Marzo, 1791. Emanuel Schikaneder è un cantante e impresario, dalla recente aspirazione di risollevare le sorti del Singspiel dall’aspra concorrenza dell’opera all’italiana. La sua mente pianifica una controffensiva: un’opera fiabesca, sulla base di un libretto che lui stesso ha redatto. La storia si ispira a una fiaba della raccolta Dschinnistan di Christoph Wieland, dal titolo Lulu, oder die Zauberflöte. Il musicologo Peter John Branscombe obietta che Schikaneder abbia solamente preso il titolo e sconvolto totalmente la trama di questa fiaba1 (anche se rimane uno strascico fiabesco nella scena 13, quando Tamino, il protagonista, dalla contentezza suona per la prima volta il flauto ed “escono animali selvatici di tutte le specie per ascoltarlo”, un evento che non ha nulla a che fare con la drammaticità del momento, né con il suo possibile simbolismo).
Ad ogni modo, il librettista propone all’amico Mozart di realizzarla insieme. Non è certo un colpo di fortuna o di fulmine, i due vivono già da un paio di anni in un clima di crescente familiarità. Negli anni immediatamente precedenti, la produzione di Mozart è costellata di tanti “lavoretti minori” per le occasioni più strane: minuetti, concertini, contradanze, nulla che faccia presagire il Flauto. Queste piccole composizioni, però, segnano il suo avvicinamento alla compagnia Schikaneder. Inoltre, in quel periodo sua moglie Constanze Weber è in villeggiatura a Baden per riposare durante la sua gravidanza; la temporanea solitudine di Mozart viene sanata proprio da questa compagnia. Secondo il biografo mozartiano Hermann Abert2, la collaborazione tra i due non è stata a senso unico, ma al contrario Schikaneder avrà mostrato a Mozart dapprima soltanto un piano dell’opera, e poi lo avrà realizzato “in stretto contatto” con lui. Dovette esserci un’incessante collaborazione, “quale non ha l’uguale, in tal misura, in nessuna delle precedenti opere di Mozart”.
Quando la stesura del libretto sta per essere terminata, arriva un grosso imprevisto: la prima rappresentazione, da parte di un teatro rivale, di Gaspare il fagottista, un’opera tratta da Lulu. Con l’aiuto di Karl Ludwig Giesecke, parte della compagnia di Schikaneder, i due riscrivono parzialmente la trama, avvicinandola alla versione che conosciamo oggi: Sarastro, l’antagonista, diventa mago benevolo, e il polo negativo viene spostato sulla Regina della Notte. È qui che arriva l’accezione orientale (il nome Sarastro è una corruzione di “Zoroastro”, come allusione alle fonti di antica saggezza orientale) e massonica, con tutti i suoi simboli e messaggi nascosti.
Il flauto magico deve superare un altro ostacolo alla sua conclusione: a Mozart viene commissionata una nuova opera per l’incoronazione di Leopoldo II e deve dunque recarsi a Praga per scrivere La clemenza di Tito. Per la fretta di voler tornare al progetto del Flauto, la nuova opera non ha un buon risultato e per questo motivo il musicista rientra a Vienna avvilito. Schikaneder lo sostiene nel terminare la composizione. Per il drammaturgo francese del XX secolo Henri Ghéon, “il difetto iniziale e fondamentale del Flauto è d’essere stato composto, libretto e musica, in due tempi. Come l’arte del musicista abbia saputo trarre dal mostro un angelo, è uno dei più belli esempi del miracolo mozartiano”3.
La principale ispirazione per Il flauto magico deriva indubbiamente dal coinvolgimento di Mozart con la massoneria. Egli entrò nell’associazione segreta proprio quando la sua carriera stava raggiungendo il suo apice. Venne iniziato il 14 dicembre 1784 nella loggia “Zur Wohltätigkeit” (cioè, “Alla beneficenza”), potendo contare sulla mediazione dell’amico massone e drammaturgo Otto Heinrich von Gemmingen-Hornberg. Non c’è testimonianza certa sulla datazione riguardo al cammino iniziatico di Mozart: per la musicologa Lidia Bramani, fu elevato al grado di “compagno” e poi “maestro” tra il 7 e il 13 gennaio 17854. Inutile dire che l’esperienza massonica lascia un’enorme impronta, per quanto riguarda simboli e ideali, sul Flauto magico.
In questa fase estrema della vita di Mozart, la musica diventa strumento di conoscenza delle cose ultime: non ha bisogno della pompa magna dell’opera all’italiana, ma si annida in occasioni senza pretese. Questo allontanamento dalla tradizione italiana, secondo Hermann Abert, è in parte dovuto al clima in Austria con la morte dell’imperatore Giuseppe II (illuminista fiducioso e riformista, oltre che massone) e la salita di suo fratello Leopoldo II (prudente conservatore e ostile alla massoneria). Alcuni, come Moritz Alexander Zille, teologo e massone lipsiense, hanno ipotizzato5 che il Flauto fosse in realtà un lamento per la sorte della massoneria in Austria, e che in Sarastro si vedesse Giuseppe II e in Tamino il popolo austriaco; la Regina sarebbe Maria Teresa e Monostato il clero.
Il primo atto, in realtà, non andò bene. Per questo motivo Mozart voleva lasciar perdere a metà rappresentazione; furono solo gli incoraggiamenti degli amici a fargli portare a termine la prima, che alla fine ebbe grande successo6 (e poté solo migliorare: nelle repliche l’apprezzamento del pubblico crebbe in fretta e sempre più). Ce lo testimonia la lettera del 7 ottobre 1791 alla moglie Constanze, partita per Baden: “Torno ora dall’opera; era affollato come sempre. Il duetto ‘Donna ed uom ecc.’ e il carillon del primo atto sono stati come sempre ripetuti, e così il terzetto dei fanciulli nel secondo atto. Ma quello che mi fa più piacere è l’approvazione muta! Si vede bene quanto quest’opera stia crescendo sempre più nella stima del pubblico”7. Dev’essere stata una grande soddisfazione personale per il compositore: possiamo leggere da alcune lettere al padre che Mozart aveva intenzione di dotare il suo paese di un’opera lirica in lingua tedesca per combattere la soggezione verso l’opera italiana. Ad esempio, il 5 febbraio a Vienna scrive: “Ogni nazione ha la sua opera: perché noi tedeschi non dovremmo averla?”8.
La trama può sembrare all’inizio un semplice “viaggio dell’eroe”: il principe Tamino viene salvato da un serpente gigante grazie all’intervento di Tre Dame, aiutanti di Astrifiammante, Regina della Notte. Al suo risveglio, Tamino incontra Papageno l’uccellatore: cattura e dona volatili alle Tre Dame in cambio di cibo e vino. I due vengono condotti dalle tre proprio dalla Regina, che assegna loro l’impresa di salvare sua figlia Pamina. Ella è stata rapita dal perfido mago Sarastro; se Tamino riuscirà a riportarla dalla madre, potrà averla in sposa. Il principe (come nelle migliori fiabe) si innamora di lei non appena posa lo sguardo sul suo ritratto e dunque accetta la missione. La Regina dona loro anche due strumenti magici da usare contro i nemici: un flauto magico e un Glockenspiel, uno strumento fatto di campanellini metallici9. Tre Fanciulli si assumono il compito di guidare i due eroi alla meta.
Nel frattempo, Pamina sta cercando di sfuggire alle grinfie di Monostato il Moro, servo di Sarastro, che la tiene prigioniera ma vorrebbe approfittare di lei. Arriva Papageno, che approfitta di un momento di assenza del carnefice e porta la principessa via con sé. E anche se arrivano degli sgherri di Monostato per ostacolarli, basta qualche nota melodiosa del Glockenspiel per neutralizzarli (nessuna uccisione truculenta, però: la musica li incanta e si mettono a ballare). Tamino viene invece condotto davanti a tre Templi, e un sacerdote gli chiede cosa sta cercando. Egli giura vendetta contro Sarastro, ma il sacerdote controbatte che il mago è in realtà un maestro di sapienza, lasciando il principe confuso e solo. Papageno e Pamina vengono raggiunti da Sarastro, su un carro trionfale e con un seguito di fedeli, e lì viene portato anche Tamino, nel frattempo catturato da Monostato. Il Moro si aspetta una ricompensa, ma il mago gli promette solo frustate sui piedi e ordina di portarlo via. Avviene qui un completo ribaltamento del polo positivo e negativo: Sarastro spiega che in realtà voleva allontanare Pamina dall’influenza malvagia della madre, la quale ha ingannato i due protagonisti per cercare di sconfiggerlo. Tamino e Pamina, già innamorati e inseparabili, decidono di sottoporsi alle prove dei sacerdoti di Sarastro per entrare nel suo Regno e salvarsi.
Il secondo atto si apre con un rito di iniziazione a cui Tamino e Papageno partecipano, per entrare nella confraternita di Sarastro. La prima prova prevede che stiano in silenzio: a tentarli arrivano le Tre Dame, ma il principe non cede (e Papageno… almeno ci prova). Nel frattempo, Monostato cerca di baciare Pamina, addormentata in un giardino, ma l’arrivo della Regina lo fa spaventare e nascondere. Astrifiammante chiede notizie di Tamino alla figlia e va su tutte le furie: da quando il suo sposo, il Re, lasciò in punto di morte il Cerchio del Sole a Sarastro, lei non può nulla contro il mago. Dunque, consegna a Pamina un pugnale e (durante una delle arie più celebri dell’opera tedesca, Die Hölle Rache) le ordina di uccidere Sarastro, minacciandola di rinnegarla per sempre se non lo farà. Dopo che se n’è andata, Monostato salta fuori e cerca di ricattare Pamina per ottenere un bacio, ma appare Sarastro che scaccia il Moro e paternamente le spiega che solo l’amore, non la vendetta, conduce alla felicità.
Continuano le prove iniziatiche dei due protagonisti: Pamina non sa del voto di silenzio, e chiede a Tamino se la ama ancora. Non ricevendo risposta, si abbandona alla disperazione e cerca di uccidersi ma sopraggiungono i Tre Fanciulli (anche loro parte del ribaltamento di parti e, in realtà, buoni) per fermarla e rassicurarla che il principe la ama davvero. Papageno fallisce la prova del silenzio e per questo motivo non può continuare nel percorso; i sacerdoti gli concedono di godere dei piaceri terreni, come un buon bicchiere di vino, e gli mostrano anche la donna dei suoi sogni, Papagena, che però gli viene subito sottratta, avendo fallito la prova. Pamina decide di stare al fianco di Tamino durante le ultime prove, che riguardano gli elementi della natura: grazie alla forza del loro amore, i due le superano tutte e lei gli rivela che è soprattutto grazie al flauto magico se sono riusciti nell’impresa. Papageno vorrebbe invece impiccarsi per la perdita della sua amata, ma i Tre Fanciulli, nuovamente, impediscono il suicidio e lo esortano a suonare il Glockenspiel. Detto fatto: Papagena riappare e i due si abbracciano, promettendo di non lasciarsi più.
In un ultimo tentativo di ribaltare la sorte, Astrifiammante arriva nel regno di Sarastro, seguita dalle sue Dame e anche da Monostato, che ha cambiato schieramento. Un terremoto, però, li fa sprofondare nella terra e il Male viene definitivamente sconfitto. L’opera si chiude con un’aria di celebrazione del Bene, mentre Pamina e Tamino vengono finalmente accolti nel Regno del Sole di Sarastro.
Il flauto magico non pretende di esporre i moti e drammi dell’animo umano in musica, ma è piuttosto la storia di un’iniziazione misteriosofica al limite del religioso. Per il musicologo francese Jean-Victor Hocquard, c’è una “riconquista del glorioso stato d’innocenza dell’uomo primigenio”10. Non c’è un personaggio veramente patetico qui, gli affetti del pubblico non sono contagiati dalle vicende inscenate; l’intento è suscitare più la sensazione di essere stati soggetti a una rivelazione morale, più che un coinvolgimento emotivo da teatro greco o un’osservazione obiettiva e giudicante degli eventi. Non c’è pathos, non c’è sentimentalismo. L’opera ha carattere etico e sacrale, è più un mistero parareligioso che una commedia di carattere. La stesura del libretto è adatta alla musica perché semplice, breve, concisa e precisa. Per Hocquard “ogni personaggio viene al momento giusto a dire ciò che conviene”11. Per Abert, la poesia, pur teatralmente efficace, resta la “figlia ubbidiente della musica” in ragione della sua modestia stilistica12.
Una caratteristica del Flauto magico che merita di essere sottolineata per aiutarne la comprensione è che, nelle parole di Mila, i personaggi hanno una “psicologia sommaria da teatro dei burattini”13. Ovvero: non possono essere definiti come tipi/caratteri, né come entità astratte (sebbene si possa dire che alcuni di loro incarnino dei valori); invece, l’analogia con lo spettacolo dei burattini ci fa immaginare meglio il loro statuto all’interno dell’opera. È come se stessimo assistendo alla rappresentazione di una fiaba, in cui i personaggi tendono o al Bene o al Male e noi, come bambini, tifiamo per i protagonisti, senza interrogarci troppo sul loro inconscio, desideri profondi o contraddizioni. Afferma Hocquard: “nel Flauto magico non c’è più un’azione esterna sotto la quale risieda, immanente, l’azione interiore. Quest’ultima accede ora al primo piano scenico. Nelle opere precedenti era l’intreccio che dava alle azioni il loro impulso e ai personaggi la loro consistenza. Qui, al contrario, l’idea preesiste e presiede al gesto”14.
L’immagine guida è ben chiara, data l’interpretazione massonica: la lotta della Luce contro il Buio, declinata anche come la Conoscenza che sconfiggerà l’Ignoranza. Gli schieramenti dei personaggi sono abbastanza chiari (Tamino, Pamina, Sarastro, Papageno, i tre Fanciulli vs la Regina, le tre Dame, Monostato), ma il dettaglio interessante è che, tra le figure del polo positivo, Papageno è quello che si presta meno a letture massoniche. A mio parere, non regge l’ipotesi di Mila, che, data l’affinità con gli uccelli, definisce Papageno come simbolo di uno dei quattro elementi: “Ciò annetterebbe l’umile Papageno alla sfera positiva del mondo di Sarastro (Sole-fuoco-aria-oro) mentre il moro Monostato significherebbe la terra, e sarebbe perciò collegato con l’interiore sfera femminile della Regina della Notte (Luna-acqua-terra-argento)”15. Piuttosto, l’uccellatore rappresenta l’uomo al suo stato naturale, in una condizione precedente all’acquisizione della coscienza morale. Non è grottesco, ma mantiene una propria autonomia di azione e pensiero; non è nemmeno una figura satirica o una caricatura di Tamino.
Narrativamente, è molto più simile a una controparte comica, che prende su di sé la quasi interezza di questi momenti, mentre Tamino si può permettere più pathos. Ad esempio, nella scena 11:(Guarda il ritratto, che il Principe aveva ricevuto in precedenza e che ora Papageno porta legato al collo) “Gli occhi neri – esatto, neri. – Le labbra rosse – esatto, rosse. – Capelli biondi – capelli biondi. – Tutto coincide, eccetto mani e piedi. – A dedurre dal dipinto, non devi avere né mani né piedi, visto che qui non sono mostrati.”. Sia Tamino che Papageno anelano verso uno stesso oggetto del desiderio (una donna al proprio fianco), ma espresso in maniera diversa: nella sua prima aria (atto 1, scena 3), Tamino la stringere[bbe] a questo petto infuocato (il fuoco è, ovviamente, la sensazione d’amore che il principe sente bruciare per la prima volta nel suo petto); Papageno, invece, è più materiale (Lei allora mi bacerebbe affettuosa, Sarebbe mia moglie ed io suo marito./ Si addormenterebbe al mio fianco, E io la cullerei come un bambino, atto 1, scena 2). Rapportando in questo modo il nobile amore per Pamina con il desiderio più “materiale” di Papageno, viene in questo modo sottolineata l’eccezionalità dell’aspirazione di Tamino, che lo eleva rispetto al mondo terreno dell’uccellatore.
Ad ogni modo, i temi principali sono la fede nella fratellanza e nell’amore universale e un anelito a un regno terrestre di felicità e giustizia. Ci sono molteplici passaggi che li presentano in modo esplicito: ad esempio, nel Quintetto della scena 7 del primo atto, Tamino, Papageno e le tre Dame cantano: “Se a tutti i bugiardi si mettesse Un tale lucchetto sulla bocca: Invece di odio, calunnia e rabbia nera, Ci sarebbe amore e fratellanza”. Questa lezione morale viene proclamata, annunciata apertamente come da araldi, e a mio parere non stupirebbe se nella messinscena i cinque personaggi qui guardassero il pubblico infrangendo la quarta parete e rendendo palese che ciò che sta avvenendo è un insegnamento. Probabilmente, le tre Dame stanno usando questi versi come “copertura”: chi crederebbe mai che sono degli emissari del Male personificato?
Attraverso i due amici, viene espresso un tema secondario, ma non per importanza: la virtù benefica della musica, ad esempio quando Papageno suona il Glockenspiel per salvare, con il suo potere magico, se stesso e Pamina dalle grinfie di Monostato e i suoi schiavi. È significativo (e sicuramente affine ai temi magici/fiabeschi del Zauberstück) che questa virtù venga celebrata non attraverso il nobile flauto di Tamino, come se fosse un Orfeo, ma attraverso uno strumento popolare e quasi da “baraccone” e per di più suonato dall’uccellatore e non dal prode eroe e principe. Qui si coglie il senso ultimo del Flauto magico secondo Mila16; c’è un messaggio profondo non perché è astruso ma perché la sua spontaneità è nascosta dal “velo” massonico. E il messaggio è la rivincita degli umili, come Papageno, del popolino viennese, macché Sarastro, macché saggezza superiore. È proprio lui che incarna la comicità buffonesca di Hans-Wurst (“Giovanni Salsiccia”, una sorta di Arlecchino del folk austriaco). Questo tipo di divertimento più superficiale era una delle tendenze che era penetrata nel Singspiel17. Una delle caratteristiche di questo genere, ricordiamo, era il “doppio regime vocale” (cantato nelle arie e parlato, ma non “recitativo”) e Papageno è il personaggio che usufruisce più degli altri di questo espediente, che nell’opera italiana sarebbe stato ritenuto una “scomodissima frattura”18.
Il flauto magico è sicuramente una delle opere più affascinanti, misteriose e al contempo facilmente fruibili di Mozart. Il musicologo Alfred Einstein scrisse che il Flauto “è un lavoro che incanta il fanciullo, commuove l’uomo più indurito ed entusiasma il saggio. Ogni individuo ed ogni generazione vi trovano qualcosa di diverso: solo a colui che è semplicemente colto, e al puro barbaro, Il flauto magico non dice nulla”19. Secondo Abert, il Flauto “non si rivolgeva più agli intenditori ed amatori, bensì a una più ampia collettività, che non possedeva alcun privilegio di competenza artistica”20. È un’opera, quindi, pensata per tuttə, coerentemente al messaggio di fratellanza in essa presente.
Note
- P. J. Branscombe, W.A. Mozart, die Zauberflöte, Cambridge University Press, New York 1991.
- H. Abert, W. A. Mozart, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1921, capitolo Il flauto magico (vol. II, pp. 619-91).
- H. Gheon, Mozart, 1932.
- L. Bramani, Mozart massone e rivoluzionario, Milano, Bruno Mondadori, 2005.
- La fonte è un pamphlet anonimo pubblicato a Lipsia nel 1866.
- B. Dal Fabbro, Mozart. La vita. Scritti e appunti 1954-1975, Milano, Feltrinelli, 1975.
- W. A. Mozart, Lettere (introduzione di Enzo Siciliano), Guanda, Parma 1981, p. 282.
- Ibidem.
- Si tratta di uno strumento a percussione che si pensa derivi dallo xilofono. Il nome in realtà significa “gioco di campane” (infatti, nel testo si fa sempre riferimento a “campanelli”). Probabilmente Papageno in scena fa l’azione di suonare delle campanelle e il suonatore di Glockenspiel nell’orchestra suona il proprio strumento.
- J. V. Hocquard, La pensée de Mozart, Éditions du Seuil, Paris 1958.
- Ibidem.
- H. Abert, p. 629.
- M. Mila, 1989.
- J. V. Hocquard, p. 494.
- M. Mila, p. 82.
- M. Mila, p. 123.
- M. Mila, p. 16.
- E. J. Dent, Mozart’s Operas: a critical study, Oxford Clarendon Press, London 1991.
- A. Einstein, Mozart. Il carattere e l’opera, Ricordi, Milano 1951.
- H. Abert, p. 632.
Vittoria Tosatto
Nata a Vimercate nel 2001 e cresciuta nei meandri della Brianza, mi sono laureata in Scienze Linguistiche e ora studio Cinema all’Università Cattolica di Milano (e ancora mi chiedo perché ho scelto la vita da pendolare). Le mie “guilty pleasures” sono i musical, le aste e i libri che finiscono male. Gestisco la sezione di scrittura articoli, correggo, mi occupo del calendario e di strigliare (con amore) i nostri articolisti. Spesso mi troverete a scrivere pezzi su cinema, letteratura e teatro, ma non solo: tocca a voi scoprire il resto.