Bacha Posh: libertà o costrizione?
Siamo spesso portati a pensare che i bambini si dividano in “maschi” e “femmine” e che si debbano comportare a seconda dei ruoli di genere imposti dalla società: solamente negli ultimi anni ci sono stati dei cambiamenti verso l’inclusione dei generi – anche non binari – e contro gli stereotipi. Ci sono però delle bambine che, seguendo un’antica tradizione, si vestono e si comportano da maschio: loro sono le Bacha posh.
Bacha posh in Dari (una delle lingue ufficiali dell’Afghanistan, parlato da circa il 50% della popolazione) significa “vestita come un maschio”. Questo fenomeno è prevalentemente diffuso in Afghanistan e in alcune regioni del Pakistan, ma non si è sicuri di una sua origine temporale precisa. Questa tradizione consiste nel vestire e crescere alcune figlie femmine come se fossero maschi: da un lato, le bambine riescono a vivere in un modo più libero e dall’altro le famiglie riescono a staccarsi dallo stigma sociale di non avere un figlio maschio che possa diventare il nuovo “capo famiglia”. Inoltre, è usanza pensare che avere una Bacha posh possa aumentare le probabilità di avere un figlio maschio.
Cosa fanno le Bacha posh quindi? All’interno della famiglia occupano uno status intermedio: non sono al pari degli uomini della famiglia, ma neanche trattate come donne. Infatti, non sono tenute ad occuparsi della casa, imparare a cucinare, cucire e fare tutte quelle attività che sono tradizionalmente associate al ruolo sociale delle donne. Le bambine, in questo modo, riescono a vivere in modo più libero la loro infanzia: possono frequentare le scuole, giocare con i loro coetanei maschi, accompagnare le sorelle nei luoghi in cui non possono andare senza un uomo e più avanti trovarsi anche un lavoro autonomamente. La loro infanzia, quindi viene segnata in modo diverso rispetto a quelle bambine che Bacha posh non diventano.
Nelle interviste condotte da Mstyslav Chernov per Associated Press nel 20211 è emersa la storia di Sanam, una Bacha posh di otto anni che ora si fa chiamare – e viene chiamata – Omid. Lei, da quando il padre ha perso il lavoro e suo fratello ha perso le mani a seguito di un incidente, vende mascherine per il Covid-19. Si è tagliata i capelli, gioca con gli amici maschi di suo fratello e sogna di avere un lavoro: diventare medico, soldato o lavorare con suo padre. Nella società afghana, comandata da uomini per uomini e fortemente patriarcale, Sanam può sognare di avere un lavoro: questo non accade per tutte le altre bambine. Chernov racconta anche la storia di Najieh, 34 anni, una donna che da piccola ha avuto la possibilità di vivere degli anni come Bacha posh; adesso è sposata e ha quattro figli. A Chernov racconta:
«In Afghanistan i ragazzi sono più preziosi. Non c’è oppressione per loro, non ci sono limiti. Ma essere una ragazza è diverso. Vieni costretta a sposarti giovane.»2
Dopo anni, lo status sociale di Bacha posh termina con la pubertà, almeno in teoria. Per molte bambine è difficile doversi adattare al ruolo sociale designato alle donne nella società afghana, soprattutto ora sotto il duro controllo dei Talebani. Molte ragazzine in età preadolescenziale non vogliono tornare donne: non hanno mai imparato cosa fa una donna, come si comporta, tenere i capelli lunghi sotto il burqa, non avere la libertà di girare da sole e abbassare lo sguardo con gli sconosciuti. Non hanno dovuto adempiere per molti anni – durante la fase di crescita psicologica – a quello che viene richiesto alle donne nella società afghana. Inoltre, non sapendo comportarsi come viene richiesto dai loro mariti, molte ex Bacha posh soffrono abusi e violenze domestiche. Questo fenomeno, infatti, viene spesso criticato per i danni psicologici che può creare nelle bambine. Se all’inizio loro lo vivono come una liberazione, dover tornare a essere donne è un lavoro emotivo e psicologico forse troppo grande per una preadolescente, soprattutto se non accompagnata da un terapeuta. È sempre Najieh che racconta a Chernov mentre si asciuga le lacrime, “essere un uomo è meglio che essere una donna. Per me è tutto difficile. Se fossi un uomo, potrei essere un insegnante. Vorrei poter essere un uomo, non una donna. Per fermare questa sofferenza”. Dopo il ritorno dei Talebani a seguito della ritirata degli statunitensi nell’agosto del 2021, questa tradizione potrebbe essere messa a rischio. Se da un lato il fenomeno potrebbe aumentare, dall’altro i rischi che in cui le famiglie incorrerebbero se venissero scoperte dal regime sarebbero molto alti. Anche da parte della popolazione stessa, una volta cresciute, le Bacha posh non vengono viste di buon occhio: molti le giudicano, le vedono come anti Islamiche o come persone transessuali[3], un qualcosa di inconcepibile. Thomas Barfield, professore di antropologia alla Boston University e autore di diversi libri sull’Afghanistan, ha però dichiarato che “poiché è un fenomeno che nasce all’interno della famiglia e non è uno status permanente, i talebani potrebbero decidere di non intervenire”4.
La storia delle Bacha posh è stata raccontata anche recentemente nel film d’animazione I racconti di Parvana (The Breadwinner) del 2017 diretto da Nora Twomey e basato sul romanzo di Deborah Ellis Sotto il burqa. Il film racconta la storia di Parvana, una bambina di undici anni che, a seguito dell’arresto arbitrario di suo padre da parte dei Talebani, decide di tagliarsi i capelli e diventare una Bacha posh. Inizia a lavorare al mercato al posto del padre: qui incontra una sua vecchia compagna di classe, anche lei Bacha posh, e Razaq, un giovane talebano. È proprio grazie a Razaq, rischiando a sua volta la propria vita, che Parvana riesce a liberare il padre e ricongiungersi con il resto della famiglia.
Un altro film che tratta della drammatica realtà delle Bacha posh è Osama, girato da Siddiq Barmak nel 2003 a Kabul. Il film è stato presentato nella Quinzaine des Réalisateurs durante la 56° edizione del Festival di Cannes: è stato il primo film afghano dopo il regime talebano degli anni ‘90 e il regista scelse dei cittadini come attori. Rispetto a “I racconti di Parvana” è un film molto crudo: narra di Maria, la quale dopo aver perso sia suo padre che zio diventa Bacha posh durante il regime dei Talebani e che adesso si fa chiamare Osama. Maria si comporta come un maschio, ma ha paura di essere scoperta dai Talebani: viene obbligata ad arruolarsi nella madrasa (scuola coranica di preparazione alla jihad). Proprio qui desta l’attenzione dei maschi, i quali sospettano di lei; Maria, per dimostrare di essere forte come un maschio, decide di arrampicarsi su un albero, ma alla fine non ci riesce. Maria viene quindi appesa a testa in giù da un pozzo e, una volta tirata fuori, si vedono le macchie delle mestruazioni. In quel momento – che simboleggia il suo essere donna ma anche la fine della sua esperienza da Bacha posh – viene deciso che Maria sarà condannata alla lapidazione. Il film termina con Maria la quale, essendo piccola, viene graziata e resa sposa del mullah, il quale abusa sessualmente di lei.
Più recentemente è anche uscito il libro Le bambine non esistono5, di Ukmina Manoori, una donna pashtun nata probabilmente intorno al 1968. Ukmina, con l’aiuto di Stéphanie Lebrun, racconta la sua vita come Bacha posh nella seconda metà del secolo scorso. Fin da piccola si accorge di come la madre, un’orfana costretta al matrimonio, viene trattata dal padre e costretta a sopportare la sua collera. Lei, però, è determinata a essere una persona – indipendentemente dal genere – libera. Una volta raggiunta la pubertà riesce a essere così coraggiosa da rifiutarsi, davanti a suo padre e l’imam, di tornare a essere ciò che la società si aspetta da lei. Durante la guerra contro i sovietici combatte la jihad e diventa una mujaheddin: in questo modo riesce veramente a ottenere il rispetto degli uomini (“ho acquisito il titolo di mujaheddin, ’colui che ha fatto la jihad’. Uno statuto che mi procurerà il rispetto degli altri per tutta la vita”). Ukmina Manoori, grazie alla sua storia, è anche riuscita a vincere un seggio nel consiglio provinciale della sua città nel 2009. Vivere in Afghanistan per i bambini non è facile: la situazione diventa ancora più pesante se si è donne. Essere Bacha posh quindi viene spesso visto come una via di fuga, seppur momentanea. Siddiq Barmak ha commentato così6 il suo film:
« Ho cambiato il titolo e il finale, erano troppo ottimistici e idealisti. Nel primo finale le donne riuscivano a fuggire e a realizzare i loro sogni. Tuttavia, montando il film, mi sono reso conto che le donne afgane non hanno ottenuto la libertà, e la bambina, che rappresenta la parte femminile della società afgana, vive ancora rinchiusa in casa come in una prigione. Dopo 23 anni di guerra, naturalmente, le cose non cambiano in una notte: c’è bisogno di almeno quattro, cinque o anche dieci anni perché le cose cambino davvero. »
Le bambine sono quindi coloro che pagano il prezzo più alto dopo decenni di occupazioni, guerre e regimi talebani. Anche dopo vent’anni di occupazione statunitense in Afghanistan (dal 2001 con l’Operazione Enduring Freedom fino all’estate del 2021), grazie alla quale l’Afghanistan sarebbe dovuto diventare un Paese democratico ispirato ai valori americani, la situazione non è migliorata. Gli Stati Uniti, insieme alla NATO e alleati, non sono riusciti a creare un governo e delle istituzioni solide: hanno abbandonato il Paese definitivamente lasciandolo nelle stesse condizioni – se non peggio – di come lo avevano trovato. La popolazione locale si ritrova a vivere sotto il regime talebano (dettato da terrore e violenza) e in aggiunta devono far fronte a vent’anni di occupazione straniera e abusi7. L’infanzia di questi bambini, a differenza della nostra, è stata e continua a essere segnata da povertà, assenza di diritti umani e terrore. Essere Bacha posh, per queste bambine, può significare tanto, fino ad illuderle di aver conquistato la stessa libertà garantita ai loro coetanei maschi. In Afghanistan le cose non sono migliorate rispetto a prima: le libertà promesse dalla democrazia statunitense non sono state raggiunte e il futuro di queste bambine sarà lo stesso di chi viveva sotto il regime talebano venticinque anni fa.
Note
- Afghan tradition allows girls to access the freedom of boys
- https://apnews.com/article/bacha-posh-kabul-afghanistan-ad82563ff1ddae630ca0e5b52236172b
- Inside the Lives of Girls Dressed as Boys in Afghanistan
- Fingersi maschi per poter esistere: il destino delle “bacha posh” in Afghanistan | Il Foglio
- Le bambine non esistono, Ukmina Manoori
- https://www.giffonifilmfestival.it/sezioni-film-2004/1657-osama.html
- “Enduring Freedom”: Abuses by U.S. Forces in Afghanistan | HRW
Are the kids alright?
Editoriale · L’Eclisse
Anno 3 · N° 7 · Novembre 2023
Copertina di Maria Traversa.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Bianca Beretta, Ludovica Borelli, Matteo Capra, Michele Carenini, Ginevra Cesati, Anna Cosentini, Joanna Dema, Clara Femia, Eugenia Gandini, Chiara Gianfreda, Nikolin Lasku, Rosamaria Losito, Matteo Mallia, Erica Marchetti, Laura Maroccia, Marcello Monti, Valentina Oger, Alessandro Orlandi, Erika Pagliarini, Matteo Paguri, Lorenzo Ramella, Luca Ruffini, Arianna Savelli, Gioele Sotgiu, Tommaso Strada, Vittoria Tosatto, Marta Tucci, Marta Urriani.