Per lungo tempo ho cercato di capire in che modo fossero conciliabili due tra gli aspetti più cruciali della sinistra – l’attenzione ai diritti sociali e quella ai diritti civili. Entrambi, infatti, prima gli uni e poi gli altri, sono stati oggetto di grande attenzione da parte della tradizione socialista e democratica, e sembrano costituire “l’anima” della sinistra.
Se per strada mi chiedessero perché mi definisco “di sinistra”, prima di citare Marx direi forse che trovo ingiuste le disuguaglianze sociali, e che sono a favore di interventi mirati a riequilibrarle. Potrebbe trattarsi di una risposta troppo strutturata. Immagino allora che un passante reale potrebbe rispondere al quesito dichiarandosi a favore della libertà delle persone omosessuali. Qualcun altro si proclamerebbe antifascista. Altri ancora potrebbero inneggiare alla tolleranza verso chi scappa da un paese in guerra e cerca un futuro migliore in Italia. Ovviamente, sono d’accordo con tutti questi punti. Ma quali di questi aspetti è la sinistra?
Certamente tutti ne incarnano parti diverse, si avrebbe la tentazione di rispondere. In realtà, questi elementi sono riconducibili a due aspetti fondamentali, o – per così dire – a due “campi di battaglia”. Il primo è quello dei diritti civili. In questa sfera rientrano, per esempio, le battaglie per il riconoscimento dell’identità di genere, per la libertà delle persone omosessuali, per il superamento del patriarcato, del razzismo e delle discriminazioni. Il secondo è quello dei diritti sociali, in cui è compreso l’impegno per chi non ha una casa, per una sanità pubblica e gratuita, per una condizione lavorativa che eviti lo sfruttamento, per un’istruzione di qualità accessibile a chiunque e, in definitiva, per il riequilibrio delle disuguaglianze economiche tra cittadini. Nel primo caso il focus sono le disuguaglianze morali, nel secondo quelle materiali. Il punto di contatto tra i due risiede dunque nella lotta alla disuguaglianza. È questa, diremmo forse, l’anima della sinistra: la volontà di combattere l’ingiustizia e di fare l’interesse dei più deboli.
Dall’Unione Sovietica all’Ulivo, l’erede prodiano del PCI, i diritti sociali sono stati l’insegna della tradizione comunista. Oggi, invece, sono i diritti civili a dominare la – piccola – scena della sinistra. In media, andare al Gay Pride sembra oggi riguardarci più di quanto ci riguardi una manifestazione di lavoratori licenziati in massa. Impegnarci per utilizzare un linguaggio non discriminante è più centrale e più urgente di quanto lo sia partecipare a uno sciopero contro la privatizzazione di un servizio pubblico. Quello che ci sconvolge e tocca di più è l’assassinio di George Floyd, non i decessi dovuti al sistema sanitario statunitense, profondamente discriminante. Il primo maggio, salendo sul palco del concerto dedicato ai lavoratori, Fedez ha pronunciato un discorso che verteva quasi esclusivamente sulla difesa dei diritti LGBTQIA+. È evidente, in ultima istanza, che un radicale cambiamento di sensibilità si sia fatto strada negli ultimi decenni.
Prendendo in esame diversi periodi storici è possibile constatare come solo uno di questi aspetti venga di volta in volta messo in evidenza. Sembra infatti che nella storia politica europea, o forse bisognerebbe dire in quella mondiale, non ci sia mai stata una pari attenzione da parte della sinistra verso i diritti sociali e quelli civili. Come si può quindi spiegare questa disomogeneità?
Almeno negli ultimi vent’anni, la percezione diffusa dei valori dominanti a sinistra è cambiata. Questo anche grazie alla progressiva attenzione accordata a questioni prima quasi del tutto ignorate: ecco la terza ondata di femminismo, il Gay Pride, la continuazione del ’68 nella liberalizzazione dei costumi. L’atteggiamento conservatore tipico di una certa destra si posiziona a sfavore di questo libertarismo. Ma se la destra è unita contro i diritti civili, per contrasto questi valori sembrano essere spiccatamente di sinistra. Dunque, non solo è proprio quest’ultima a occuparsene maggiormente, ma la preoccupazione per gli stessi è diventata parte del “materiale” che la compone. Addirittura, ad oggi, i diritti civili ne rappresentano il tratto fondamentale, costituendo il nucleo delle battaglie politiche rispetto alle quali si scontrano conservatori e progressisti, reazionari e libertari. Attualmente, sarebbe possibile incontrare qualcuno che si definisce di sinistra solo in nome di una militanza volta ai diritti civili, ponendosi ad esempio in prima linea nella lotta al patriarcato.
Tuttavia, la sinistra nasce anzitutto con l’obbiettivo di modificare il sistema economico in modo da bilanciare le disuguaglianze sociali che esso naturalmente crea. Anche se la destra tradizionalista si mostra tendenzialmente avversa all’apertura verso le minoranze etniche, religiose, sessuali e culturali, la difesa di queste ultime non si pone realmente in contrasto con la difesa del sistema liberale e, più in generale, del capitalismo. Pertanto, non vi è legame fattuale tra la difesa dei diritti civili e quella dei diritti sociali. Se sono a favore di un sistema economico che sfrutta i lavoratori per trarne profitto, questo non esclude realmente che io possa essere a favore anche della parità tra uomini e donne, per esempio, sul piano lavorativo: in termini di interesse per il mercato, una donna sfruttata può essere utile quanto un uomo sfruttato.

Non a caso la pagina Freeda, comunemente percepita come femminista, è indirettamente finanziata da Silvio Berlusconi, noto esponente del centro-destra italiano e non certo fautore della parità tra i sessi. Il Partito Radicale, famoso per le sue battaglie a favore della legalizzazione delle droghe leggere e globalmente considerato più a sinistra che a destra, sul piano economico è un partito classicamente liberale e a favore del sistema capitalistico. Non si interessano, infatti, i radicali, a possibili provvedimenti in grado di diminuire lo scarto tra poveri e ricchi – non a caso, Emma Bonino decise di allearsi con Forza Italia nel ‘94. Per quale motivo, dunque, la percezione comune posiziona il Partito Radicale a sinistra? I radicali sono libertari, ma anche liberisti. La possibilità di combinazione tra liberismo e libertarismo non si manifesta solo nel Partito Radicale, ma anche nei tradizionali partiti italiani di centro-sinistra, come il Partito Democratico. Matteo Renzi, con la riforma Jobs Act, non favoriva certo i lavoratori, costretti al tempo determinato tramite i “voucher”.
Si potrebbe avanzare l’ipotesi, alla luce di questi esempi, che le due sfere qui trattate – diritti civili e diritti sociali – non vadano di pari passo proprio perché non abbiano alcun motivo di farlo. In termini marxisti, si potrebbe affermare che i diritti civili riguardano la sovrastruttura, mentre quelli sociali rientrano nella struttura. Se per eliminare ogni tipo di disuguaglianza è necessario cambiare i presupposti strutturali del funzionamento economico della società, come afferma il materialismo storico, allora l’esclusività della lotta per la parità in ambito civile non ha risultati. Giacché si combatte solo su un fronte, non vengono contrastate tutte le ingiustizie, ma solo quelle di un tipo specifico, in fondo quello che più ci riguarda. La battaglia diventa personale, egoista, e non etica, non per tutti, non per la “giustizia in sé” (la selezione di alcune ingiustizie che sarebbero più rilevanti di altre richiama vagamente, peraltro, l’idea di privilegio: è più facile per un benestante fare in modo che un’ingiustizia – legale, sociale o civile – non lo scalfisca).
Si noti inoltre che i giovani meno abbienti e culturalmente più isolati presentano spesso un’attenzione minore verso le questioni civili. Le periferie sono, in linea di massima, più razziste – e meno borghesi – dei quartieri centrali delle grandi città. Dato che il livello d’istruzione dipende anche dalla disponibilità economica delle famiglie, ricondurre atteggiamenti razzisti a un’ignoranza di fondo potrebbe non sembrare così assurdo. Tuttavia, bisognerebbe chiedersi se un altro fattore determinante, nell’arretratezza delle convinzioni dei più poveri, possa essere rappresentato dall’attenzione che costoro dedicano a qualcos’altro, ovvero qualcosa che li riguarda più da vicino e con maggiore urgenza, e che gli strati più ricchi non vedono. Era questo che stava a cuore a Pasolini, quando, carico di critiche nei confronti del ’68, scriveva:
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. 1
I poliziotti sono “figli di poveri”, e il ’68 è una rivoluzione borghese: una rivoluzione per riequilibrare, certo, alcuni tipi di ingiustizia, che riguardano però solo una classe già privilegiata. In questa giustizia per pochi, Pasolini vede nella figura del poliziotto non solo un nemico sbagliato, ma un oppresso travestito da oppressore.

Benché sia problematico stabilire perché i diritti sociali non ricevano le stesse attenzioni di quelli civili da parte della sensibilità popolare, certo il contrario è di facile spiegazione. Infatti, se la sinistra non si è interessata per molti anni ai diritti civili è perché essa stessa, nel contesto storico in cui si trovava, aveva una prospettiva limitata circa le questioni che oggi ci appaiono così centrali. L’omofobia, come noto, era diffusa tanto a sinistra quanto a destra. Comunista non corrispondeva affatto a femminista (perché avrebbe dovuto, del resto?). La consapevolezza della gravità del razzismo e dell’importanza delle questioni di genere è maturata non certo in maniera uniforme nel ventaglio delle posizioni politiche, ma neppure esclusivamente a sinistra. Al contrario, si è diffusa in più direzioni, proprio perché slegata dalla lotta contro le disparità sociali. Per spiegare come mai ai giorni nostri i diritti civili caratterizzino più la sinistra rispetto ai diritti sociali bisogna chiarire che la produzione capitalistica non è in alcun modo ostacolata dalla lotta per la parità civile: anzi, potrebbe esserne anche favorita. Si veda, per esempio, l’icona della girl boss, o il caso di figure del mondo dello spettacolo che si fanno portavoce di valori sinistroidi, contraddicendosi scopertamente (si veda qui, invece, il “caso Fedez” menzionato sopra: se un lavoratore, magari sottopagato, rifiutasse il sostegno politico e morale di un cantante milionario, questo non sarebbe certo biasimabile).
Una possibile antitesi di fondo tra diritti civili e diritti sociali è rappresentata, peraltro, dalla diversa natura dei due “campi di battaglia”. I diritti civili sono intrinsecamente individualisti, e si manifestano con più facilità in una società in cui lo stato interviene in minima parte. Un modello economico basato sul libero mercato, sulla libera impresa e, pertanto, sull’iniziativa ed espressione del singolo, è un contesto ottimale per la convivenza di libertà differenti e particolari. I diritti sociali, al contrario, richiedono uno stato presente, che intervenga nell’economia regolandola. Dunque, alla base delle rivendicazioni sociali non vi è la ricerca di una libertà individuale, bensì un desiderio di parificazione, di negazione delle differenze (certo in questo caso economiche e non civili), esaltate nel modello individualista. Ad una società fondata sulla vivacità e fierezza della diversità si oppone un modello basato sull’idea di parità – cosa che, pur essendo la parità auspicata di tipo sociale, scoraggia la manifestazione di particolarismi. Anche se i due paradigmi si rivolgono a sfere diverse – l’uno a quella valoriale, l’altro a quella economica – le due idee di società, sottostanti ai due campi di battaglia, in ultima analisi si oppongono. Come trovare, allora, un punto di incontro? Alla luce della nuova coscienza, la soluzione non è certo quella di mettere da parte i diritti civili, verso i quali abbiamo conquistato la sensibilità attuale tramite decenni di duro lavoro culturale. Al contrario, si tratta di far convivere le due sfere attribuendo loro pari importanza, considerandole come legate da un’unità morale, seppur non fattuale né economica. La coerenza che la sinistra deve vedere nell’unità di questi due aspetti può essere, allora, solamente etica: se quello che conta è davvero l’eguaglianza tra gli esseri umani, non si trascuri alcun tipo di ingiustizia.
1 P.P. Pasolini (1968). Il PCI ai giovani, L’Espresso, n. 24, 16 giugno.
“Quello che ci sconvolge e tocca di più è l’assassinio di John Floyd, non i decessi dovuti al sistema sanitario statunitense, profondamente discriminante. ”
Ci sconvolge la violenza razzista e sistemica della polizia occidentale, la sinistra deve essere pro-polizia per parlare di diritti sociali? (Ah, comunque si chiama George Floyd, non John…)
“i comunisti, invece, lottano per i diritti civili in nome di una alterità. Alterità (non semplice alternativa) che per sua stessa natura esclude ogni possibile assimilazione degli sfruttati con gli sfruttatori. ” -Pasolini.
Questa finta dicotomia diritti civili vs diritti sociali esiste sono nella testolina di chi vuole soffiare sul fuoco delle disuguaglianze senza mai provare a superarle
Grazie per l’opportuna osservazione riguardo il nome proprio di Floyd, abbiamo subito provveduto a correggere.
Non ho però ben capito la critica. L’articolo invita all’unione di diritti civili e sociali in nome di una consapevolezza etica, non alla disgiunzione dei due – consiglio, nel caso in cui ciò non fosse chiaro, di rileggererlo attentamente, fino alla fine.
La sinistra non dev’essere “pro-polizia” per parlare di diritti sociali: Pasolini, del resto, non lo era, e non c’è scritto nell’articolo né che lo fosse, né che qualcun altro lo sia. Ribadisco, inoltre, che l’articolo sostiene la presa in considerazione di tutti i tipi di ingiustizia. Se desideri riformulare più chiaramente la tua critica, sono sempre disponibile per fare due chiacchere.
Grazie ancora per la segnalazione, buona giornata,
Arianna Savelli
[…] arbitrarie. Parlando di attualità, si possono menzionare i diritti civili, che hanno scalzato i diritti sociali anche nel lessico politico della sinistra1, oppure la sanità pubblica e la transizione ecologica, […]