Neocolonialismo e ordine economico internazionale
Nel luglio 1987, a una conferenza dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA), l’allora Presidente del Burkina Faso Thomas Sankara esordì così: «Le origini del debito derivano dal colonialismo. Coloro che ci prestano il denaro sono coloro che ci hanno colonizzato. Il debito è neocolonialismo. Il debito è una riconquista dell’Africa abilmente gestita, finalizzata a soggiogare la sua crescita e sviluppo attraverso regole straniere». Il rapporto tra le istituzioni finanziarie internazionali, in particolare il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM), e i Paesi del Sud globale è altamente controverso e dibattuto, poiché i Paesi più ricchi hanno una forte influenza nello stabilire le regole dell’economia globale, favorendo politiche che privilegiano i propri interessi economici.
Gli Accordi di Bretton Woods (1944) sancirono l’inizio del nuovo ordine economico mondiale: furono stipulati con il duplice scopo di controllare la politica monetaria internazionale e di ristabilire la cooperazione economica a seguito dello shock causato dalla Seconda guerra mondiale. Tra gli scopi di Bretton Woods c’erano il mandato per le banche centrali di mantenere un cambio stabile con il dollaro ed il vincolo di convertibilità in valuta americana di tutte le altre valute nazionali, favorendo così un sistema economico fortemente liberista e americano-centrico. A seguito degli accordi furono istituite due istituzioni internazionali che ancora oggi continuano a plasmare il sistema economico mondiale odierno: il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, le quali sopravvissero anche al crollo del sistema di Bretton Woods.

Il mandato originale del Fondo Monetario Internazionale era quello di «incoraggiare la cooperazione monetaria internazionale, avallare l’espansione del commercio e della crescita economica e dissuadere le politiche che danneggerebbero la prosperità». Il suo scopo era quello di mantenere stabili i tassi di cambio e aiutare le economie (soprattutto europee) a riprendersi dalla crisi postbellica. Negli anni Sessanta, infatti, la maggior parte dei prestiti furono concessi a economie avanzate per sopperire a crisi di breve durata. Tuttavia, dagli anni Ottanta ci fu una svolta radicale nelle politiche del FMI: quasi tutti i prestiti furono indirizzati ai Paesi più poveri – spesso appena usciti dal processo di decolonizzazione – con il fine di favorire il consolidamento della crescita economica a lungo termine. L’altra grande istituzione finanziaria internazionale è la Banca Mondiale, la quale ha come obiettivo principale «finanziare progetti che migliorano lo sviluppo economico degli Stati membri». Tale istituzione lavora principalmente con i cosiddetti Paesi in via di sviluppo al fine di aumentare la prosperità complessiva degli Stati e ridurre i tassi di povertà nazionali. Nonostante gli obiettivi di tali organizzazioni, «il divario del reddito pro capite tra il Nord e il Sud globale è quadruplicato dal 1960 a causa degli squilibri di potere dell’economia globale», come suggerisce il professore e antropologo Jason Hickel.
Una delle maggiori criticità strutturali che caratterizzano queste due istituzioni è il loro sistema di votazione, il quale è altamente distorto a favore dei paesi più ricchi. Innanzitutto, l’adesione al Fondo Monetario Internazionale è vincolata a una quota di adesione: tale quota viene decisa in base al prodotto interno lordo (PIL), tenendo conto anche dell’apertura commerciale di ciascuno Stato. Conseguentemente, il potere di voto dipende dalla quota stessa e quindi chi decide e gestisce veramente le politiche del FMI sono i Paesi più ricchi. All’interno della Banca Mondiale, il peso del voto si basa sulla sottoscrizione di capitale, la quale è basata sulle risorse economiche dei vari Paesi. Inoltre, prima di entrare a far parte della Banca Mondiale, uno Stato deve essere già membro del FMI. È quindi chiaro come, attraverso questi metodi di votazione, gli interessi economici dei Paesi del Sud globale siano sottorappresentati nonostante occupino la maggioranza dei seggi degli Stati membri. Il sistema di voto rappresenta, dunque, un’eredità coloniale: gli Stati occidentali, arricchitisi nei secoli grazie alle materie prime e alla forza lavoro delle colonie, ad oggi godono di un vantaggio sproporzionato nelle decisioni delle politiche economiche. Inoltre, alcuni Stati come l’India – i quali erano ancora colonie nel secondo dopoguerra – furono «integrati nel sistema in condizioni di disuguaglianza e subordinati ai loro colonizzatori; ad altre colonie è stato permesso di aderire solo dopo l’indipendenza, in alcuni casi ben oltre gli anni ’70 e ’80».

Tuttavia, la principale critica mossa al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale riguarda le loro politiche dei prestiti. Infatti, molti Paesi africani rischiano una crisi del debito, nonostante si siano adeguati per decenni alle politiche del FMI. La spirale negativa di tali politiche è la seguente: quando i Paesi si ritrovano indebitati, si rivolgono al Fondo Monetario Internazionale per un prestito, il quale viene concesso grazie alle quote dei vari Paesi membri. Tale prestito, però, è condizionato alle politiche del FMI stesso, ossia i Programmi di aggiustamento strutturali. Tali programmi si propongono di aumentare il flusso di capitali nei Paesi richiedenti, in modo tale da farli riprendere dalla crisi del debito e precludere la possibilità che vadano in default sui loro prestiti. Ciò che viene richiesto dal FMI sono principalmente misure di austerità, ossia un aumento delle tasse combinato con il taglio della spesa pubblica in diversi settori, come l’infrastruttura, la sanità e l’istruzione. Altre richieste comuni sono «politiche di liberalizzazione finanziaria, come la riduzione delle restrizioni commerciali; privatizzazione delle aziende statali; misure per aumentare la responsabilità e la trasparenza del governo; programmi che aumentino i livelli di esportazione e di estrazione delle risorse di un Paese e riduzione dei regolamenti sui prezzi e dei sindacati».
La natura neoliberale – e neocoloniale – del Fondo Monetario Internazionale favorisce politiche macroeconomiche che giovano solamente a quella parte della popolazione che era già ricca durante la crisi. Questo modus operandi, chiamato anche “rivoluzione silenziosa”, non ha fatto altro che intensificare ed esacerbare la situazione economica precaria di diversi Paesi del Sud globale, indirizzandoli così verso una spirale che alimenta povertà e indebitamento. I governi, costretti a tagliare la spesa pubblica, rendono le proprie popolazioni ancora più povere: «l’imperativo della stabilità del tasso di cambio impedisce ai governi dei Paesi più poveri di esercitare una politica monetaria efficace». Un esempio è la crisi in Guinea del 2011: il governo chiese dei prestiti per uscire dalla recessione, ma il prestito stesso portò a una maggiore crisi e a tagli della spesa in diversi settori.
Le misure di austerità del Fondo Monetario Internazionale, condotte in 79 Paesi tra il 2002 e il 2018, sono «associate significativamente al fatto che le persone che guadagnano di più ricevono di più rispetto all’80% inferiore». Un caso recente degli effetti negativi di tali politiche è quello dello Sri Lanka, la cui rupia crollò del 45% rispetto al dollaro statunitense nel marzo 2022. Il Paese, già beneficiario di sedici prestiti, andò in default di 51$ miliardi di debito estero e il governo si trovò costretto a rivolgersi al FMI. Come conseguenza, la mossa governativa fu quella di «eliminare i sussidi per l’elettricità e raddoppiare l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto (IVA)». Nonostante la lieve stabilizzazione della rupia e il calo del tasso di inflazione, secondo la Banca Mondiale i salari reali sono rimasti ai livelli antecedenti alla crisi, mentre il tasso di povertà del Paese è raddoppiato.
Le politiche di queste istituzioni finanziarie internazionali, e in particolare del Fondo Monetario Internazionale, hanno quindi delle radici storico-politiche precise che hanno delle forti conseguenze ancora oggi. Le politiche coloniali degli scorsi secoli si sono semplicemente adeguate e adattate alle istituzioni che oggi regolano il commercio e l’economia globale. Il neocolonialismo stesso è infatti uno sviluppo del capitalismo che favorisce gli Stati occidentali a sfavore di quelli più poveri attraverso le politiche economiche e le istituzioni internazionali. Questi concetti sono stati ribaditi anche da Joseph Stiglitz, economista vincitore del Nobel nel 2001 e vicepresidente della Banca Mondiale tra il 1997 e il 2000. Nel suo libro “The Price of Inequality” racconta come gli interessi di una piccola parte della popolazione – i Paesi occidentali – abbiano preso il sopravvento rispetto a quelli del resto del mondo attraverso l’uso di politiche neoliberiste che portano a divari sociali sempre più ampi.
Note
- L’Organizzazione dell’Unità Africana era un’organizzazione internazionale fondata nel 1963; dal 2022 fu sostituita dall’Unione africana.
- Tricontinental: Institute for Social Research, Life or Debt: The Stranglehold of Neocolonialism and Africa’s Search for Alternatives, Dossier n° 63, aprile 2023. https://thetricontinental.org/dossier-63-african-debt-crisis/. Consultato il 20 ottobre 2024. [TdA]
- J. Chen, Neocolonialism and the IMF, in Harvard Political Review, 21 ottobre 2021. https://harvardpolitics.com/neocolonialism-imf/#google_vignette. Consultato il 20 ottobre 2024. [TdA]
- T. Johnson, The World Bank, the International Monetary Fund, and the World Trade Organization: Reform Challenges, in Carnegie Endowment for International Peace, 24 luglio 2024. https://carnegieendowment.org/research/2024/07/the-world-bank-the-international-monetary-fund-and-the-world-trade-organization-reform-challenges?lang=en. Consultato il 20 ottobre 2024.
- M. Chossudovsky, World Bank, in Encyclopaedia Britannica, 17 ottobre 2024. https://www.britannica.com/topic/World-Bank. Consultato il 21 ottobre 2024. [TdA]
- J. Hickel, Apartheid in the World Bank and the IMF, in AlJazeera, 26 novembre 2020. https://www.aljazeera.com/opinions/2020/11/26/it-is-time-to-decolonise-the-world-bank-and-the-imf. Consultato il 20 ottobre 2024. [TdA]
- M. Chossudovsky, World Bank, in Encyclopaedia Britannica, 17 ottobre 2024. https://www.britannica.com/topic/World-Bank. Consultato il 21 ottobre 2024. [TdA]
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- J. Chen, Neocolonialism and the IMF, in Harvard Political Review, 21 ottobre 2021. https://harvardpolitics.com/neocolonialism-imf/#google_vignette. Consultato il 20 ottobre 2024.
- Ibid. [TdA]
- Tricontinental: Institute for Social Research, Life or Debt: The Stranglehold of Neocolonialism and Africa’s Search for Alternatives, Dossier n° 63, aprile 2023. https://thetricontinental.org/dossier-63-african-debt-crisis/. Consultato il 20 ottobre 2024. [TdA]
- Ibid.
- J. Chen, Neocolonialism and the IMF, in Harvard Political Review, 21 ottobre 2021. https://harvardpolitics.com/neocolonialism-imf/#google_vignette. Consultato il 20 ottobre 2024. [TdA]
- A. Kozul-Wright, As Sri Lanka votes, a $2.9bn IMF loan looms large, in AlJazeera, 20 settembre 2024.https://www.aljazeera.com/economy/2024/9/20/as-sri-lanka-votes-a-2-9bn-imf-loan-looms-large. Consultato il 21 ottobre 2024.
- Ibid.