Miuccia Prada in piazza a protestare in minigonna per i diritti delle donne più di cinquanta anni fa.
Le Bratz.
Il maglione o la felpa in jersey, probabilmente lana misto sintetico, che potresti stare indossando in questa giornata dalle temperature ancora da mezza stagione, mentre leggi questo articolo.
Cos’hanno in comune tutte queste cose?
Mary Quant.
Quanti di Quant
Nasce l’11 febbraio 1930 a Blackheath da una famiglia di professori universitari londinesi e studia illustrazione alla Goldsmiths University; poi la fuga di casa, all’età di 16 anni, con Alexander Plunket Greene, suo futuro marito, nipote di Bertrand Russell e discendente di una famiglia aristocratica. Da lui riceve l’aiuto necessario per aprire la sua boutique, Bazaar, in Kings Road, nel 1955. Qui inizia a vendere abiti trovati in giro per la città o acquistati da grossisti. La delusione per l’offerta che allora la moda offriva la porta a mettersi in gioco come modellista e stilista. Questo è l’inizio della vita di Mary Quant, figura chiave e rivoluzionaria della moda femminile a partire dal Secondo Dopoguerra. La boutique diventa presto un luogo di ritrovo della Londra Bohemienne: vi si possono comprare capi al passo con le tendenze della strada, ascoltare buona musica e bere un drink.
Querelle de Courrèges
Mini come la sua auto preferita.
“Né io, né Courrèges, abbiamo avuto l’idea della minigonna. Sono state le ragazze della strada ad inventarla”.
Così Mary Quant, intervistata riguardo la maternità dell’indumento che ha rivoluzionato la moda femminile a partire dagli anni ‘60, liquidava la querelle con lo stilista francese. Sebbene il lancio di una linea di vestiti con l’orlo sopra il ginocchio si possa far risalire ufficialmente alla fine del 1963 (vestiti peraltro strumentali a far arrivare la minigonna al mercato di massa), già dall’inizio degli anni ‘60 Mary Quant era solita indossare una gonna sportiva che rasentava il ginocchio. Fu il suo ruolo di ambasciatrice e la sua crescente influenza nei media a far giocare, alla Quant, un ruolo centrale nella diffusione della mini.
E verrebbe da dire, a chi sta scrivendo che, in fondo, tutto cambia per restare uguale: lo streetwear è dove tutto inizia perché la povertà è sorella del genio. Lo sa bene Demna Gvasalia, lo sapeva altrettanto bene Mary, attenta osservatrice della cultura dei giovani degli ultimi anni ‘50.
La culla del pop
Tra le boutique Biba di Barbara Hulanicki, John Stephens a Carnaby Street, e Bazaar, si sviluppa la rivoluzione pop degli anni ‘60. Ci si possono trovare i Beatles, gli Stones e Bowie, Anna Wintour e Brigitte Bardot. Se Parigi è ancora la capitale della couture, Londra si impone come culla della moda young. Un luogo, brulicante di giovani e con un’economia fiorente, che si trasforma in un fulcro d’ispirazione per il resto del mondo. La musica diffonde le idee, la moda le traduce in nuove estetiche.
Tra le strade le note di Revolver dei Beatles. Ragazzi coi capelli lunghi e pantaloni larghi. Ragazze dai tagli asimmetrici alla Sassoon (il preferito di Mary) o alla maschietta, introdotti da Leonard of Mayfair e poi adottati dalla supermodella Tiggy e dall’attrice Mia Farrow. Ballerini, musicisti e Mods (abbreviazione per modernists) – che bazzicavano Chelsea e la King’s Road-, ispirarono a Mary una visione della moda che coniugasse lo chic, il comfort e la praticità. E furono proprio le giovani inglesi reduci dalla Seconda Guerra Mondiale, desiderose di scrollarsi di dosso la polverosa e grigia patina di polvere che si era posata sulle loro spalline, ad accogliere le innovazioni della Quant.
In-venio Veritas
Hot Pants.
Maglioni skinny rib.
Reggiseno booby trap.
Sperimentazioni con il PVC tra effetto bagnato e indumenti antipioggia.
Il pantalone fatto diventare sinonimo di stile anche per il guardaroba femminile.
Il jersey dress, un’altra rivoluzione di cui i nostri armadi sono ancora testimoni. Fu la Quant per prima a capirne le potenzialità per l’outerwear e a proporlo in centinaia di vestiti, in colori e design diversi. Anche in questo caso, Mary se ne fece ambasciatrice, indossando un vestito navy color crema durante la cerimonia in cui ricevette, dalla Regina, l’onorificenza di Ufficiale dell’Impero britannico.
L’apporto pionieristico di Mary ha coinvolto trasversalmente il mondo della moda, ma anche dell’imprenditoria, con la creazione di una linea di indumenti più economica, la produzione di cosmetici, di calzature e persino una linea di bambole.
Il tutto testimoniato nella sua autobiografia Quant by Quant e nella mostra al Victoria & Albert Museum di Londra, una retrospettiva che ripercorre gli anni dal 1955 al 1975.
Su due piani, al primo la mostra propone la più grande collezione pubblica di abiti Quant al mondo, ma anche accessori, cosmetici, schizzi e fotografie. Al piano superiore, le bambole Daisy, rivali di Barbie, biancheria e abiti dal taglio rivoluzionario e divertente. Di swinging, oltre agli anni, ci sono stati i diritti, le questioni sul genere e sulla libertà, e Mary Quant ha saputo dare il proprio fondamentale contributo, verso un mondo più giocoso, più fluido, più libero. Senza di lei, probabilmente la moda più minimalista e anche quella più irriverente non avrebbero visto la luce.

di Nikolin Lasku
Studiavo medicina, mi sono perso e ritrovato a lettere moderne. Leggo di critica sociale da un iPhone lilla. Mi piace scrivere in stile advanced pop e ascoltare l’hyper-pop. Sono su Instagram @lsknkln