Per la lettura di questo articolo sono necessarie due premesse contestuali.
Numero uno: mio fratello ha quattordici anni.
Numero due: mio fratello potrebbe essere definito, molto semplicemente, un “maranza”.
Qualche settimana fa mi trovavo davanti al pc a correggere un articolo, quando il mio maranza-fratello è ritornato a casa, con un sorriso a trentadue denti e un pacco di considerevoli dimensioni fra le mani. Felicissimo, mi chiede di partecipare all’apertura del pacco, sapendo già quale sarebbe stata la mia reazione al suo contenuto. Scarta, taglia, strappa, rimuove una quantità incredibile di imballaggi di plastica e, finalmente, rimuove l’oggetto tanto atteso e me lo mostra soddisfatto. Mi ritrovo così a stringere fra le mani una borsa a tracolla, di dimensioni contenute, di Louis Vuitton. Il maranza-fratello si riferisce alla borsa come “sacoche”, ma io so che il suo nome reale, quello deciso dall’azienda, è District PM in tela Damier, la classica tela a scacchi della maison francese. Il dettaglio fondamentale è che la borsa, o la sacoche che dir si voglia, è chiaramente, irrimediabilmente e svergognatamente falsa.
Il pacco arriva da Shenzhen, famosissima capitale cinese del mercato dei falsi o dei “dupes”, come vengono anche chiamati1. La borsa è pura plastica, odora di colla, i loghi sono storti e la tracolla si sfilaccia. Non mi ritengo un esperto, ma penso che sia un falso fatto piuttosto male.
Quindi, inizio a chiedere delucidazioni al maranza-fratello per sapere il motivo di questo acquisto. Ovviamente, nessun quattordicenne ordinario ha 1600€ da spendere per una borsa, o da spendere per qualsiasi altro oggetto altrettanto costoso, ma, dietro a questa motivazione puramente monetaria, c’è di più: forse mi sta mentendo, forse sta mentendo anche a se stesso, ma cerca di spiegarmi che, in realtà, anche se avesse avuto i soldi per comprare l’originale, lui voleva proprio il falso.
Il mercato del falso è gigantesco e vale miliardi di dollari. La sua produzione è quasi interamente cinese, precisamente nella già citata città di Shenzhen, dove si trovano la maggior parte delle fabbriche che producono a ritmo serrato copie, a volte perfette, a volte imprecise, di Kelly di Hermès, Triumph di Celine, Dionysus di Gucci. Il mercato del falso è anche estremamente veloce nei suoi aggiornamenti, tanto che è assolutamente possibile comprare il falso di un capo o di un accessorio della stagione corrente. Dove sta la fascinazione?
Mia madre è sempre stata una donna pratica e di moralità ferrea, mi ha sempre ripetuto che comprare un falso equivale solo a dire al mondo “vorrei questo oggetto, ma non posso permettermelo”, anche qualora il falso fosse indistinguibile. In quel caso vorrebbe dire ammetterlo solo a se stessə. Sempre mia madre mi ha spesso fatto un discorso, inattaccabile, sulle aspettative legate alla persona che porta il falso: è ovvio che se mia madre uscisse di casa tranquillamente con una Birkin di coccodrillo, tutti griderebbero al falso; non sarebbe altrettanto ovvio se il falso lo possedesse Kendall Jenner. Chi oserebbe accusare Kendall Jenner di possedere una borsa contraffatta? Credo, nessuno.
Il falso non è solo pura questione di originalità del prodotto, ma è anche e soprattutto aspettativa sociale: c’è aspettativa sociale, innanzitutto, nel messaggio che si vuole evocare comprando un falso, che sia evidente oppure no. Al mio maranza-fratello e forse a tutta la sua generazione tutto questo discorso pare non interessare. Non interessa la legittimità del prodotto, ancora meno interessa la possibilità che qualcuno lo accusi di aver comprato un falso, preoccupazione ben presente in mia madre. Semplicemente, mio fratello vuole il design di un prodotto di lusso, ma senza dover sostenere i costi del lusso.
Ci sarebbe da fare un lungo discorso legato alla moralità, allo sfruttamento e all’inquinamento ambientale, ma, per ora, lo tralasceremo per porci una semplice domanda : dove sta il confine tra il falso e l’originale? Sarebbe troppo facile rispondere “nei materiali”, “nella qualità”, “nell’artigianalità”, perché tutte questi aspetti possono essere replicati in maniera quasi perfetta . Non è possibile rispondere nel luogo di produzione e nelle garanzie date dall’azienda, perché possono essere contraffatte: addirittura, Cartier si rifiuta di autenticare i suoi bracciali più famosi, come il Love Bracelet, perché ormai le copie sono diventate talmente perfette da essere indistinguibili dagli originali, anche per chi lavora da Cartier2.
Se un oggetto è totalmente identico a un altro e la loro unica sostanziale differenza risiede nel prezzo, si può davvero considerare un falso? È falso solo perché l’azienda originaria non ha autorizzato questa produzione, quindi il falso diventa non più una questione materiale, bensì astratta. La nave di Teseo, sostituita in tutti i suoi pezzi originali da altri pezzi assolutamente identici, rimane comunque la nave di Teseo? Allo stesso modo, una Birkin di Hermès, costruita nello stesso modo, con gli stessi materiali, in cui persino il codice anti-frode è falsificato, può considerarsi una Birkin vera?
Chiaramente il nostro discorso punta all’astratto, perché nella realtà una copia perfetta di un prodotto come una Birkin forse non esiste, però potrebbe esistere molto facilmente? Come dovremmo, quindi, porci nei confronti di questo prodotto?
Purtroppo, questo discorso di astrattezza non interessa al mio maranza-fratello, che si è preoccupato della questione solo quando, due settimane dopo l’apertura del pacco, si è ritrovato la sacoche completamente scucita, per questo ora giace inutilizzata nell’armadio.
Ovviamente, questo articolo non vuole essere un’apologia del falso o un invito a comprare prodotti contraffatti, in quanto questo comportamento rappresenta un danno per il pianeta, per la propria moralità e per i creativi che, dietro a quei prodotti, hanno speso tempo e fatica, spesso rimanendo in ombra. Il mio articolo vuole solo essere uno spunto di riflessione per capire che forse, nel 2023, il falso è ormai impossibile da contrastare, e le grandi maison della moda dovranno escogitare nuove strategie per sopravvivere e per valorizzare la loro creatività originaria.
Note
- https://www.lastampa.it/cronaca/2022/02/10/news/dalle_borse_di_vuitton_alle_sneaker_tarocco_di_gucci_la_cina_domina_il_mercato_on_line_della_contraffazione-2852138/
- https://finance.yahoo.com/news/cartier-bracelets-t-authenticated-alternatives-200000751.html
di Luca Ruffini
Mi chiamo Luca, 1998, fuori corso a Lettere Moderne in Statale a Milano. Da bambino mi chiamavano “piccolo lord”, il risultato di questo soprannome è che ora vivo in doppiopetto con la cravatta sempre annodata al collo. La letteratura mi affascina, l’arte mi incuriosisce e la moda mi emoziona. Mi piacciono tante cose, fra cui, in ordine sparso: il rococò francese, Lady Gaga, i dolci in pasta di mandorle, la Prima Repubblica e la regina Elisabetta II. Qui spero di scrivere articoli che possano interessare e far nascere una passione nuova in chi legge.
Se mi cercate mi trovate molto probabilmente in Porta Venezia a Milano, con una sigaretta in bocca e un gin tonic in mano.