I problemi (irrisolti) delle case popolari in Italia

L’edilizia residenziale pubblica (ERP) consiste nell’acquisizione, costruzione o recupero di fabbricati da destinare ad abitazioni, comunemente e impropriamente chiamate “case popolari”, per le persone meno abbienti o per quelle che, dotate di un reddito fisso da lavoro dipendente, non potrebbero reperire un’abitazione ai prezzi di mercato; il tutto è a totale carico, o con il concorso o contributo dello Stato, della Regione, degli enti pubblici territoriali, e delle Aziende territoriali per l’edilizia residenziale pubblica.
La nascita delle prime iniziative di edilizia residenziale pubblica risale a un preciso momento della storia italiana, caratterizzato da un’intensa urbanizzazione, industrializzazione ed espansione del welfare: il boom economico. Urgeva la costruzione di strutture che garantissero ai lavoratori, in particolare agli operai, un alloggio dignitoso. Così, le case popolari nascono come infrastrutture, amministrate proprio dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: una parte del finanziamento, quindi, era assicurata dallo Stato. La restante parte, invece, era cofinanziata dai lavoratori stessi attraverso la Gescal (Gestione case per i lavoratori), un ente pubblico italiano istituito per promuovere la costruzione di alloggi destinati ai lavoratori.

A partire dagli anni Ottanta, che segnano la fine delle grandi politiche abitative in Italia, si registra un calo degli investimenti pubblici nell’edilizia popolare, favorito dall’orientamento verso politiche neoliberiste e dalla progressiva privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Attraverso la Legge 560/1993, viene anche incentivata la vendita degli alloggi popolari agli stessi inquilini, riducendo ulteriormente il patrimonio pubblico. È l’inizio dell’emergenza abitativa: in molte città, la riduzione delle risorse pubbliche e l’aumento degli affitti privati portano a nuove forme di precarietà abitativa, con la conseguente esplosione di fenomeni come le occupazioni abusive.
La situazione non migliora quando, nel 1998, viene abolito il fondo Gescal. Il patrimonio pubblico, pari a circa 900.000 alloggi popolari, viene trasferito a delle aziende pubbliche che, adottando un modello paragonabile a quello della real estate company, svolgerebbero la funzione di finanziarne la gestione attraverso la riscossione di canoni di locazione. Questi canoni sono una forma di finanziamento o trasferimento economico, che consentono a tali aziende di amministrare i beni pubblici affidatigli, trasformando radicalmente l’approccio alla gestione delle case popolari rispetto alla centralizzazione statale garantita in precedenza dal fondo Gescal.
I canoni di locazione vengono pagati dagli assegnatari delle case popolari. Si tratta infatti degli affitti mensili che gli inquilini devono versare all’ente gestore per poter vivere nell’alloggio fornitogli. Il prezzo di tali affitti è calmierato e viene calcolato sulla base di criteri come il reddito del nucleo familiare, la dimensione dell’alloggio, la composizione della famiglia e l’ubicazione dell’immobile. I canoni di locazione, dunque, rappresentano una fonte di entrata per gli enti gestori, che li utilizzano per coprire i costi di gestione, manutenzione e amministrazione delle case popolari.
Tuttavia, c’è un fattore che rompe questo equilibrio teorico: la promessa fatta nel 1998 alle aziende di poter finanziare la gestione dell’edilizia residenziale pubblica integralmente attraverso i canoni di locazione si scontra con la realtà dei fatti. I canoni pagati dagli inquilini delle case popolari non sono sufficienti a coprire i costi effettivi di gestione degli alloggi, poiché questi importi sono calcolati in base alla capacità economica degli inquilini e non sui reali fabbisogni gestionali. Come se non bastasse, l’inflazione e l’aumento dei costi di costruzione hanno generato un paradosso: costruire nuovi alloggi diventa insostenibile se i canoni di locazione rimangono inferiori al costo effettivo di costruzione e gestione.

La costruzione di nuovi alloggi passa in secondo piano, dal momento che una gran parte di essi sono sfitti a causa di mancanza di ristrutturazione o morosità degli inquilini. Inoltre, il processo di assegnazione è un percorso tortuoso a causa delle procedure burocratiche e dei controlli sulla documentazione dei richiedenti, che prendono altro tempo: passano mesi prima che l’inquilino possa mettere piede nella casa che gli spetta. Nella disperazione di non riuscire ad avere un tetto sopra la propria testa, spesso si ricorre all’occupazione delle case sfitte.
A luglio 2024, a Milano risultavano oltre 16.000 case popolari sfitte: 7697 sfitte per carenze manutentive, 2.516 in attesa di ristrutturazione imminente, 1111 destinate alla valorizzazione o alla vendita, 1.399 recuperate dopo sfratti, 2278 da assegnare dopo essere stati liberati da occupazioni abusive nel 2023 e 1422 libere ma attualmente sfitte.
Di fronte a tutti questi problemi nella gestione dell’edilizia residenziale popolare non esistono apparenti soluzioni, tuttavia, vale la pena citare l’iniziativa di una delle aziende che gestisce le case popolari a Milano: Aler Milano. Aler, grazie a finanziamenti europei resi disponibili dalla Regione Lombardia, ha innovato il proprio servizio, coinvolgendo neolaureati in sociologia che hanno lavorato per rafforzare i legami con le comunità delle case popolari, sostenendo le persone nei loro percorsi di vita e affrontando problematiche legate alla morosità e alla regolarizzazione delle posizioni con l’azienda. Questi sociologi hanno agito come mediatori sociali, cercando di riportare alla legalità e alla partecipazione attiva persone che altrimenti rischiavano di essere escluse.
L’obiettivo principale del progetto è quello di favorire il reinserimento delle persone nel circuito cittadino, con un approccio più umano e comprensivo. Queste sperimentazioni dovrebbero contribuire a definire un modello di gestione sociale da introdurre come “obbligo di servizio” all’interno di tutti i contesti di edilizia residenziale pubblica.
È un’iniziativa tutt’ora in corso, e per la quale non è ancora possibile raccogliere gli esiti, ma le premesse sono ottime, essendo questa il frutto di anni di studio di queste realtà, effettuato da esperti del settore. Se supportato adeguatamente e ampliato, questo potrebbe diventare un modello di edilizia residenziale popolare che potrebbe essere replicato anche in altre realtà, rivoluzionando un sistema che da decenni è intrappolato in un groviglio di problemi irrisolti.
Sitografia
https://www.treccani.it/enciclopedia/edilizia-residenziale-pubblica/#
https://www.mit.gov.it/temi/casa/edilizia-residenziale-pubblica
https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/maurizio-franco/2022/10/03/case-popolari-vuote
Casa dolce casa
Editoriale · L’Eclisse
Anno 4 · N° 9 · Gennaio 2025
Copertina di Maria Traversa.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Bianca Beretta, Alice Borghi, Marta Caffa, Michele Carenini, Chiara Castano, Anna Cosentini, Eugenia Gandini, Chiara Gianfreda, Rosamaria Losito, Matteo Mallia, Alessandro Mazza, Marcello Monti, Emiliano Morelli, Valentina Oger, Erika Pagliarini, Carlotta Pedà, Virginia Piazzese, Lorenzo Ramella, Gioele Sotgiu, Vittoria Tosatto, Vittoriana Tricase, Marta Tucci, Maria Traversa, Marta Urriani.