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La morte di R.M.F.: inizia così il primo dei tre episodi che compongono Kinds of Kindness, film diretto da Yorgos Lanthimos, regista e sceneggiatore greco, che ha debuttato nelle sale americane il 21 giugno scorso. Ogni vicenda vede un cambio di personaggi dei quali solo tale figura misteriosa, chiamata R.M.F., rimarrà costante, motivo per cui il suo nome dà il titolo alle storie. È un individuo peculiare che appare in pochissime scene del tutto casuali ma impossibili da ignorare in quanto motori della trama, che si compone di fatti bizzarri, contorti e spesso anche molto disturbanti. Del resto, la realizzazione di questa pellicola consiste esattamente in questo: trasportare cinematograficamente relazioni tossiche in modo estremizzato, facendo talvolta mettere in dubbio la narrativa allo spettatore. Chi sono le vittime, chi i carnefici?
Iniziando dal primo racconto, seguiamo la storia di Robert Fletcher, un uomo del tutto sottomesso al suo datore di lavoro, Raymond, e che da oltre dieci anni ha basato tutta la sua vita sulle imposizioni comandategli. In effetti, vive nella falsità totale: il suo matrimonio è il frutto di manipolazioni orchestrate dal capo ed è soggetto a restrizioni severe, le quali gli impongono quando consumare rapporti con la moglie, come farlo e se avere figli o meno. Come se non bastasse, la routine quotidiana di Robert viene stabilita proprio dal suo superiore, uomo controllante e ossessivo, perfettamente conscio della situazione di netto dominio sul suo impiegato. Il dubbio in merito alla dinamica relazionale inizia a insinuarsi nella mente di Robert soltanto nel momento in cui Raymond gli chiede di provocare un incidente stradale potenzialmente letale: vuole veramente macchiarsi di una colpa simile, ossia uccidere qualcunə per il suo adorato capo? Questo dilemma morale lo porta, in un primo momento, ad allontanarsi da lui. Tuttavia, il risultato di quest’azione è la totale sconfitta e l’annichilimento della sua vita che, come in un circolo vizioso, lo costringe a tornare ancora una volta dal suo capo, ma solamente a fatto compiuto.
Ad essere narrata è una storia carica di dolore: riusciamo noi stessə a sentire il peso morale al quale il protagonista è soggetto. Siamo consapevoli del fatto che tutta la sua esistenza dipende necessariamente da una figura così subdola e manovrante. Sebbene sia vittima, Robert diventa a sua volta carnefice, nonché fonte di biasimo. La sua vicenda, infatti, porta le spettatrici e gli spettatori a chiedersi come sia possibile arrivare a tanto per una persona, come si possa sprofondare nel baratro della follia pur di compiacere qualcuno che sta effettivamente contribuendo alla nostra distruzione. Glə spettatorə esternə alla vicenda, a differenza delle persone direttamente coinvolte, pensano razionalmente, sono consapevoli di ciò che sta avvenendo e, proprio come quando nella vita reale ci troviamo davanti a casi di relazioni tossiche, una parte di noi biasima la mancanza di forza con la quale la vittima resta nella dinamica nociva. Attraverso la nostra intelligenza emotiva, l’episodio chiarisce quale tipo di dipendenza può derivare da un rapporto simile, le cui fondamenta sono un forte squilibrio di potere tra le due persone. L’episodio ci porta a condannare il protagonista, soffrire con lui e disperare, finché non resta altro che una sensazione di compassione nei suoi confronti.
Sulla stessa linea tematica si sviluppa il secondo episodio, R.M.F. sta volando, dove, questa volta, i protagonisti sono due innamoratə. La prospettiva della narrazione è quella di Daniel, un agente di polizia disperato per la scomparsa della moglie, Liz, una ricercatrice naufragata in mare qualche tempo prima. Fortunatamente, i soccorsi riescono a rintracciare la squadra di ricerca di Liz e a riportarla a casa sana e salva. Ma per quanto potrà definirsi tale? Dal momento che la storia ci viene raccontata dall’ottica di Daniel, noi osservatorə veniamo influenzati e diveniamo parte dei deliri paranoidi che portano l’uomo a dubitare dell’identità di Liz. In effetti, la moglie mangia del cibo che in precedenza la disgustava e le scarpe a cui era tanto affezionata non le entrano più. In aggiunta a tutto questo, il suo unico pensiero maniacale è il sesso – aspetto molto bizzarro considerando la disgrazia da cui si è appena salvata per puro miracolo. Daniel si convince che la donna non sia veramente sua moglie: si tratta di un che va eliminato.
In un’escalation di episodi paranoidi, durante i quali Liz vuole fare di tutto per dimostrargli che si tratta realmente di lei, assistiamo alla sua mutilazione, ai suoi abusi e, infine, al suo omicidio per mano del marito. Il punto focale del racconto risiede nella capacità di persuasione di Daniel, il quale, esercitando sullə spettatorə fortissimo gaslighting, ci convince che la donna non sia davvero Liz. Infatti, il dubbio assoluto viene instillato a fine storia quando, dopo aver ucciso il (presunto) doppelgänger, bussa improvvisamente alla porta una donna che ci viene presentata come la vera moglie, immediatamente accolta in casa da Daniel e riconosciuta da subito in quanto tale.
Forse frutto di un’allucinazione, forse esperienza reale, l’osservatorə non può che restare sbigottitə ed essere immediatamente catapultatə nel terzo e ultimo racconto, senza avere il tempo di assorbire gli eventi appena conclusi. R.M.F. mangia un sandwich non narra di una relazione tossica convenzionale, bensì di una setta. Emily, la protagonista di questo episodio, ha il compito di trovare una persona capace di resuscitare i morti. Manipolata dai leader della setta, la donna si era allontanata dalla propria famiglia lasciandosi alle spalle marito e figlia, rifacendosi quindi una nuova vita secondo i dettami della congrega e determinata a realizzare il compito assegnatole. Ma non è così semplice come sembra: Emily, infatti, ha ancora difficoltà a tagliare definitivamente i rapporti con l’ormai ex marito Andrew, sente la mancanza della sua precedente quotidianità e, soprattutto, è ancora molto affezionata al suo ruolo di madre, nonché alla bambina. Approfittatosi della sua nostalgia, Andrew spinge la donna a tornare a casa solo per una sera. Con questa scusa, la droga e la stupra brutalmente. I capi del culto, una volta scoperto il “misfatto”, cacciano Emily dalla congrega poiché “impura” a seguito del “rapporto consumato”. Avrebbe qualche possibilità di essere riammessa solamente portando alla setta la persona dai poteri paranormali, evento per cui non bisogna attendere a lungo. Tuttavia, la bramosia e l’entusiasmo della donna la portano a una noncuranza estremamente pericolosa, il cui esito porta alla morte della candidata supernaturale, lasciando quindi Emily a mani vuote.
Annichilimento e nichilismo sono le parole chiave per interpretare questo film. Ogni episodio, in effetti, vede la morte di uno dei personaggi come risultato di comportamenti egoisti ed egocentrici. Abbiamo un annullamento totale dei valori, un universo che agisce e fa agire secondo le proprie regole e il cui fondamento risiede nel compiacimento dell’altro, nel dominio di tuttə su tuttə. Persino le vittime agiscono secondo questo criterio di supremazia: ad esempio, Robert, il protagonista della prima storia, pur essendo sottomesso al proprio capo, alla fine cede alle richieste criminali e, con disperazione e rabbia, sottomette a sua volta il povero R.M.F., investendolo molteplici volte per assicurarsi della sua morte effettiva.
Altro punto focale si configura negli stimoli alla sensibilità deglə spettatorə che dimorano nella pellicola: nonostante la precedente analisi simbolica, può essere fruita senza una necessaria riflessione metaforica. Inoltre, Kinds of Kindness è un film che va sentito: come citato in precedenza, ha un forte impatto emotivo. Questo poiché risveglia sensazioni di disagio e curiosità e ambisce ad essere visto e vissuto. Entriamo bruscamente nella vita dei protagonisti e veniamo coinvoltə dal turbinio di sentimenti, spesso contrastanti, ritrovandoci a empatizzare e contemporaneamente giudicare le persone coinvolte. Complici di queste emozioni è anche la scelta delle colonne sonore che, senza essere troppo distraenti, danno un tono solenne e drammatico ai momenti d’impatto, attraendo ulteriormente lo spettatore verso la scena.
Il film è sicuramente difficile da metabolizzare a causa della propria ferocia. Probabilmente, è stato concepito per un pubblico capace di assimilare la violenza rappresentata, sorvolando le leggi della logica e della razionalità per concentrarsi sul narrato. Nonostante questo, vale assolutamente la pena dargli una possibilità e provare a guardarlo: potrebbe sorprendervi e segnarvi più di quanto si possa immaginare. Perciò, lascio a voi le considerazioni finali e, citando la nostra Emily, «This is it. Do you think you can do it?» .¹
Erika Pagliarini
Mi chiamo Erika, nata nel 2001 praticamente con la penna in mano. Attualmente studio
Filosofia a Pavia ma posso considerarmi da sempre appassionata di arte e scrittura, motivo
per il quale ho deciso di percorrere una strada affine ai miei interessi aggiungendoci un
tocco di trash e riflessioni personali. Spaziando tra cinefilia, disegno e lettura adoro sfruttare
i miei interessi e ricavarci storie personali che possano colpire gli altri e dare espressione ai
miei pensieri.