In pochi sanno sfruttare la pornografia in modo tale da renderla una maschera, un mezzo per denunciare e svelare, attraverso lo sguardo femminile, ciò che si cela dietro alla camera.
Eppure il regista giapponese Sion Sono è stato capace di trattare un simile argomento in modo delicato e subdolo, facendosi carico di dar voce a molte delle problematiche cui il genere femminile è soggetto. In Antiporno, 2016, ci troviamo davanti alla decostruzione di quello che è il genere pornografico attraverso un film che, proprio come indica il titolo ironicamente, rientra proprio in una categoria del medesimo genere, la romantic pornography.
Veniamo subito introdotti a Kyoko, giovane artista di successo che danza nuda e spensierata nel suo appartamento il quale, già dalle prime inquadrature, è capace di catturare la nostra attenzione grazie a un’atmosfera calda e onirica, due tratti che diventeranno caratteristici degli ambienti raffigurati.
Nella prima parte del film è il colore giallo a prevalere all’interno della palette cromatica, probabilmente con lo scopo di sottolineare l’energia e la stravaganza della nostra eccentrica protagonista. Infatti Kyoko rappresenta lo stereotipo dell’artista per eccellenza: una mente bizzarra, autorevole, che non si fa problemi ad imporre le sue decisioni folli sugli altri. A subirne le conseguenze è la sua assistente, Noriko, la quale viene presentata come l’esatto opposto di Kyoko. Noriko è passiva, vuole a tutti i costi compiacere il proprio capo, o meglio, è disposta a farsi degradare, autoledersi e perfino farsi stuprare per soddisfare la sadica sete dell’artista.

La porta di uno sfondo nero si apre, da spazio a una parte blu, ecco che lo spettatore viene improvvisamente trasportato in un rovesciamento della trama impensabile. Siamo introdotti alla prospettiva maschile, è l’uomo a parlare ora e a farcelo capire è in primis il cambio cromatico della pellicola.
L’appartamento che abbiamo visionato fino a questo momento non è altro che un set cinematografico, nel momento in cui il regista interrompe le riprese siamo bruscamente portati alla realtà. Una realtà in cui i ruoli sono del tutto invertiti. Kyoko è in realtà un’attrice emergente, assolutamente innocua, che stava interpretando il ruolo dell’artista eccentrica, mente Noriko è un’attrice veterana, le vera diva stravagante e sadica della storia. Il set in cui viene girato il loro film è un ambiente estremamente negativo, dove la povera Kyoko è soggetta ad abusi effettivi non solo di natura sessuale ma anche psicologica.
È grazie all’utilizzo dei colori che possiamo percepire il carico emotivo trasmesso dalle scene, come il momento, in cui veniamo catapultati improvvisamente, dello stupro della giovane che, sottomessa, accetta ciò che le sta capitando, circondata di bianco a voler simboleggiare la sua purezza violata ma anche il senso di dissociazione che si può provare subendo un abuso simile.
La rapidità e la crudezza con cui vengono inscenati questi episodi contribuiscono a creare una narrazione dinamica, di cui l’ambientazione cangiante e estremamente colorata ne incornicia la potenza visiva.
Sempre in modo inaspettato arriva il finale, dove ricordi e fantasia si mescolano. Ci viene mostrato il vero passato di Kyoko, spesso sovrapposto ai momenti del film che sta girando e di conseguenza ingannando la percezione dello spettatore. Cosa è realtà, cosa finzione?
In questo arco narrativo capiamo finalmente la psiche della giovane attrice attraverso la narrazione dei suoi traumi, del suo vissuto e tutto ciò che l’ha spinta a girare il roman porno di cui è protagonista.
Non mancano critiche alla società, tendenzialmente esposte sotto forma di monologo, per tutta la pellicola, monologhi in cui le riflessioni sono repentine, nessuna battuta è casuale o da prendere con leggerezza, e tutto va interpretato in virtù di quello che si sta osservando.

Ma il vero tratto caratteristico dell’opera risiede negli occhi attraverso cui viene vista e metabolizzata: uno sguardo critico che interpreta i temi da un punto di vista squisitamente femminile. Possiamo infatti parlare di female gaze1, ossia un modo alternativo di osservare ciò che viene mostrato, come se fosse costruito appositamente per il sesso femminile e per lo sguardo delle donne.
Questo fenomeno è intensamente presente nel film, dove il nudo espresso non è nudo oggettificante, puramente volgare e volto a compiacere un certo tipo di pubblico: esso viene reso in modo molto più attento, introspettivo e sempre giustificato per la trama.
Prendiamo in analisi proprio l’incipit, quando ci viene introdotta Kyoko. La vediamo mentre balla nuda per l’appartamento, ma questa nudità è totalmente autonoma, spensierata, una forma di catarsi per la ragazza che vuole scappare dai suoi ricordi e, attraverso il suo ruolo nel porno, sfrutta il momento di libertà per disfarsi del peso di ciò che sta interpretando.
Allo stesso modo si può considerare la scena finale in cui Kyoko si ritrova sommersa da body paint caduta dal cielo mentre, accanto a lei, i suoi genitori consumano un rapporto. Il momento è carico di simbolismo: il mare di colori sta a rappresentare i sentimenti che travolgono l’attrice, emozioni che si mescolano caoticamente creando un unico indefinito viola. Il coito, invece, viene reso non per questione estetica o meramente sessuale, ma come simbolo del trauma copulativo che porta la ragazza a voler cercare una via d’uscita strisciando nella confusione dei sentimenti, ormai amalgamati tra di loro.

Il focus sta nel comunicare il modo con cui il sesso viene vissuto dalle giovani donne, ovviamente in prospettiva femminile. Kyoko e Noriko, alternando i loro ruoli, raffigurano il dualismo insito nella vita sessuale delle donne, la quale viene messa nelle mani degli uomini, spettatori proattivi, che vogliono giudicare e controllare. Da un lato abbiamo colei che ci viene ritratta come stereotipicamente emancipata a livello sessuale, perciò dominatrice e apparentemente in controllo di quello che la circonda; in realtà non è altro che un burattino ipersessualizzato che agisce pensandosi emancipata, di fatto mossa e manipolata dagli uomini circostanti il cui scopo ultimo è quello di mettere le donne le une contro le altre.
Dall’altro lato ci viene mostrato il ritratto altrettanto stereotipato della donna casta, vergine. Costei è pura e innocente, sottomessa, preda facile per l’uomo e la sopracitata donna emancipata. Si vergognerà del sesso, sarà per lei un tabù, e il suo inevitabile risveglio sessuale sarà vissuto con intensa vergogna perchè questo le è stato insegnato.
In sostanza Sion Sono sta cercando di dirci che la donna non è ancora veramente libera, tanto meno in ambito intimo, all’interno del quale ogni scelta presa avrà un peso agli occhi della società. Attraverso il female gaze proviamo la stessa rabbia e frustrazione di Kyoko nel non riuscire a trovare un equilibrio, capiamo quello che sente e ci immedesimiamo in lei senza dover necessariamente essere di sesso femminile. A tutto questo contorno possiamo aggiungere l’utilizzo dei colori, già menzionato, che lascia una forte impronta visiva allo spettatore. I colori lo coinvolgono ulteriormente in un contesto all’interno del quale è spronato a capire il significato, collegando ogni frase, ogni simbolo, ed empatizzando e immedesimandosi nel vissuto dei personaggi. Stravagante, eccentrico, introspettivo e crudo, se pensate di uscire dalla vostra comfort zone, Antiporno è ciò di cui avete bisogno. È un film capace di instillare le emozioni che prova una donna nel corso della sua esistenza, anche a prescindere dal genere in cui ci si identifica. Prende in considerazione molti temi e le relative problematiche presenti nella società contemporanea, riguardanti per esempio libertà, sesso, consenso e molto altro, e li fa convergere in quello che, apparentemente, sembra un film softporn. In realtá, attraverso l’occhio femminile, che in questo titolo è il vero protagonista dell’opera, punta ad aprire la mente degli spettatori, riuscendoci.
Note
1.Female Gaze: il modo in cui le donne e le ragazze guardano le altre donne, i maschi e le cose del mondo. Si tratta dei tipi di sguardo coinvolti e di come questi possano essere collegati all’identificazione, all’oggettivazione, alla soggettività e alla rappresentazione e costruzione del genere. Oxford Reference, 2025

Erika Pagliarini
Mi chiamo Erika, nata nel 2001 praticamente con la penna in mano. Attualmente studio
Filosofia a Pavia ma posso considerarmi da sempre appassionata di arte e scrittura, motivo
per il quale ho deciso di percorrere una strada affine ai miei interessi aggiungendoci un
tocco di trash e riflessioni personali. Spaziando tra cinefilia, disegno e lettura adoro sfruttare
i miei interessi e ricavarci storie personali che possano colpire gli altri e dare espressione ai
miei pensieri.