Lo sappiamo tuttə: scegliere che cosa vedere sulle piattaforme streaming, ormai, è un’impresa quasi impossibile. Tra la marea di nuove serie e film “Originals” e la serie infinita di contenuti aggiunti ogni giorno, è incredibilmente facile passare un’ora a ponderare di cosa avremmo voglia, per poi ritrovarci a spegnere tutto e andare a dormire, dato che oramai è troppo tardi per vedere qualcosa. Al limite, ci buttiamo sulla solita sit-com rivista mille volte, delusi di non aver trovato qualcosa di nuovo in cui affondare i denti.
Noi de L’Eclisse ci impegniamo sempre a evidenziare prodotti culturali anche meno “scontati”, lontani dalle réclame degli studios multimiliardari e diversi dalle proposte del mainstream hollywoodiano: forse vi ricorderete un articolo di qualche anno fa, dedicato al cinema mondiale in cinque proposte.
In vista delle imminenti vacanze pasquali, abbiamo pensato di ripresentarvi un articolo di consigli, concentrandoci, questa volta, su l’incredibile varietà del cinema europeo, in modo che possiate passare queste prossime serate in famiglia non a scegliere cosa guardare, ma a scoprire film nuovi (o meno nuovi) che raccontano il nostro continente da molti punti di vista. Ci siamo basati sul catalogo di una delle piattaforme più fornite e con più abbonati, Prime Video, tenendo in considerazione, però, solo i titoli compresi con l’abbonamento base.
Buona visione!
1. L’occhio che uccide (Peeping Tom, 1960, M. Powell, UK)
Un classico del cinema che ha ispirato innumerevoli copie nel film di genere, L’occhio che uccide è il capolavoro metacinematografico di Michael Powell, questa volta senza l’abituale co-regista Emeric Pressburger, con cui aveva già firmato Narciso Nero (Black Narcissus, 1947), Scarpette Rosse (The Red Shoes, 1948) e I racconti di Hoffmann (The Tales of Hoffmann, 1951), tra gli altri.
Come nei precedenti film, anche in questo domina il Technicolor, con una fotografia che utilizza al meglio le tinte sature e brillanti della pellicola a colori, le quali servono, però, a illustrare una storia d’ossessione e perversione scabrosa, che all’epoca fece grande scandalo nel Regno Unito. Karlheinz Böhm è un operatore cinematografico che, per arrotondare, fotografa ragazze per riviste osé. Tuttavia, nasconde un segreto: la sua cinepresa personale serve anche a filmare i brutali omicidi di donne con cui ha a che fare – inizialmente prostitute, ma ben presto la sua ossessione comincia a pervadere anche la sua vita “alla luce del sole”. Un thriller ancora oggi agghiacciante sul potere della forma filmica e sullo sguardo maschile sui corpi femminili.
2. La persona peggiore del mondo (Verdens verste menneske, 2021, J. Trier, Norvegia)
Il film che ha rivelato al mondo la protagonista Renate Reinsve e il regista Joachim Trier, in passato noto anche per Reprise (2006), Oslo, 31. august (2011) – che con La persona peggiore del mondo formano la “trilogia di Oslo” – e Thelma (2017). Il film, presentato a Cannes, è valso la Palma d’Oro a Reinsve, che interpreta Julie in dodici capitoli e quattro anni della sua vita, in quel delicato passaggio dai venti ai trent’anni.
Julie è impulsiva, persa, appassionata, inquieta, passa da una facoltà universitaria all’altra, da un fidanzato all’altro, da un taglio di capelli all’altro, da una casa all’altra. Julie è la persona peggiore del mondo? O è semplicemente una delle tante giovani sperdute nel complicato mondo moderno, a cui si aprono talmente tante strade da lasciarla più confusa e spaesata di prima? La persona peggiore del mondo è già diventato un film di culto, che con un’interpretazione protagonista incredibilmente sfaccettata e un tocco delicato riesce a raccontare la nostra epoca in modo toccante e malinconico.
3. C’eravamo tanto amati (1974, E. Scola, Italia)
Un classico del nostro cinema, uscito a metà degli anni Settanta ma capace di raccontare tutto il secondo dopoguerra, il sogno tradito della Resistenza, il boom economico e l’entusiasmo giovanile della sinistra che svanisce di fronte alle incertezze della vita adulta. Perfetta combinazione tra storia privata e storia pubblica, C’eravamo tanto amati, probabilmente il capolavoro di Scola, è la storia di tre amici, Gianni (Vittorio Gassman), Antonio (Nino Manfredi) e Nicola (Stefano Satta Flores). I primi due si innamorano della stessa donna, interpretata da Stefania Sandrelli, il terzo cerca di vivere della sua passione per la cultura, in particolare per il cinema. Con cameo di grandissimi dello spettacolo (Mike Bongiorno, Federico Fellini, Marcello Mastroianni), Scola accompagna lo spettatore attraverso la Storia della TV, del cinema, di Roma e soprattutto dell’Italia, con un film divertente e commovente.
4. In Bruges – La coscienza dell’assassino (In Bruges, 2008, M. McDonagh, UK)
Se avete amato Gli spiriti dell’isola, vi consigliamo di recuperare anche questo precedente film del regista e drammaturgo irlandese Martin McDonagh, anche qui in squadra con Brendan Gleeson e Colin Farrell. In In Bruges, i due attori sono due sicari, inviati dai propri committenti nella piccola cittadina belga a nascondersi, dopo un colpo andato male. Farrell è irrequieto e ribelle, Gleeson vuole godersi l’arte medievale e la pace di Bruges nel periodo natalizio. Tra spassosi battibecchi ed esilaranti incomprensioni, sembra inizialmente di assistere a una versione sofisticata di una commedia screwball.
Ma, quando emergono i fantasmi del passato di Ray (Farrell) e a Ken (Gleeson) viene ordinato di eliminare il collega, il film vira verso la tensione etica e psicologica, instradando un discorso su concetti complessi come la moralità, la colpa e il castigo, lo scontro tra dovere professionale e sentimento personale. Un film breve, ma intenso, come si dice, unico nel suo genere. Nel cast anche Ralph Fiennes e Clémence Poésy.
5. L’immagine mancante (L’image manquante, 2013, R. Panh, Francia)
Ok, forse qui bariamo un po’, perché la produzione di questo documentario è francese, ma il soggetto è la Cambogia; in particolare il periodo della dittatura dei Khmer rossi e il genocidio da essi perpetrato. Vincitore nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes e candidato all’Oscar come Miglior film straniero nel 2014, L’immagine mancante è, però, un film da non perdere.
Il suo autore, Rithy Panh, è emigrato in Francia negli anni Settanta per sfuggire alla dittatura, dopo essere stato deportato insieme alla propria famiglia e rinchiuso in un campo di lavoro. Il film unisce ricordo personale e storia del Paese, chiedendosi come sia possibile rappresentare l’irrappresentabile: «Quale uomo, avendo ripreso questa scena, avrebbe voluto mostrarla?». L’immagine mancante è la sua infanzia perduta, il passato di un Paese sconvolto da uno dei più brutali genocidi del Novecento, ma anche, più concretamente, le prove fotografiche dei campi di lavoro e della sofferenza inflitta al suo popolo dalla dittatura di Pol Pot. Un documentario coraggioso, che denuncia i limiti del cinema di fronte alla Storia.
6. Nosferatu, il principe della notte (Nosferatu: Phantom der Nacht, 1979, W. Herzog, Germania Ovest)
Il remake di Robert Eggers è stato oggetto di discussione cinefila per tutto il primo trimestre del 2025. Eppure, quasi cinquant’anni prima, il grande regista tedesco Werner Herzog aveva tentato un omaggio al classico deò 1922 di Friedrich Murnau. L’incredibile cast comprende Klaus Kinskij, Bruno Ganz e Isabelle Adjani, gli esterni della città sono stati girati a Delft.
Ogni inquadratura di Nosferatu sembra un dipinto a olio, ma il film avanza secondo una modalità meditativa e quasi onirica: non a caso, il sottotitolo diventa, dalla “sinfonia del terrore” di Murnau, “il fantasma della notte” (nell’originale tedesco), e il tormentato vampiro di Kinskij avanza nella pellicola come un vero e proprio essere folklorico, parassita dei sogni della giovane Lucy. Per approfondire le differenze tra i tre adattamenti del Dracula di Bram Stoker, vi rimandiamo a un nostro recente articolo, mentre dello sforzo di Eggers avevamo parlato, con opinioni radicalmente divergenti, in una live che potete recuperare sul nostro canale YouTube. Se avete amato il film con Lily-Rose Depp, ma anche se l’avete odiato, vi consigliamo di vedere subito anche la versione del 1979, che resta un classico a sé stante e uno dei migliori esempi della poetica di Herzog.
7. La città delle donne (1980, F. Fellini, Italia)
Passiamo ad esempio eccellente del nostro cinema. Oltre a numerose commedie all’italiana, Prime offre una selezione abbastanza ampia di lavori dei nostri più grandi registi, come il già citato Scola, ma anche Federico Fellini. La città delle donne è uno dei film, oggi, meno ricordati del regista riminese, ma è anche uno dei più interessanti per chi ha familiarità con la personalità e l’opera di Fellini.
Sequel spirituale del celeberrimo 8½ (1963), La città delle donne inizia dove finiva il capolavoro metacinematografico del maestro: su un treno, con Marcello Mastroianni seduto di fronte a una donna. Tuttavia, se il film del 1963 si concentrava sul viaggio introspettivo e artistico del suo protagonista (notoriamente, un alter-ego felliniano), enumerando i suoi sfaccettati rapporti con le donne della sua vita senza veramente metterli in crisi, ne La città delle donne la crisi è proprio il nucleo centrale. La differenza tra i due film sta proprio nel decennio che li divide, quegli anni Settanta così ricchi di cambiamenti sociali per il nostro Paese e in cui il dibattito femminista aveva investito tutti gli aspetti della società, anche e soprattutto il cinema di Fellini, giudicato misogino e patriarcale. Per questo film, Fellini tenta una collaborazione con alcune attiviste femministe (collaborazione presto fallita e rinnegata da entrambe le parti), in un mea culpa reticente e contraddittorio che rende il film un oggetto affascinante e rivelatore.
8. La mia vita da zucchina (Ma vie de courgette, 2016, C. Barras, Svizzera)
Forse conoscerete Céline Sciamma per il suo film del 2019 Ritratto di una giovane in fiamme, molto amato dall’Instagram cinefilo. Tre anni prima, però, aveva collaborato alla sceneggiatura di questo tenero film franco-svizzero, tratto dal romanzo Autobiografia di una zucchina di Gilles Paris. L’esordio di Claude Barras, in animazione a passo uno, ha vinto il Cristal du long métrage e il premio del pubblico al Festival di Annecy ed è anche stato candidato all’Oscar per il miglior lungometraggio d’animazione nel 2017.
Il film segue l’infanzia di Icare, un orfano dal passato difficile, che preferisce il soprannome “Zucchina”, e dei suoi compagni di orfanotrofio, affrontando con delicatezza e serietà numerose tematiche legate ai traumi infantili, ai problemi comportamentali e alla violenza di cui possono essere testimoni i bambini. Zucchina, la timida Camille e il poliziotto bonaccione Raymond vi conquisteranno, ma Barras riesce a dipingere vividamente tutto il variopinto mondo dell’orfanotrofio, trasportandoci in una storia che sembra una favola d’altri tempi, o un romanzo di Roald Dahl. Una raccomandazione: preparate i fazzoletti.
9. Il colpevole – The Guilty (Den skyldige, 2018, G. Möller, Danimarca)
Uno dei più impressionanti esordi degli ultimi anni, The Guilty è decisamente un film per chi ama il thriller. Girato interamente all’interno di un’unica stanza, la tensione sale nella prima mezz’ora e non scende fino ai titoli di coda. Su Netflix trovate il remake americano con Jake Gyllenhaal, ma noi preferiamo la versione originale.
Asger Holm è un agente di polizia dalla testa calda e le reazioni imprudenti: per un non meglio precisato incidente, è stato confinato in un centralino d’emergenza della polizia. In uno dei suoi ultimi giorni al centralino, frustrato dalla forzata inazione che il suo nuovo ruolo richiede, l’agente Holm riceve chiamate su chiamate da studenti burloni o persone ubriache. Ad un certo punto, però, una donna chiama il numero d’emergenza, sostenendo di essere stata rapita. Holm, andando oltre il suo ruolo, si prende a cuore il suo caso, cercando di gestire una situazione che, però, cambia costantemente e non è semplice come potrebbe sembrare. Come Holm, anche lo spettatore non vede niente di quello che succede alla donna, ma è costretto a interpretare quello che sente. Cosa fare in una situazione ambigua, in cui niente è quello che sembra e non possiamo mai veramente influenzare il corso delle azioni?
10. Les parapluies de Cherbourg (1963, J. Demy, Francia)
Un classicone restaurato da pochissimo, che fa da ponte tra il musical hollywoodiano e l’opera wagneriana e ha ispirato, tra gli altri, La La Land di Damien Chazelle. Un tripudio di colori e musica jazz che abbracciano le interpretazioni perfette di due giovanissimi Catherine Deneuve e Nino Castelnuovo sullo sfondo di una cittadina portuale del nord della Francia. Un finale indimenticabile, innevato e malinconico, e un grido d’accusa contro una Francia, nel 1962, ancora ipocrita e bigotta sul tema dell’aborto e impelagata in una guerra coloniale, quella d’Algeria, che trovava ben poche simpatie nei giovani che mandava a morire.
Tutto questo e molto altro è Les parapluies de Cherbourg (gli ombrelli di Cherbourg), film completamente cantato che esprime uno dei lati più giocosi della Nouvelle Vague, legandosi, però, alla tradizione del romanzo francese ottocentesco. Guy e Geneviève sono giovani e si amano, ma, quando lui deve partire in guerra e lei rimane incinta, la vita e la necessità li separa forzatamente. Bellissima la scena della partenza di Guy, così come la sequenza del matrimonio e l’inquadratura sul carnevale. Questo è il film perfetto per una giornata di pioggia e una di quelle pellicole che vi lascerà a bocca aperta davanti allo schermo: c’è un prima e un dopo Les parapluies de Cherbourg. Le musiche, compreso il famoso tema, sono di Michel Legrand.

Valentina Oger
Nata a Bologna nel lontano 2002, ha girato l’Italia (e, per dieci mesi, la Corea del Sud) prima di approdare al DAMS dell’Università di Torino. Generalmente è la meno socievole del gruppo – ha madre ligure e padre francese – e per L’Eclisse fa l’uccello del malaugurio. La sua ossessione principale è il cinema, ma è abbastanza eclettica: le sue ultime celebrity crushes includono Orson Welles, Magnus Carlsen, Farinata degli Uberti e Paul McCartney nel ’66. Ha due gatti e molti dubbi.