Generazione Erasmus
Nel 1987, il muro di Berlino divideva ancora l’Europa in due, ma qualche confine si stava già abbattendo. Quell’anno, per la prima volta, circa 3000 studentə provenienti da diverse nazioni europee stavano per partire alla volta di un periodo di studi in università straniere. Dall’Italia alla Germania, dal Belgio al Portogallo, dalla Francia alla Danimarca: la categoria degli exchange student che oggi tuttə noi conosciamo, quell’anno, si affacciava per la prima volta sul panorama sociale. Ai tempi, si viaggiava di meno, sia per piacere che per lavoro, le compagnie low cost non esistevano e quella parola – Exchange student – era sconosciuta al nostro vocabolario. Coloro che decisero di aderire ai primi progetti di questo tipo furono una sorta di pionieri, gli antenati di quella che oggi chiamiamo “Generazione Erasmus”.
Dai 3000 studentə del 2 giugno del 1987, i numeri dei partecipanti sono molto cambiati: secondo il report Erasmus+ del 20211, l’Italia ha raccolto quasi 74.000 partecipanti ai progetti di mobilità ed è stato il secondo paese (dopo la Spagna) per numero di persone (circa 65.000) in entrata. Il periodo di mobilità all’estero è sempre più richiesto sul posto di lavoro (secondo dati del 2014, inoltre, il tasso di disoccupazione degli studenti Erasmus è inferiore del 23%2). Insomma, i numeri sono cresciuti da quel giugno del 1987, quando il Consiglio delle comunità europee decise di adottare l’EuRopean community Action Scheme for the Mobility of University Students.
Fu negli anni Sessanta, grazie all’accademica italiana Sofia Corradi, che germogliò l’idea di creare uno scambio internazionale e formativo per tuttə gli/le universitarə di Europa. Ciò che diede effettivamente vita a questa opportunità fu, però la collaborazione tra l’associazione studentesca AEGEE (all’epoca EGEE) e l’Unione Europea. Da allora, ogni anno, solitamente nei mesi invernali, sui siti dei nostri atenei, viene pubblicato un bando pubblico con le relative borse di studio: è ciò che dà l’opportunità a tantissimə giovani di vivere un periodo diverso, inaspettato, arricchente, strambo per alcuni versi, irripetibile per altri.
Superata la parte burocratica, agli/alle studentə che hanno deciso di partire non resta che abbandonare la bolla, nella quale hanno vissuto sino a quel momento, per entrare in una nuova. Non c’è solo lo stereotipo dello studente Erasmus in modalità vacanziera, più esperto di tapas e sangria che dei corsi universitari; non c’è solo il prototipo del dormitorio dello studentato, con la cucina sporca e il frigo pieno di cibo scaduto appartenuto a qualcunə di un paio di semestri addietro. Certo, esperienze come queste o simili alle scene ritratte nel film L’appartamento spagnolo esistono davvero, ma, neanche a dirlo, ogni Erasmus è soggettivo e mette il singolo davanti a situazioni molto diversificate (banalmente, il dicembre di Tromso non è come il dicembre di Valencia).
Per questa seconda parte dell’articolo, ho quindi pensato di riportare l’esperienza personale di qualche studentə Erasmus.
Io stessa, al secondo anno di università, ho trascorso sei mesi a Vilnius, capitale della Lituania, ritrovandomi ad essere l’unica ragazza italiana in tutti i corsi che dovevo frequentare. La sensazione di spaesamento l’ho ritrovata leggendo alcuni pensieri che avevo messo su carta nei primi giorni lì. Il “diario” – se così vogliamo chiamarlo – inizia il 24 febbraio 2022 con questa frase: “Oggi la Russia ha invaso l’Ucraina”. Coincidenza che non ha aiutato il mio sentirmi spaesata, né ha compiaciuto il mio bisogno (molto italiano) di ricevere una calorosa accoglienza. Il freddo, il vento, il carattere chiuso e solitario della gente del luogo hanno sicuramente avuto ripercussioni sull’inizio del mio periodo. Poi, proprio come reazione a questa situazione non idilliaca, il mio essere una studentessa Erasmus, pur non sentendomi tale (di fatto lo ero diventata nottetempo, dopo aver ricevuto la tessera universitaria con la dicitura international student, unica prova che avevo della mia nuova identità) ha fatto la sua parte. Sono stati mesi decisamente fuori dalla zona di comfort, nei quali ho dovuto imparare a stringere rapporti con compagni e professori che avevano un modo di fare decisamente diverso da quello a cui ero abituata; a parlare con giovani che avevano storie di vita e, dunque, prospettive sul futuro, spesso meno ottimistiche delle mie; ad organizzare la giornata con un’altra routine (cenare alle 19 e avere tanto tempo libero prima di andare a dormire ha effettivamente un suo perché); ad apprezzare il sole di giugno dopo mesi di grigio; a scoprirmi abile nel fare cose che, in Italia, non avrei mai detto adatte alla mia persona (in quei mesi ho iniziato ad andare regolarmente in palestra, ho fatto il mio primo viaggio completamente da sola…). Dal punto di vista accademico, ho sperimentato un modo diverso di imparare (classi piccole tanto quelle del liceo, rapporto più stretto con i professori, tanti essays e nessuna sessione di due mesi con tutti gli esami concentrati). Sono sicuramente stati mesi densi di racconti ed esperienze che porterò sempre con me (e che torneranno sempre utili come aneddoti alle cene a casa di amicə).
Raccogliendo, poi, anche le storie altrui, ho individuato un punto comune a tutti i racconti: la difficoltà del ritorno.
Riadattarsi alla vita in Italia, dopo mesi di completa indipendenza e vitalità, è stata una sfida, talvolta inaspettata, che ha messo in difficoltà tuttə gli/le intervistatə. Per sapere tutto il resto, vi lascio alle loro storie!
Gioele – da Milano a Dresda (Germania)
“Ho sempre voluto partecipare all’Erasmus e, dopo un periodo difficile dal punto di vista personale, l’idea di poterlo fare mi alleggeriva la situazione. Ho scelto la Germania perché volevo approfondire lo studio del tedesco, previsto dal mio corso triennale. La mia esperienza è stata piuttosto stereotipica: ho fatto subito amicizia e ho legato molto con persone con cui sono ancora in contatto. Ciò che mi spaventava di più erano gli esami di lingua, ma si sono poi rivelati degli ostacoli affrontabili.
È stata una parentesi meravigliosa della mia vita: prendevo un pullman o un treno più o meno ogni weekend per visitare un posto nuovo ogni volta. Ciò che mi sono portato a casa è sicuramente la voglia di viaggiare e la voglia di indipendenza: in quel semestre ero autonomo in tutto e, da quando sono tornato,non vedo l’ora di ritrovare quella sensazione di libertà in maniera definitiva.
Sicuramente ho poi imparato una cosa: nella vita voglio stabilità. Dopo l’Erasmus, ci ho messo tanto a riadattarmi alla quotidianità in Italia. Non potevo comparare la mia vita qui a quella in Erasmus, sarebbe stato un criterio di paragone che mi avrebbe solo fatto stare male. Pensare di ricostruirsi una nuova vita ogni sei mesi sarebbe mentalmente troppo difficile, ora quindi so che cerco qualcosa di più stabile.
Lo rifarei? Assolutamente sì, fare esperienze all’estero è importante per mettere in prospettiva tante idee che abbiamo su noi stessi e la nostra vita in Italia.”
Silvia – da Torino a Friburgo (Svizzera)
“Ho scelto di accettare la mia destinazione Erasmus un’ora prima della scadenza. Ero tanto legata a Torino da un punto di vista affettivo e stavo valutando un periodo all’estero più per aggiungere qualcosa al mio curriculum che dal punto di vista umano. Sono stata presa nella mia seconda scelta: Friburgo, Svizzera, quella che viene sempre confusa per la più famosa Friburgo in Germania, ed è stato il possibile futuro senso di colpa per un’opportunità rifiutata che mi ha portata ad accettare di partire.
Sicuramente, la barriera linguistica è stata tra le difficoltà maggiori. Inglese pessimo, il francese mi affascina ma non lo conosco bene, il tedesco mi è completamente oscuro. Comunicare in un’altra lingua comporta la difficoltà ad argomentare in maniera appropriata e, di conseguenza, la sensazione di sentirsi stupidi agli occhi degli altri. Piuttosto, si preferisce rimanere in silenzio e ascoltare.
Al di là di questo, più che un miglioramento linguistico vero e proprio, questi mesi mi hanno portata a sbloccarmi. Da perfezionista quale sono, riconoscere di non essere brava in qualcosa mi porta a non provarci neanche. Vivere in un paese straniero mi ha forzata a lasciarmi andare, a commettere errori.
Friburgo per me è stata in qualche modo life changing. Una piccolissima città che, seppur diversissima, mi ha ricordato casa mia, in Puglia. Ristretto numero di abitanti, tutto a portata di mano, tutto facilmente raggiungibile. Tanti sguardi ritrovabili quotidianamente per le strade, nei locali la sera, al lago a fare il bagno. Allo stesso tempo, ho trovato Friburgo così diversa dal mio paese natale. In lontananza, invece del mare, vedevo le montagne. In più, il luogo comune della precisione e della perfetta organizzazione svizzera – che non è solo un luogo comune – ha fatto sentire la perfezionista che è in me totalmente appagata.
Friburgo si è rivelata esattamente il contrario dell’esperienza Erasmus che avevo in mente: è stata un’esperienza più umana che curricolare.
Sono partita per fare la tesi all’estero, avevo già concluso tutti i corsi prima di partire e, quindi, anche dal punto di vista accademico è stata un’esperienza che mi ha permesso di apprendere molto (anche se è stato sicuramente faticoso).
La Svizzera ora per me non è soltanto Svizzera, ma un posto in cui, più dell’Italia, si abbracciano tantissime culture ed etnie diverse.
Ciò che sicuramente mi porto a casa è la multi-etnicità di questi mesi. Mi porto a casa storie di gente cresciuta in contesti completamente diversi dal mio, la scoperta di buonissimi piatti tipici multi-continentali, i racconti sulla guerra dei ragazzi di Gaza con cui condividevo la cucina…
Sono andata via con il dispiacere che fosse finita, prima di partire avevo il timore di andarmene, e invece, contrariamente a ciò, quei cinque mesi si sono rivelati essere troppo pochi e avrei desiderato passarci più tempo.”
Isabella – da Torino a Sofia (Bulgaria) e a Cracovia (Polonia)
“Volevo iscrivermi all’Erasmus sin dalle superiori, ma, comunque, quando mi sono candidata ero molto impaurita: non sapevo benissimo l’inglese, non avevo mai vissuto fuori da casa dei miei genitori e pensavo di non riuscire a stringere amicizie. A posteriori, queste mie paure quasi mi sembrano stupide: in Erasmus si è tutti sulla stessa barca, tutti in un posto nuovo e quindi molto più aperti del solito a fare amicizia. All’inizio ho sofferto alcuni momenti di vuoto: a casa con la mia famiglia, avevo sempre qualcuno con cui chiacchierare. Nelle case con i coinquilini dell’Erasmus, invece, ho scoperto l’esistenza dei momenti vuoti e di quanto siano utili per ricaricarsi.
Ogni Erasmus dona ad ogni studentə sei mesi “jolly”, in cui si è di fronte a due possibilità: in quel lasso di tempo puoi fare di tutto e poi dimenticartene oppure puoi cambiare la tua vita, rivelando lati di tè stesso per poi lavorarci su. Durante il mio primo Erasmus, mi sono buttata a fare tantissime cose, con la conseguenza che ho combinato tante cavolate così come tante mosse intelligenti. Quando sono tornata a casa, ho sofferto la mancanza di nuovi stimoli, ma fino all’ultimo non sono stata convinta di partire per una seconda volta. Ho deciso però di sfruttare il secondo Erasmus per consolidare ancora di più la mia maturità. A Cracovia, ero effettivamente molto più adulta e ho vissuto il periodo in maniera molto responsabile.
A chi crede che l’Erasmus sia una perdita di tempo, vorrei dire che non sono assolutamente d’accordo. Permette di compiere una serie di esperienze che altrimenti non si farebbero (ad esempio, adesso io ho una rete di relazioni con persone che provengono da tutto il mondo). L’Erasmus è un periodo illuminante: fa capire che ogni stato ha le sue difficoltà, che i tuoi problemi da studentə sono condivisi, che ogni università ha cose che funzionano e cose che non funzionano…
Il tempo durante quel periodo, insomma, passa velocissimo: una settimana in Erasmus vale un mese della vita normale.”
Arianna – da Roma a Parigi (Francia)
“Il mio obiettivo primario non era quello di partire, ma era quello di andare specificatamente a Parigi. La magistrale a cui intendevo iscrivermi (e che sto frequentando ora) prevede un doppio titolo con la Sorbona e, quando ho scoperto di avere la possibilità già in triennale di trascorrere un periodo lì grazie all’Erasmus, ho deciso di cogliere l’opportunità.
Per un/una ragazzə giovane, una delle difficoltà maggiori sta nel trovarsi in una città che non è casa propria, che non fa nemmeno parte del proprio paese, in cui ci si deve ambientare senza conoscere nessuno. Credo che gli scogli maggiori siano quelli burocratici e spesso gli studentə non sono abbastanza accompagnatə. È questo che fa crescere tantissimo durante l’Erasmus: affrontare in giovane età non solo l’andare ad abitare da soli, ma l’andare in un altro paese, organizzato in maniera diversa, senza il proprio solito entourage.
Un’altra difficoltà che ho riscontrato è stata con il metodo di studio: quello francese è completamente diverso e mi sono dovuta adattare alle sue peculiarità. Credo che sarebbe stato utile prima di partire avere qualcunə che mi spiegasse come funzionavano le cose a Parigi o come affrontare lo studio qui.
L’Erasmus è sicuramente un’opportunità, ma dipende molto da come la si sfrutta. Personalmente, ho fatto un’immersione totale nella cultura del luogo, facendo una vita quotidiana comparabile a quella di unə studentə francese, senza avere troppi rapporti con altrə italianə. Non so quanto valga la pena fare un Erasmus stando sempre in un gruppo chiuso, dando pochi esami e pensando solo al divertimento.
L’Erasmus è un’esperienza che si fa una volta o due nella vita. Non l’ho fatto perché mi piace viaggiare, ma perché ho potuto immergermi in un’altra cultura e mettere su qualche radice in una città in cui non sei nato.
Ciò che mi porto a casa dall’esperienza è un’altra vita, il cuore diviso a metà. Ho imparato un altro modo di vivere la quotidianità rispetto a quello che ho sempre conosciuto.”
- https://www.erasmusplus.it/news/formazione-professionale/report-ue-erasmus-2021-italia-prima-nelle-mobilita-per-studio-e-formazione-in-europa/#:~:text=Il%20rapporto%20mostra%20che%20solo,minori%20opportunit%C3%A0%20di%20svolgere%20un
- https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/09/24/erasmus47.html