
Infiltrati, corruzione, discussioni segrete nelle “stanze dei bottoni” e scoperte a dir poco inquietanti sui potenti della Terra. Può sembrare il contenuto di un thriller o di un romanzo di successo, ma è ciò che si può trovare nel documentario Food for Profit.
Scritto e diretto dalla giornalista e scrittrice Giulia Innocenzi e dal regista Pablo D’Ambrosi, il film è un’indagine sulle connessioni profonde tra l’industria della carne, le lobby e la politica in Italia e in Europa. Nella pellicola, l’Unione Europea viene svestita della sua aura di sacralità e ne viene mostrata tutta l’ipocrisia: la nuova PAC (Politica agricola comune), annunciata come una rivoluzione positiva e sostenibile per il settore primario del continente, sta in realtà consegnando oltre 380 miliardi di euro in mano agli allevamenti intensivi e ai colossi loro proprietari.
Le conseguenze di questo processo sono molteplici: la produzione industriale e intensiva della carne, per cominciare, porta con sé una serie di conseguenze negative per l’ambiente e i lavoratori, tra cui le principali sono lo sfruttamento dei migranti, l’inquinamento delle acque utilizzate negli allevamenti, la perdita di biodiversità e l’antibiotico-resistenza; questo termine indica il fenomeno per cui, all’interno degli allevamenti, si sviluppano batteri immuni agli antibiotici che vengono usati in modo spropositato sugli animali.
L’industria della carne è anche in grado di influenzare le procedure decisionali: il lobbista sotto copertura Lorenzo Mineo è riuscito ad entrare con una telecamera nei palazzi di Bruxelles, registrando incontri con alcuni membri del Parlamento Europeo e mostrando come questi politici siano disposti a sostenere proposte irreali che aumentano i profitti dell’industria della carne, senza preoccuparsi della salute pubblica, dell’ambiente o dei diritti degli animali (come ad esempio la modifica genetica di maiali con sei zampe). Tra questi, l’eurodeputato PD Paolo De Castro, che è stato uno degli eurodeputati con più incarichi retribuiti al di fuori delle sue funzioni parlamentari, per cui ha ricevuto denaro dalle stesse aziende su cui doveva votare e prendere decisioni. Dopo 15 anni al Parlamento Europeo, l’ex ministro dell’Agricoltura ha deciso di non ricandidarsi.

La stessa sorte è toccata alla socialista spagnola Clara Aguilera, membro della commissione Agricoltura e molto vicina all’industria della carne, in particolare a quella del jamon ibérico, il tipico prosciutto spagnolo. Le sue dichiarazioni riprese dalla telecamera nascosta, tra le quali spicca «Non mi interessa del benessere di conigli, polli o gatti, me li mangio comunque», sono diventate virali e sono state trasmesse anche dalla televisione spagnola. Aguilera, a seguito dello scandalo, ha quindi scelto di non scendere in campo, dedicandosi al settore privato.
Gli stessi lobbisti sono profondamente radicati nelle istituzioni, come nel caso del finlandese Pekka Pesonen, segretario generale di Copa-Cogeca, un sindacato nonché il più grande gruppo di advocacy europeo per agricoltori e allevatori, che arriva a negare totalmente l’esistenza di allevamenti intensivi in Europa poiché nella legislazione dell’Unione ne manca una definizione precisa. Sul campo, nel vero senso della parola, sono invece scesi una serie di investigatori, che si sono infiltrati come lavoratori comuni negli allevamenti intensivi di diversi paesi europei, esponendo la verità dietro la percezione di qualità superiore della carne e del latte consumati in Europa.
Il documentario, che si apre in Polesine, mostra gli sterminati allevamenti di polli e il trattamento degli animali che non raggiungono gli standard di mercato: questi vengono uccisi a bastonate o contro tubi di ferro e a volte anche lasciati morti tra gli altri, in ambienti soffocanti e malsani. A seguire, viene mostrato un allevamento di mucche da latte nella regione di Berlino, in Germania, dove ai bovini vengono somministrati illegalmente antibiotici per curare le mastiti dovute alle terribili condizioni igieniche.
In Polonia e in Spagna, infine, l’espansione degli allevamenti intensivi ha avuto gravi conseguenze ambientali: le emissioni di ammoniaca hanno reso l’aria irrespirabile per la comunità del piccolo paese di Zuromin, ormai diventato un’incubatrice per gli allevamenti di polli; in Spagna invece, nell’arida regione di Murcia, gli allevamenti di maiali sfruttano le risicate risorse idriche del territorio e scaricano gli scarti nel terreno circostante, inquinando il suolo e le falde acquifere.
Infine, l’inchiesta rivela anche lo sfruttamento dei lavoratori nelle aziende in particolare tedesche e italiane, con migranti che lavorano in nero senza alcuna tutela in caso di malattia o infortunio. Gli autori concludono che non si tratta di “mele marce”, ma che il problema è insito nell’intero sistema produttivo degli allevamenti intensivi.

Il documentario ha suscitato critiche severe contro l’industria della carne e le lobby che la sostengono. Innocenzi ha ricevuto diffide da parte di alcune aziende che sono state ritratte nel film e ha chiesto agli spettatori di diffondere il messaggio attraverso i social media. Questa strategia ha portato il film a diventare il primo in Italia per occupazione delle sale, con richieste di proiezione anche dall’estero. Inoltre, il film è stato proiettato al Parlamento italiano e al Parlamento Europeo, grazie all’italiano Ignazio Corrao, alla lussemburghese Tilly Metz e al portoghese Francisco Guerreiro, attirando ulteriori attacchi legali al team di produzione.
Food for Profit, nel suo tour nelle sale italiane, si accompagna ad un videomessaggio di Giulia Innocenzi: la giornalista evidenzia che l’accoglienza del film le ha fatto capire che è il momento storico giusto per un documentario di questo tipo. Se fosse stato rilasciato dieci anni fa – dice Innocenzi – non avrebbe avuto questi riscontri; oggi, invece, c’è bisogno di consapevolezza. I cittadini vogliono sapere la realtà dietro al loro piatto, al costo del piatto e soprattutto ai processi che lo portano sulla loro tavola. Questo sistema parte da un legame troppo stretto fra lobby della carne, industria e politici, e va a colpire il sistema capitalistico, dove l’unico obiettivo è fare profitto per pochi a discapito dei tanti. I cittadini hanno la loro forchetta, che è il loro Parlamento quotidiano, e possono decidere se finanziare o meno il sistema.
Innocenzi spera che la rabbia suscitata dal film possa essere convertita in un cambiamento, e molte delle opinioni dalle sale vanno proprio in quella direzione: non solo vegani e vegetariani, ma anche molte persone più attente dell’individuo comune alla regolazione del consumo di carne e alla selezione dei produttori hanno criticato fortemente il sistema di sfruttamento intensivo degli animali e delle coltivazioni a loro destinate, nonché l’impatto di queste pratiche sul pianeta e sugli umani.
In un sistema come quello attuale, che sembra preferire il profitto a scapito della sostenibilità e della giustizia sociale, la riflessione collettiva che Food for Profit ha mosso nelle sale potrebbe essere un piccolo ma importante passo verso una concezione più equa e sicura di questi processi.