Come sto? Ma chi lo sa come sto.
Sono quasi cinque anni che faccio una seduta a settimana dalla psicologa e, a breve, sarà un anno che vengo seguita anche dallo psichiatra di fiducia della struttura.
Quasi mi verrebbe da festeggiare con loro per la nostra lunga e stabile relazione – se parliamo di fedeltà e appoggio, sicuramente nel nostro rapporto non mancano (anche se mono-direzionali).
Cari lettori, non ci conosciamo ancora abbastanza bene da raccontarvi la mia storia personale e le difficoltà emotive che caratterizzano il mio vivere nella nostra società – ma – forse qualcun* di voi si riconoscerà nel mio racconto, saprà di non essere solo.
Come stai? Direi benissimo.
Quando ho iniziato il percorso di terapia mai mi sarei aspettata che potesse diventare una parte così solida della mia routine. Mi ci sono avvicinata con estrema ingenuità e per nessun evento specifico scatenante. Ero convinta di “voler fare il punto della mia situazione” e che, nel giro di qualche seduta, la psicologa mi avrebbe visto esattamente come io volevo vendermi agli altri.
Stabile, emotivamente matura e intoccata dalle esperienze traumatiche che hanno colorato la mia infanzia e crescita. Vi ho già spoilerato all’inizio che non è andata esattamente così.
Ho retto una manciata di sedute con il mio personaggio dolce, forte e indipendente, finché non mi sono dovuta confrontare con il fatto che Lei stava vedendo oltre i racconti impersonali e la mia difensiva auto-ironia.
È stato pesante essere vista. Istintivamente volevo scappare, non volevo più andare alle sedute. Cercavo ogni possibile scusa per ritardare o non presentarmi, perché non ero abituata a quella accettazione avvolgente delle mie difficoltà.
Più volte negli anni ho cercato di rivestirmi di maschere che con le sedute cercavamo di decostruire, più volte ho cercato di scappare. I primi anni di terapia non sono riuscita a fare molti passi avanti.

Come stai? Molto bene, mi sento come non mai.
Avevo sviluppato degli strumenti per tutelarmi meglio nei rapporti familiari e amicali ma, non riuscendo ancora ad accettare la mia storia personale e il mio scheletro emotivo, non capivo davvero quello che stessi facendo.
Era un processo meccanico, sapevo idealmente cosa potesse farmi stare bene ma non lo sentivo. Per rendervi l’idea, vivevo come se stessi seguendo una ricetta di Giallo Zafferano – seguivo delle linee prestabilite e con gli ingredienti giusti ma non per forza il piatto veniva buono.
Agivo senza pensare a me come individuo specifico, ma su schemi generici: ogni tanto ne uscivo vincente e altre volte ignoravo che avessi bruciato qualcosa.
Eppure, mi sentivo così bene. Accettata dagli altri, disegnata con complimenti e carica di un ottimismo degno di un film Disney.
Ero però completamente persa, mi illudevo che sarei riuscita a disegnarmi come avrei voluto essere, negando chi ero. Stavo ancora scappando, avevo ancora una maschera, diversa e che mi occludeva la vista in modo nuovo.

Come stai? Non riesco a respirare, nessuno deve vederlo.
Dopo quattro anni, è arrivato il secondo colpo. Il mio corpo ha iniziato a essere condizionato dalle mie difficoltà emotive e con questo, dopo poco, anche la mia capacità di vivere il mondo esterno.
Non volevo che nessuno lo vedesse, non volevo essere aiutata, mi convincevo di qualsiasi cosa per negare il fatto che non stessi bene. Ho allontanato rapporti, ho perso tempo, ho perso qualsiasi contatto con me. Mi ghostavo peggio dei malesseri delle app di incontri – fingevo di saper fare un’ottima carbonara e creavo distanza emotiva con la parte più fragile di me.
Le sedute di terapia erano diventate un’agonia, parlavo dei disagi fisici e interpersonali come se li potessi gestire, finché non è diventato chiaro che avessi bisogno anche di un altro tipo di aiuto.
L’ho accettato con grande difficoltà, ancora non avevo realizzato l’onda continua dei miei momenti up e down e di quanto una figura psichiatrica potesse aiutarmi a capire il funzionamento del mio corpo.

Come stai? Male, ho bisogno di aiuto.
Ahia. Qui è stato pesante, lo ammetto. Le prime chiamate per spiegare ai miei amici e alla mia famiglia come stessi e quello che stavo elaborando mi hanno mangiata viva. Prima mi legittimavo a comunicare con loro che stavo male solo quando c’era un evento abbastanza doloroso da giustificare quell’apertura. In questa fase, ho iniziato a sentirli nel durante, o, addirittura, nel prima del momento down. Ho dovuto far cadere la maschera e accettare che non ero (e non sono) sempre prestante come vorrei e ho iniziato a stare male come mai mi ero concessa in vita mia.
Le sedute con la psicologa e lo psichiatra sono diventati momenti di elaborazione del mio nuovo e doloroso modo di vivere, un luogo dove non stavo plasmando una versione migliore di me ma dove stavo cercando di non distruggermi.

Come stai? Circondata d’amore.
Non vi voglio raccontare bugie: alcune persone si sono allontanate e alcune le ho allontanate.
È stato un periodo pieno di perdite, in cui ho dato a me stessa tempo di accogliere quel dolore e leggermi di nuovo. Non c’era posto per certi spazi e rapporti, stava cambiando tutto il mio mondo. Ho visto consolidarsi i rapporti di una vita, e nuove persone più “mie” entrare con naturalezza. Con il tempo e con fatica, sta cambiando tutto. Con il tempo e con fatica, sto crescendo.
Sono stata molto fortunata, ho sempre avuto delle persone vicine che volevano che vivesse Virginia (piacere, ora mi presento ufficialmente a te, lettore) – quasi più di quanto riuscissi a desiderarlo io. Sono stata ancora più fortunata perché in famiglia avevamo la disponibilità economica per farmi seguire da figure mediche, e nel nostro Paese, attualmente, non è un servizio facilmente accessibile per tutti.

Come sto? So io come sto.
Prima lasciavo che quella domanda me la ponessero solo gli altri, ora sto iniziando a chiederlo per prima io a me stessa e sto imparando ad accettare ogni possibile risposta.
Siamo esseri complessi a cui non viene insegnata la complessità.

Vi mando un abbraccio,
Virginia
Illustrazioni di Marta Bicego
Illustrazione di copertina di Maria Traversa
“L’altra faccia della Luna” è la nuova rubrica de L’Eclisse, una rubrica personale, in cui vogliamo mettere a nudo le ansie e la vita quotidiana di noi giovani.