Si intitola La ghigliottina il nuovo singolo di Dario Brunori, in arte Brunori Sas, uscito mercoledì 18 settembre. Il cantautore cosentino, che fa dell’autenticità la sua cifra stilistica, torna a farsi spazio nella scena musicale con un brano che arriva dritto al punto. A scaturire dal suo pensiero analitico è uno spaccato della realtà che ci circonda, contrassegnata da tutte le sue controversie.
Non è certo la prima volta che Brunori Sas si interroga sull’evoluzione (o sull’involuzione) di una generazione. Quello a cui ci stiamo riferendo è un artista poliedrico, in grado di riempire teatri fino all’ultima fila della piccionaia con i suoi monologhi, ma anche di tenerci incollati alla TV con un programma ideato e scritto da lui stesso e dal titolo, facilmente giustificabile, Brunori Sa, in onda su Rai3 nel 2018.
“Nell’infilarmi in questo ginepraio, ho indossato un po’ i panni del cronista, un po’ quelli dell’autore, alternando frasi captate in giro a roba che mi è passata per la testa”, il cantante esplicita così il suo modus operandi nella didascalia del suo ultimo post di Instagram. L’autore e la sua penna negli anni sono stati artefici di vere e proprie poesie in musica, tra le quali non si possono non citare Kurt Cobain, La verità e Canzone contro la paura. Questa volta la scelta ricade su un notevole abbassamento di tono. Il suo stile si fa più accessibile, di modo da rendere le sue considerazioni più comprensibili, ma non per questo meno dense di significato. Il risultato? Una fotografia nitida di una società che invece risulta essere tutt’altro: indefinita, contraddittoria, insomma, fuori fuoco.
Già dal titolo della canzone vediamo come il cantautore opti per un’immagine decisa e concreta nel suo fine. Lo strumento di esecuzione capitale sembrerebbe alludere alla volontà odierna di chiudere definitivamente con il passato. Inoltre, il fatto che sulla copertina appaiano i gherigli di una noce aperta a metà suggerisce l’idea di un’agognata apertura mentale, con la conseguente fuoriuscita di pensieri freschi e innovativi. Allo stesso tempo, però, il frutto è ancora ben saldo all’interno del proprio guscio, forse a simboleggiare il forte attaccamento che la nostra cultura mantiene rispetto alle sue radici.
Quindi chi o che cosa viene ghigliottinato? Io credo che ad essere decapitata sia la natura umana. Le generazioni passate, nonostante l’età che avanza, in certi casi si attaccano alla vita come se fosse ancora compito loro decidere le sorti del futuro. Forse la sola cosa da fare, ma anche quella più difficile, sarebbe quella di accettare che il loro posto sarà presto di altri, che porteranno a loro volta con sé nuovi obiettivi, nuovi ideali e nuove considerazioni.
Il mondo sta cambiando, ma per notarlo si devono avere ben impressi nella mente dei concetti chiave. È questa, dunque, la missione che l’interprete della canzone si propone di portare a termine: cantare, con il cuore in mano, della grande velocità di questi capovolgimenti. Per farlo, gli bastano 3 minuti e 43 secondi, colmi di parole di speranza, ma soprattutto di critica e di disincanto. Abitudini del passato e rivolte del presente si battono in un duello all’ultimo sangue, che sembra non volersi mai esaurire.
Lo stesso autore, intento a decifrare la sua stessa composizione, dice che “il mashup per certi versi ricorda il flusso schizofrenico di immagini e suoni di uno scrolling sui social”. Allora non facciamo fatica ad immaginarcelo: Brunori Sas scrolla, proprio come tutti noi siamo soliti fare su TikTok, perdendo spesso e volentieri la cognizione del tempo e uscendone sballottati a causa dei troppi stimoli visivi.

Il banale gesto di far scorrere il dito verso l’alto ci permette di essere al passo coi tempi, ma si sa: se non si guarda bene dove si mettono i piedi il rischio è quello di inciampare. Nel mondo reale ci si può imbattere in fake news, ma la quantità e l’entità dei problemi legati allo scrolling su TikTok è varia. La piattaforma ha ricevuto accuse di promozione del bullismo e adescamento, ma non solo: nel 2023, da alcuni rapporti di Amnesty International, è emerso come TikTok amplifichi contenuti depressivi e suicidi, rischiando di danneggiare la salute mentale dei ragazzi. Anche altre piattaforme sono (o potrebbero essere) soggette a questo tipo di rischi, TikTok ne è solo l’esempio più calzante. Anche un artista come Brunori Sas non è immune a questo pericolo, ma egli lucidamente mette in musica gli scenari a cui assiste.
L’azione dello scrolling non è quasi mai lenta e godibile, quello che si tende a fare è correre, come a dover acquisire tutto nel minor tempo possibile. Il monito è chiaro: bisogna stare in guardia perché, man mano che un’attività si velocizza, poi non consente più pause, e ancor meno riflessioni.
L’algoritmo di TikTok ci cattura prima ancora che possiamo rendercene conto: ci propone video su video, tutti diversi, uno dietro l’altro. Noi cerchiamo quelli che ci interessano di più, ma nel novero delle visualizzazioni, procedendo alla cieca, troviamo talmente tanti contenuti che non ne siamo mai sazi. E allora si innesca quel meccanismo dell’“uno tira l’altro”, come coi nostri biscotti preferiti.
Il più delle volte, inseguendo un non si sa bene quale stimolo, finiamo col perdere parecchi minuti preziosi, l’interesse e, di conseguenza, la pazienza, finendo poi col sentirci estremamente frustrati. C’è il forte sospetto che, essendo iper attenti a tutto quello che ci vediamo passare sotto il naso ad alta velocità, ad avere la peggio sia la concentrazione. L’abile musicista allora riporta l’attenzione su di sé, rendendo la realtà odierna tangibile alle nostre orecchie, decisamente meno sfruttate rispetto ai nostri poveri occhi.
Ma ci siamo mai chiesti davvero il perché di questo nuovo gesto che ci dà assuefazione? La digitazione di messaggi comporta il lavoro dei due pollici opposti e questa ormai è un’operazione che diamo per assodata. Tuttavia, nello scrolling l’unico a muoversi è l’indice, che, come il remo di una canoa, ci trasporta ciclicamente avanti e indietro costeggiando la schermata Home. In questo corso d’acqua impetuoso di news dell’ultimo minuto e curiosità più o meno necessarie navighiamo a vista, senza una vera e propria meta da raggiungere. È il viaggio ad assumere il ruolo centrale, e il che non sarebbe affatto negativo, se non fosse che in mezzo a questo mare di distrazioni, le correnti di pixel ci trasportano via dal mondo reale. Ecco, questo è ciò che accade quando ci addentriamo nelle profondità dei social network: la possibilità di usarli bene è un faro che diffonde luce nella nostra mente, chiarendo dubbi e svelando verità. Ma il rischio di questo abitudinale scorrimento è quello di arrivare ad usare gli strumenti tecnologici senza ritegno, soltanto per galleggiare, e ingenuamente finire per annegare nei vortici.

Attraverso questo viaggio fra le note, si prendono in esame temi senza tempo e alla portata di tutti, come la convivialità, l’essere donna, la bipartizione normale/anormale, e ancora la droga, la moda, il calcio e il sesso. Analizzando questo quadro da più vicino, viene esplicitato che in un momento di reciproco scambio, come può essere quello di un pasto, si è soliti dire cose che poi non si ripeterebbero tali e quali in pubblico, segno di coesione fra propri simili sì, ma di certo anche di un’insicurezza di fondo che ci blocca tutti all’interno delle nostre fragili e poco capienti bolle sociali. In questa parte Brunori Sas sembra fare riferimento al politically correct: qual è il limite entro il quale si può esprimere la propria opinione senza mancare di rispetto a quella altrui? Quanto in alto si può arrivare prima che la bolla inavvertitamente scoppi?
A proposito della questione femminile, si dice che la donna ora è più donna di quanto non fosse un tempo, resa più forte dall’intraprendenza e dall’autodeterminazione. Tra le righe, comunque, non si fatica a leggere un senso di frustrazione verso una società che è ancora alle prese con la lotta contro una visione patriarcale che sembra indelebile.
Proseguendo viene nominato il cosiddetto “maschio etero bianco”, descritto come stanco e privo di spirito d’adattamento, un po’ restio di fronte ad una normalità che ancora non riesce a considerare tale. Per lui sarebbe incredibilmente più semplice fare un salto indietro nel tempo, a quei “bei vecchi tempi” raccontati a lui dai suoi avi e dalle loro voci immancabilmente conservatrici. In questo passaggio emerge più che mai lo stile brunoriano: sincerità allo stato puro, nascosta dietro ad un’ironia più o meno velata. È come se non volesse mai del tutto addolcire il boccone amaro, piuttosto preferisce farcelo assaporare nella sua interezza. Continua poi a raccontare di quest’uomo sempliciotto e ottuso, i cui unici interessi in grado di animare le sue giornate hanno a che fare sostanzialmente o con il desiderio di soddisfazione (esclusivamente sessuale) o con un pallone che rotola inseguito da uomini milionari. Che poi, diciamo la verità, quanto è bello distrarsi in qualsiasi modo pur di non soffermarsi mai sulle questioni rilevanti?
“Quante volte ho sentito parlare di campagna / Alla gente che vive in città / E che loda la vita bucolica / Però in campagna, poi, mica ci sta”.
In questa apparentemente giocosa manciata di versi, Brunori Sas riesce a semplificare un concetto paradossale, ovvero la facilità di parlare rispetto alla difficoltà di agire. Con la sua penna dalla punta tagliente mette in luce quel grande difetto della società attuale che è l’idealizzazione.
Risulta evidente come gli argomenti sopracitati siano da sempre sulla bocca di tutti e lo siano rimasti, ma è altrettanto lampante come le sensibilità siano cambiate nel corso del tempo. È ironico pensare che le nuove generazioni abbiano a cuore di essere percepite come empatiche e di larghe vedute, pronte ad abbattere qualsiasi genere di pregiudizio, ma allo stesso tempo, come nel caso del calcio, il nostro orgoglio non ci permetta di scansarci di un millimetro dal passato. E allora in quella fissità ci sguazziamo eccome, e inneggiamo ancora al coro dei mondiali del 2006, l’onnipresente “Po-po-po”, rintracciabile non a caso anche nel brano stesso.
Questa canzone mi ha fatto riflettere sulla possibilità e sull’eventuale tempistica con cui si cambierà approccio verso questi temi imprescindibili. La melodia scorre lenta, accompagna il susseguirsi di ipotesi, ma alla fine ci conduce ad un vicolo cieco che ci porta a pensare che qualcosa resterà immutato: è sempre d’amore che si tratta, il Leitmotiv non può essere che questo. D’impatto universale, il sostantivo “amore” viene ripetuto un numero impressionante di volte, creando un loop quasi nauseabondo che finisce per stancarci, per una volta, anche quelle orecchie che, contrariamente agli occhi, erano salve da quell’incessante esercizio di scrolling.
Ma la sorpresa migliore ce la riserva il finale, il modo in cui tutto questo si dispiega. Viene detto che l’amore non c’è o, meglio, non è qui, lasciandoci sul più bello con più domande di quante non ce ne fossimo già poste. Il verso finale poi è davvero un interrogativo: “Cosa bisogna cantare oggigiorno?”
Beh, caro Brunori, così su due piedi io non saprei cosa rispondere, ma credo che dar voce all’irresolutezza di questo mondo, datato 2024, sia decisamente un buon inizio.

Marta Caffa
Piacere, Marta. Sono cresciuta fra le colline nei pressi di Alba, ma attualmente frequento Lettere Moderne con vista sulla Mole Antonelliana. Ho aperto gli occhi nel 2003, ma ora mi diletto a chiuderli dopo pranzo (e tentare di risvegliarmi dopo una ventina di minuti). Quando non mi appisolo, leggo tante poesie, sfido i miei amici in giochi da tavolo e rivolgo spesso e volentieri domande esistenziali ai miei interlocutori per capire come girano le loro rotelle. Tra le mie passioni spiccano ancora: i silenzi senza imbarazzo, il gelato all’amarena e i colori sbiaditi che non sai mai come chiamare.