca, quello che per me ha significato la luce in fondo al tunnel. Ho pensato che, forse, quella sarebbe stata la volta buona, doveva andare bene.
Quando, il 31 dicembre, sono uscito dall’ospedale, ero la persona più felice del mondo. Covid permettendo, sono tornato alla vita. Solo grazie a questo gesto meraviglioso, sono qui e sto bene. Non so chi sia la persona che mi ha donato il suo midollo; le ho scritto una lettera ma non ho ricevuto risposta.
Ad oggi organizzo incontri e cerco di sensibilizzare attraverso il mio canale social. Continuo a viaggiare per tutti quelli che stanno combattendo contro questa malattia, ma anche per tutte quelle persone che desidero convincere a compiere uno dei gesti più belli: donare una piccola parte di loro a chi ne ha bisogno. Perché ad oggi siamo 1 su 100mila, ma se tutti fossimo disponibili per tutti, questo dato potrebbe diventare 1 su 10mila e poi magari 1 su mille. Basterebbe che tutti si prendessero tre minuti per leggere la lettera di Rossano Bella4, dalla cui eredità nacque ADMO Piemonte; e allora, nessuno più si tirerebbe indietro.
Penso che nessuno avrebbe piacere a trovarsi nella situazione che ho vissuto io. Fanno paura gli aghi, ma fa più paura sentirsi soli, e a volte anche essere soli. Essere iscritto nella banca dati e non trovare nessuno compatibile a te è tosto. Hai poco tempo per trovare qualcuno che ti aiuti e le percentuali non sono dalla tua parte. Non c’è niente di peggio di sentirsi un prodotto in scadenza sullo scaffale di un supermercato, che aspetta solamente di essere buttato via. Penso che nessuno vorrebbe perdere un parente o un amico perché qualcuno ha mancato di rendersi disponibile per una donazione così semplice, per di più la donazione di qualcosa che il tuo corpo ricostruisce dopo sette, al massimo dieci giorni. Non perdi nulla, eppure dai tutto.
Il tipo giusto potresti essere tu. Potresti avere un midollo osseo compatibile con quello di una persona affetta da una grave malattia, che confida in te come sua unica opportunità di guarigione. Potresti essere la cura di una malattia, la speranza di un’intera famiglia, l’unica possibilità di una vita nuova. Ed esserlo, non ti costa niente. Se puoi, tipizzati e dona.
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