Mille e una notte di colonialismo

Quando si parla di colonialismo, si fa inevitabilmente riferimento a due culture che entrano in contatto tra di loro. Per quanto la maggior parte delle volte si tratti di una cultura che si impone come dominante – quella del paese che colonizza – e di una cultura che viene considerata come subordinata – quella del paese colonizzato – è pressoché impossibile che la seconda sia esclusivamente influenzata e che non penetri neanche in minima parte la prima. Se così non fosse, non sarebbero giunti a noi testi come Le mille e una notte, Il libro dei cinque anelli o il Corano. Quello che è stato evidenziato è come, nei processi di traduzione, questi testi siano stati alterati. Le tradizioni, i costumi, le usanze e le religioni dei popoli sottomessi venivano raccontati attraverso la lente dei paesi occidentali, fornendo un’immagine distorta della realtà. Agli occidentali non venivano descritti i popoli colonizzati, bensì l’immagine che i colonizzatori avevano di quei popoli. Il linguaggio – o meglio, la manipolazione di questo attraverso la traduzione – ha rappresentato, per il colonialismo europeo, una scelta politica volta a mantenere il proprio potere. Quei mondi lontanissimi geograficamente e culturalmente dall’Occidente venivano trasformati e manipolati creando un’immagine stereotipata dell’altro. La passione per l’Oriente sviluppatasi in Europa dopo la diffusione de Le mille e una notte e di testi simili ha incrementato gli studi e l’interesse per quei popoli, ma piuttosto che rendere loro giustizia, questi studi non hanno fatto altro che perpetrare un’immagine distorta e spesso negativa di quei popoli, dipingendoli spesso come incivili e subordinati.
Edward Said descrive questo tipo di atteggiamento adottato dall’Occidente nel suo saggio del 1978 Orientalismo. Nell’opera, Said scrive:
L’orientalismo non è soltanto un fatto politico riflesso passivamente dalla cultura o dalle istituzioni, né è l’insieme dei testi scritti sull’Oriente, e non è nemmeno il frutto di un preordinato disegno imperialista “occidentale”, destinato a giustificare la colonizzazione del mondo “orientale”. E’ invece il distribuirsi di una consapevolezza geopolitica entro un insieme di testi poetici, eruditi, economici, sociologici, storiografici e filologici; ed è l’elaborazione non solo di una fondamentale distinzione geografica (il mondo come costituito da due metà ineguali, Oriente e Occidente), ma anche di una serie di interessi che attraverso cattedre universitarie e istituti di ricerca, analisi filologiche e psicologiche, descrizioni sociologiche e geografico-climatiche, l’orientalismo da un lato crea, dall’altro contribuisce a mantenere.1
Lo sguardo adottato dall’Occidente nei confronti di tutto ciò che è “Altro” continua ancora oggi, ma ha radici profonde nel colonialismo. Proprio in quella fase di costruzione dei grandi imperi coloniali e in quel contatto con quei popoli “orientali”, l’Europa ha iniziato a costruire un’immagine di quei luoghi che persiste ancora oggi e fa sì che vengano associati a concetti come l’inciviltà e l’infedeltà. Questo tipo di immagine non è stata il frutto di un’azione solamente politica, ma soprattutto culturale: hanno contribuito alla costruzione dello stereotipo testi letterari, immagini, testi sociologici e la cultura in generale.

Prendiamo l’esempio più emblematico: la letteratura, che più di tutte ha contribuito alla diffusione di un’immagine stereotipata di tutto quel mondo che l’Occidente definisce Oriente. L’impatto che Le mille e una notte ha avuto sulla società intellettuale europea è comprensibile solo se si tengono a mente la storia e il contesto politico del tempo. Si tratta di una raccolta di racconti provenienti da aree e periodi diversi. Il re Shahriyar, dopo essere stato tradito dalla sua prima moglie, ha deciso di sposare ogni sera una donna diversa per poi ucciderla al mattino. La principessa Sherazade arriva a corte e inizia a raccontare una storia. Ogni notte la principessa si ferma nel punto cruciale della storia, così da ottenere il suo obiettivo e rimanere in vita. Il re sarà costretto a rimandare l’esecuzione se vuole sapere la fine della storia. Sherazade intreccia storie e racconti di magia e riesce a sciogliere il cuore del re.
Le prime traduzioni del testo iniziano a diffondersi nel XVIII secolo. La prima, e sicuramente la più nota per molto tempo, è quella dell’intellettuale orientalista francese Antoine Galland, pubblicata nel 1704 con il titolo Le notti arabe. Rispetto al testo originale, la versione di Galland contiene più racconti, per un totale di 282, segno che l’orientalista ha attinto anche da altri testi della cultura mediorientale. La storia di questa prima traduzione fa tappa alla corte di Versailles. Come dichiarato nella prefazione e nella dedica dell’opera, il testo è pensato per essere letto nelle corti. Il pubblico ideale è quello femminile. Più che un traduttore, Galland sembra essere uno scrittore. I personaggi che descrive, infatti, assomigliano più agli abitanti delle corti europee del Settecento piuttosto che agli arabi. La cornice è quella orientale, ma l’opera è chiaramente stata tradotta pensando al tipo di pubblico a cui sarebbe stata rivolta. Riguardo la traduzione di Galland, Jorge Luis Borges scrive: “la peggio scritta di tutte, la più bugiarda e la più debole; ma è stata la meglio letta. Chi le si accostò conobbe la felicità e la meraviglia”2
La traduzione de Le mille e una notte di Galland ha alterato la descrizione e il racconto dell’Oriente, enfatizzando soprattutto gli aspetti magici e misteriosi, per offrire al proprio pubblico una versione più esotica possibile. L’Arabia appare un paese con colori, profumi e suoni enfatizzati, dove la magia e il mistero formano una realtà distante e opposta rispetto a quella europea. I pregiudizi hanno colpito soprattutto la figura femminile: le donne arabe, infatti, vengono descritte come seduttrici, maghe, streghe, ingannatrici disposte a tutto pur di ottenere quello che vogliono e in grado di ammaliare gli uomini fino a fargli perdere la ragione. Numerose narrazioni sono state modificate per incarnare i valori morali dell’Occidente, portando alla reinterpretazione o all’attenuazione di alcune delle loro tematiche originarie. Le mille e una notte ha influenzato artisti, pittori e scrittori che, nel corso del tempo, hanno continuato a rappresentare quell’immagine alterata del mondo arabo.

Sebbene ci siano state altre traduzioni oltre quella di Galland ben più affidabili, soprattutto le opere che si sono rifatte al testo originale di Mahdi, quella dell’orientalista francese è stata per lungo tempo la più letta e diffusa. Oltre alla sua opera, si sono diffusi gli stereotipi e i pregiudizi di questa, contribuendo all’affermazione di un’immagine dell’Oriente non veritiera. Nel raccontare e tradurre i popoli colonizzati, l’errore dell’Occidente sta nel raccontare un solo Oriente, come se la metà del mondo potesse essere ridotta a un’unica ideologia o ad un unico blocco. Gli studi portati avanti sul testo dimostrano come i racconti che questo contiene facciano riferimento a nazionalità ed epoche diverse. Galland, con la sua opera, ha contribuito alla rappresentazione di un Occidente civilizzato e un Oriente percepito “l’Altro”. Tale rappresentazione ha avuto conseguenze politiche e ha contribuito alla legittimazione di atteggiamenti coloniali e imperialisti.
di Marta Tucci
Note
- https://iulamarzulli.wordpress.com/2015/01/15/edward-said-orientalismo/
- Borges J. L., Le mille e una notte secondo Galland in La torre di Babele
Ospiti Inattesi
Editoriale · L’Eclisse
Anno 4 · N° 6 · Ottobre 2024
Copertina di Maria Traversa.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Bianca Beretta, Alice Borghi, Marta Caffa, Matteo Capra, Michele Carenini, Chiara Castano, Anna Cosentini, Joanna Dema, Clara Femia, Marie Gagliano, Eugenia Gandini, Chiara Gianfreda, Rosamaria Losito, Matteo Mallia, Alessandro Mazza, Marcello Monti, Emiliano Morelli, Valentina Oger, Erika Pagliarini, Virginia Piazzese, Lorenzo Ramella, Luca Ruffini, Gioele Sotgiu, Vittoria Tosatto, Vittoriana Tricase, Marta Tucci, Marta Urriani.