Una riflessione sulle critiche al premio letterario
La vittoria di un premio letterario rappresenta l’ambizione, più o meno segreta, di chiunque scriva, in quanto si tratta della valorizzazione del talento che ogni autore, prima o poi, spera di vedere riconosciuto da parte del pubblico di lettori.
In Italia esistono centinaia di premi letterari (diversi tra loro per storia, generi letterari selezionati e formazione della giuria), ma il più importante della narrativa italiana è il Premio Strega, che viene assegnato annualmente all’autore di un libro pubblicato tra il primo marzo dell’anno precedente e il 28 febbraio dell’anno in corso.

Il Premio nacque grazie a un’idea di Maria Bellonci: nel 1944, infatti, la scrittrice decise di organizzare un salotto letterario, dove venivano ospitati alcuni dei più grandi intellettuali e scrittori dell’epoca. Il nome deriva dall’azienda Liquore Strega, il cui proprietario, Guido Alberti, finanziò la prima edizione del Premio nel 1947.
La tradizione prevede che la scelta del vincitore sia affidata a un gruppo di quattrocento uomini e donne di cultura, tra cui alcuni degli ex vincitori e vincitrici, chiamati Amici della domenica (dal giorno prescelto per le loro prime riunioni). I giurati propongono dei titoli a loro graditi, segnalando, con il consenso dell’autore, un’opera che ritengono meritevole di partecipare al Premio, accompagnata da un breve giudizio critico. Nella prima selezione vengono scelti dodici libri; nella seconda, invece, concorrono cinque opere.
La designazione del vincitore ha suscitato talvolta polemiche nel mondo della cultura e dell’editoria, alimentando l’attenzione dell’opinione pubblica per il Premio. In effetti, è proprio la scelta del vincitore a provocare ogni anno numerose critiche da un consistente gruppo di lettori che si reca in libreria, curioso di leggere il romanzo vincitore dell’anno.
Spinta dalla curiosità, ho deciso di comprendere meglio le dinamiche che ruotano intorno al Premio Strega, immergendomi nella lettura di tre romanzi che hanno fatto discutere il pubblico – La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, Le otto montagne di Paolo Cognetti e Spatriati di Marco Desiati – vincitori, rispettivamente, nel 2008, 2017 e 2022.
La solitudine dei numeri primi racconta la storia di Alice e Mattia, le cui vite vengono gravemente segnate da vicende della loro infanzia, motivo per cui entrambi vivono un’adolescenza problematica, che li porta ad isolarsi dai loro coetanei. Alice soffre di anoressia nervosa, mentre Mattia ha sviluppato un insalubre tendenza all’autolesionismo. I due ragazzi si conoscono durante questo periodo sofferente: il loro rapporto si sviluppa, seppur con alti e bassi, nel corso degli anni dell’età adulta.
Le otto montagne descrive il rapporto tra Pietro e Bruno, i quali, nonostante la differenza di caratteri e di aspirazioni di vita, condividono una forte e profonda amicizia che li accompagnerà per tutta la loro esistenza. Protagonista del romanzo è anche la montagna, il contesto in cui si svolge buona parte del racconto, luogo ameno in grado di penetrare negli animi dei personaggi. Il titolo Spatriati, infine, è mutuato dal dialetto pugliese “spatrièt” e significa “colui che non trova una sua collocazione”. Francesco e Claudia, i protagonisti, rappresentano la complessità di una generazione irregolare, fluida e sradicata, che sente il bisogno di varcare i confini del suo paesino pugliese per tentare di trovare atmosfere e spinte diverse in altri posti d’Europa.



In questo articolo non tratterò dei personaggi, delle tematiche e degli espedienti narrativi usati dai tre autori, ma mi concentrerò su due aspetti che accomunano questi romanzi, essenziali per comprendere il tipo di racconto che può ottenere successo nell’ambito dello “Strega”: il messaggio (non) trasmesso e la tecnica linguistica e stilistica.
Assumendo il punto di vista del lettore, dunque, che legge e valuta ogni componimento narrativo a seconda della propria sensibilità, ritengo che ogni romanzo debba veicolare un messaggio che vada oltre l’immediatezza della trama: quando leggiamo un racconto, indipendentemente dall’intreccio, dallo stile e dagli espedienti narrativi di cui l’autore si serve, stiamo leggendo il suo modo di vedere il mondo, di raccontare l’esistenza, di costituire un ordine personale della realtà. In questo caso, più mi immergevo nei racconti, più mi accorgevo che essi a poco a poco si allontanavano dal tentativo di condurre il lettore verso una riflessione. In questo modo, il rischio è che le tematiche trattate diventino fini a sé stesse: esse non sono un mezzo per trasmettere un insegnamento o veicolare un approccio pedagogico, ma, al contrario, diventano un modo per invogliare il lettore a leggere il libro, senza che quest’ultimo, una volta ultimata la lettura, possa sentirsi interiormente arricchito.
Il secondo aspetto, ovvero la valutazione dello stile, è uno dei più rilevanti quando si considera un’opera letteraria. Tutti i romanzi presentano uno stile molto semplice, che rende il contenuto chiaro e immediato al lettore. Questo confronto mi porta a pensare che i romanzi candidati allo “Strega”, che concorrono per la finale e poi ottengono il Premio, non debbano necessariamente presentare uno stile alto e ricercato, anzi: la lingua deve essere piana e concisa, la sintassi breve (prediligendo, dunque, la paratassi) e il lessico non troppo elevato. Dunque, potremmo definire i romanzi dello Strega di “nobile intrattenimento”, poiché si tratta di narrazioni che hanno sensibilità per temi legati al costume, alle tendenze e alla cronaca ma che, al contempo, possedendo anche una rispettabilità culturale e artistica, cercano di proporre (alle volte, però, senza riuscirci) una pedagogia di valori e di insegnamenti attraverso l’immediatezza e la semplicità del linguaggio.
Infine, un altro motivo di critica, a mio avviso, risiede nei giochi di potere che ruotano intorno al premio. Protagonisti, infatti, non sono solo gli autori dei libri in gara, ma anche le case editrici, che ogni anno scommettono su un titolo con la speranza che esso si aggiudichi il primo posto. Come i librai sanno bene, finalisti e vincitori risultano poi tra i titoli italiani più venduti. La vittoria, quindi, garantisce quasi sempre un picco nelle vendite, come conferma un’indagine condotta nel 2013 dall’economista Vincenzo Scoppa, professore all’università di Calabria, e Michela Ponzo, ricercatrice alla Sapienza di Roma. I due studiosi, analizzando le classifiche dei libri più venduti, sono giunti alla conclusione che il vincitore moltiplichi le vendite fino a cinque volte rispetto a quelle ottenute prima della vittoria. Ad esempio, Paolo Giordano, con il già citato La solitudine dei numeri primi, ha toccato il milione di copie vendute dopo la vittoria nel 2008.
Tuttavia, è giusto sottolineare gli aspetti che contrassegnano la validità, l’importanza e il valore del Premio. Innanzitutto, la sua lunga tradizione. Alcune delle opere premiate con lo “Strega” sono divenute, infatti, colonne portanti della letteratura contemporanea, come La bella estate di Cesare Pavese (1950), l’Isola di Arturo di Elsa Morante (1957), Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1959), Il nome della rosa di Umberto Eco (1981).
Inoltre, esso è un ottimo trampolino di lancio sia per gli scrittori meno conosciuti sia per le piccole case editrici: attraverso la candidatura di un romanzo, entrambi hanno la possibilità di presentarsi al grande pubblico e, se sono fortunati, accrescere la propria visibilità e notorietà. Ad esempio, Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi (candidato tra i dodici finalisti di questa edizione) è uno dei casi editoriali dell’anno: al momento, ha superato la vendita di venticinquemila copie, conferendo spicco sia all’autore sia alla piccola casa editrice di Milano Laurana che, prima di allora, era poco conosciuta.
In conclusione, si può affermare che lo “Strega” non valuti necessariamente l’importanza letteraria dei suoi candidati e dei suoi vincitori: difficilmente (e, aggiungerei, raramente) chi si aggiudica il Premio ha scritto il romanzo migliore dell’anno. Al contrario, lo scopo ultimo del Premio è la ricerca di un compromesso tra l’intrattenimento e la plausibilità culturale: ed è questo che lo rende un fenomeno letterario interessante da studiare dal punto di vista letterario, editoriale e commerciale.