A quest’articolo hanno collaborato Vittoria Tosatto, Chiara Castano e Gioele Sotgiu.
«Virginia è un romanzo che impegna parti interessanti della propria attenzione, non è invasivo, ma non è scontato in questo, non è una lettura easy, insomma… no, ha un peso e ha tante opinioni. Un motivo [per leggere Virginia] è che, a prescindere anche da me, è un libro che ha da dire qualcosa; perché ha uno scenario non tipico del genere noir, cioè gli ambienti rurali, mentre in genere i noir sono sempre in città. E perché ha una sua freschezza».
Così Enrico Gabrielli prova a descriverci in breve il suo esordio narrativo, edito da Wudz Edizioni e uscito il 12 giugno 2024. Noi de L’Eclisse abbiamo assistito alla presentazione di questo libro venerdì 14 giugno e abbiamo avuto il piacere di intervistare brevemente l’autore. Il luogo dell’evento, la libreria Germi in via Cicco Simonetta 14/A a Milano, ha come sottotitolo “Luogo di contaminazione” e questa denominazione mi sembra particolarmente adatta a Enrico Gabrielli: compositore e polistrumentista, arrangiatore e produttore discografico, tra i fondatori dei Calibro 35, dei The Winstons e dei 19’40”; è stato membro dei Mariposa e degli Afterhours; ha diretto l’orchestra del Festival di Sanremo e ha suonato con alcuni dei più grandi artisti contemporanei. A moderare la presentazione è stato Stefano Nazzi, giornalista di cronaca e attualità per “Il Post”, ideatore e autore del podcast Indagini.

Riportiamo qui la trama di Virginia dal sito di Germi: «C’è una vecchia villa fascista, ora adibita a casa di riposo, abitata da un bizzarro circo di personaggi. Tutto trascorre uguale a se stesso, fino all’arrivo della misteriosa Virginia. Da quel momento, ogni cosa inizia a precipitare: la morte improvvisa di un residente della casa di riposo, ingialliti stralci di giornale che riemergono da un passato oscuro… Il giovane PM Damura e i vecchi residenti dell’ospizio cercano, ciascuno coi propri mezzi, di risolvere il caso»1.
Questo non è il primo romanzo di Gabrielli: qualche anno fa aveva già scritto Le piscine terminali2, una raccolta di racconti «dell’imprevisto, del brivido, un po’ ispirati a certi racconti brevi di Dahl», li definisce lui, facendo riferimento a Cosciotto d’agnello (Lamb to the slaughter)3, e con la prefazione di Valerio Evangelisti. Rispetto ai racconti, lavorare sui romanzi è molto diverso, in quanto questi ultimi richiedono un lavoro di espansione, di rallentare, scavare nel personaggio in maniera differente. Gabrielli poi anticipa di star lavorando a un sequel di Virginia, che sarà «una fusione tra i due stili».
La domanda che sorge spontanea, di fronte a un compositore che è anche autore, è in che modo scrivere musica è diverso da scrivere un libro e Enrico Gabrielli risponde così: «Scrivere musica, non le canzoni, ma cose più complesse, assomiglia secondo me al plottare un libro, cioè a pianificarlo, progettarlo. La parte progettuale è molto simile secondo me, perché comunque un libro deve avere un climax, dei momenti emotivi, dei cambi di scena, un po’ come succede con la musica, perché se fosse tutta uguale sarebbe noiosa. Ma la differenza tra la musica e la scrittura è che la musica è asemantica, cioè non ha senso, un significato, non dice nulla di specifico, perché lavora sul tempo, sul suono, quindi su un altro tipo di connessioni nel cervello. Faccio un esempio, che è quello che faccio sempre: le note della scala sono appunto do-re-mi-fa-sol-la-si, ma sia che tu le suoni in una direzione o in un’altra, tu percepisci musica, non è che la senti come una cosa che va in contraddizione o riconosci che è un palindromo. Se invece prendi una parola, “casa”, e poi la dici al contrario, “asac”, la prima ha senso, la seconda no. Perciò, non possono essere considerati simili i processi del senso in sé. Quindi la musica non è un linguaggio come noi lo definiamo a livello di parlato, di narrazione insomma, quindi questo cambia tutto. La musica è più ampia, può anche non dire niente e va bene uguale. Invece no, quando scrivi devi dire, saper dire, tener viva l’attenzione: è un altro tipo di mestiere». La connessione con un certo tipo di musica, però, c’è: l’autore racconta che ha scritto Virginia ascoltando un unico disco, della band Oregon («sono quasi ai confini della new age fusion americana, acustica, il disco perfetto per far uscire il rilassamento. Ma nel libro non c’è nulla di questo», scherza lui). Inoltre, se la stesura di Virginia è stata lampo, un mese e mezzo durante il quale Gabrielli era in viaggio in furgone per un tour, ci ha impiegato quasi sette anni per pubblicarlo.
Quello di Virginia è un mondo atemporale, «un futuro morbido, con la lancetta leggermente spostata in avanti, un’ipotesi di un futuro leggermente più avanti di questo». L’attenzione di Gabrielli è sulla tecnologia osservativa in ambito rurale: tutto viene tracciato e controllato, la natura, gli animali, perfino il fumo di sigaretta. «La cosa mi ha sempre fatto cortocircuito nel meccanismo», spiega l’autore, «perché ci troviamo in un contesto profondamente rurale, fatto quindi di persone anziane. Noi continuiamo a dire “i giovani, i giovani”, ma no: i danni più grossi, secondo me, sono stati fatti dalla generazione dei settant’anni in su, perché i giovani ne usciranno con un’interpretazione sull’utilizzo dei social media, ma io penso a una generazione come quella di mio padre. Loro andranno fino alla fine convinti che quasi tutto quello che succede lì dentro è vero, dai profili falsi a tutte quelle truffe che, lo dico per esperienza personale, avvengono di tanto in tanto».
Proprio riguardo al tema delle generazioni, Stefano Nazzi legge un estratto del libro:
«Tutte le generazioni fanno i conti con il conto in passivo lasciato da quella precedente. Le cose buone evaporano e i danni invece solidificano. Chi concepisce il corso evolutivo come un’ascensione fa un errore: ci si immagina che la miglioria trattenga in sé una componente di premio, come il raggiungimento di un traguardo per la fatica di una salita, come il Paradiso, che è in alto e per raggiungerlo bisogna esserne degni. Ma la fatica è dato oggettivo, mentre il punto di arrivo è un grande mistero. Una fatica d’Inferno per raggiungere il Paradiso è un controsenso».

Enrico Gabrielli parla della propria generazione come di «un aereo che ha lanciato una bomba rimasta però inesplosa. Siamo una strana cosa». Spostando il discorso sui comportamenti ecologici, l’autore prende posizione: i gesti quotidiani come la differenziata non sono per la natura ma per noi («se la cartaccia non la butti per terra, è semplicemente perché poi non te la ritrovi in casa, è comunque un gesto autoriferito»). «Noi siamo niente per il pianeta. Se il pianeta vuole, ci butta fuori, una scrollatina e via. Noi non siamo così importanti: siamo noi stessi figli della natura, quindi anche tutte le nostre depravazioni, la nostra violenza. Come il leone caccia la gazzella, noi distruggiamo le cose, ma in realtà siamo anche noi siamo parte, secondo me, di questo sistema. Per cui, a me ha fatto sempre specie il fatto di proteggere la natura, noi che ci arroghiamo anche di essere protettori di questa cosa più grossa di noi… è comunque una cosa che faccio molta fatica a comprendere ancora, ecco. Poi, anche io guardo volentieri i fiori e le farfalle, ma sono loro che guardano me, io credo».
Il titolo originale del romanzo era Giallo Morale: giallo come la pietra e Morale come il nome di una montagna che compare nel racconto. Ovviamente, giallo inteso anche come il genere letterario: Gabrielli racconta che Virginia è un po’ noir, un po’ pamphlet morale, poiché contiene molte sue idee personali. L’ispirazione viene in parte da vicende reali (oltre a essere il nome della protagonista, Virginia è il nome della sua nonna materna, NdA): la casa di riposo menzionata nel racconto è ispirata a Villa Rubeschi, nella località di Capannole (AR), la grande villa del podestà locale «in cui hanno torturato e massacrato persone, con complice per altro la parrocchia locale». L’autore ha svolto il servizio civile per dieci mesi proprio in questa villa: infatti, molti dei “personaggi etnici”, come li chiama lui, sono frutto di questa conoscenza diretta, tanto che parlano l’accento tipico di quelle parti. Virginia, invece, è l’unico personaggio nato per “auto-genesi”. Ciononostante, c’è un forte riferimento ai disastri naturali, come la valanga di Rigopiano nel 2017 o il crollo del ponte Morandi nel 2018, per un motivo preciso di approfondimento psicologico: «Mi sono sempre chiesto: una vittima, un sopravvissuto a un disastro o a un cataclisma [provocato dall’uomo], come dedica il tempo che passa nei confronti dei responsabili? Cosa ti succede? Che tipo di meccanismo accade, soprattutto se sei molto giovane? Se hai una certa età, magari hai un atteggiamento più fatalista. Se sei molto giovane, magari, hai dei desideri di vendetta».
Virginia è soprattutto una storia di vendetta, infatti. A provare ciò, Stefano Nazzi legge una citazione dal libro: «Nel sondaggio è emerso che per il 76.9%, gli italiani sono solidali con la vendetta del privato cittadino». È una strana fascinazione di Enrico Gabrielli, quella per la vendetta privata, e lui crede si basi su un certo filone cinematografico poliziesco a cui appartiene Un borghese piccolo piccolo (Mario Monicelli, Italia, 1977).
In casi di questo genere, continua Gabrielli, è difficile per la magistratura ricostruire le responsabilità, perché la catena di comando ha responsabilità di prendere (o no) le decisioni, ma spesso a pagare sono i funzionari più bassi, più piccoli; di conseguenza, in Italia c’è un’impunità per questo genere di cose. Nazzi, inoltre, fa notare che in questa catastrofe non c’è solo negligenza ma anche corruzione, perché i soccorsi non vengono avviati per non dar fastidio alla multinazionale.
Virginia ha decisamente il potenziale di essere un grande esordio narrativo: un noir ricco di fantasmi del passato in cerca di vendetta, sullo sfondo di una casa di riposo piena di vecchi dal «quotidiano e istrionico vivere di brontolii»4, e al contempo una sorta di pamphlet morale sulle multinazionali, cataclismi e scarto generazionale. Come recita l’epigrafe,
La fantasia sfiora la realtà ma, a volte, è solo un pallido tentativo di emulazione. La fantascienza può invertire la rotta del plausibile e fornire nuove mappe narrative. Ma solo la vita si erge a invenzione pura.
Ringraziamo Wudz Edizioni per l’invito, Enrico Gabrielli per l’intervista e Libreria Germi per l’evento. Per maggiori informazioni: https://www.wudzedizioni.com/
Note
- https://www.germildc.it/evento/14-giugno-virginia-di-enrico-gabrielli/.
- E. Gabrielli, Le piscine terminali, Edikit, 2017, https://www.mondadoristore.it/Le-piscine-terminali-Enrico-Gabrielli/eai978889842345/.
- In questo racconto, un poliziotto comunica alla moglie che intende lasciarla e lei, sconvolta, lo colpisce alla nuca con una coscia d’agnello che aveva appena preso dal freezer per cena. L’uomo muore sul colpo e lei decide di cucinare l’agnello, chiamare la polizia e servire loro l’arma del delitto quando si presentano a casa sua, per ringraziarli del disturbo.
- https://www.wudzedizioni.com/prodotto/virginia/

Vittoria Tosatto
Nata a Vimercate nel 2001 e cresciuta nei meandri della Brianza, mi sono laureata in Scienze Linguistiche e ora studio Cinema all’Università Cattolica di Milano (e ancora mi chiedo perché ho scelto la vita da pendolare). Le mie “guilty pleasures” sono i musical, le aste e i libri che finiscono male. Gestisco la sezione di scrittura articoli, correggo, mi occupo del calendario e di strigliare (con amore) i nostri articolisti. Spesso mi troverete a scrivere pezzi su cinema, letteratura e teatro, ma non solo: tocca a voi scoprire il resto.