
Premessa
“Si se non noverit” “Sì, se non conoscerà se stesso”
profetizza Tiresia nel mito di Ovidio, interrogato dalla madre di Narciso sulla possibilità di una vita felice per il figlio. La figura di Narciso, poi ripresa dalla psicoanalisi per descrivere l’omonima patologia, è oggi istintivamente associata al concetto di ossessione. Incapace di distaccarsi dalla propria immagine riflessa, il giovane muore, consumato dal desiderio irrealizzabile di congiungersi con il proprio doppio. Non sorprende che il concetto collegato a questo mito torni di frequente nel discorso contemporaneo: viviamo in un’epoca in cui, spesso nolenti, siamo chiamati a confrontarci quotidianamente con il nostro profilo. Queste riflessioni sono il punto di partenza delle opere di cui ci parla Greta Beluffi nel suo articolo Arte e sesso: quando il corpo diventa ossessione. Ma non ci soffermeremo solo sullo sguardo rivolto a se stessi, bensì anche su quello degli altri su di noi. Il dibattito sociale e culturale in questi anni ha riconosciuto una ossessione dello sguardo artistico e sociale verso il soggetto femminile: quello del male gaze è un concetto che emerge sia nell’analisi di Beluffi sull’arte sia in quella di Valentina Oger sul cinema. Partendo dal film di Luchino Visconti, l’articolo traccia una panoramica sugli sguardi che possiamo rintracciare su pellicola.
Le ossessioni esistono da sempre e, da sempre, il mondo dell’arte è smosso da queste passioni/ossessioni, che quasi mai convivono nell’animo di chi crea arte in un rapporto sano. Se il confine tra ossessione e passione è tracciato dalla condizione di patologicità, gli/le artisti/e sono in grado di tradurre queste fissazioni in canzoni, quadri, sculture, parole. Ce lo spiega bene, con numerosi esempi, Alessandro Mazza nel suo articolo. Ma l’ossessione non si esprime solo a livello individuale. La storia è attraversata da ossessioni collettive, come quella statunitense per la minaccia comunista in piena Guerra Fredda. Bianca Beretta, partendo dal caso dei coniugi Rosenberg, ripercorre le dinamiche di un’isteria condivisa da un’intera nazione.
Siamo più a rischio di cadere nell’ossessione rispetto al passato? In un mondo di possibilità illimitate, fissarsi su qualcosa ci aiuta a mantenere l’illusione del controllo? Non sperimentando la mancanza stiamo forse diventando incapaci di desiderare, non sapendo più cosa vogliamo davvero?
O, forse, abbiamo imparato a raccontare meglio ciò che ci angoscia, a dare voce alle nostre ossessioni, a riconoscere le manie della società? Non abbiamo la risposta pronta a queste domande, ma un ragionamento su questi chiodi fissi è quello che abbiamo provato a fare in questo editoriale.