Ieri, 8 aprile 2025, è stata annunciata la shortlist dell’International Booker Prize, un ambito riconoscimento letterario britannico che mira a premiare i libri di autori stranieri e i loro traduttori. È stato creato nel 2004 per complementare il Booker Prize (precedentemente noto come “Booker Prize for Fiction” e “Man Booker Prize”), uno dei premi più importanti del Regno Unito e del Commonwealth, la cui influenza in termini di prestigio per l’autore e aumento delle vendite è assolutamente centrale nell’editoria d’oltremanica.
Ogni anno, un gruppo di giudici (generalmente scrittorə, editor, criticə, traduttorə o altri personaggi legati al mondo letterario) si riunisce per valutare una vasta selezione di libri tradotti, pubblicati nel Regno Unito l’anno precedente. Quest’anno sono stati considerati ben 154 titoli, da cui poi è stata ricavata una longlist di tredici candidati, uno in più rispetto al solito. Tra questi, anche l’italiano Vincenzo Latronico con Le perfezioni, pubblicato originariamente nel 2022 e candidato anche al Premio Strega. Latronico, per la nostra gioia patriottica, è riuscito a superare la “soglia di sbarramento” della mezza dozzina da cui, il 20 maggio, verrà scelto il vincitore di quest’anno.
Il Booker Prize e l’International Booker Prize, nel tempo, hanno incrementato la loro importanza nel panorama letterario mondiale, arrivando, secondo alcuni, a competere con il Premio Nobel a livello di prestigio e accortezza nella scelta dei vincitori. Non a caso, forse, alcuni dei più recenti vincitori del Nobel per la Letteratura avevano precedentemente ricevuto il Booker: Han Kang, Nobel l’anno scorso, era stata premiata nel 2016 per La vegetariana, che divenne un caso letterario mondiale; Alice Munro ricevette il Booker nel 2009 e il Nobel nel 2013, mentre Olga Tokarczuk vinse entrambi i premi nel 2018. I Nobel 2022 e 2023, Annie Ernaux e Jon Fosse, sono stati candidati al Booker rispettivamente nel 2019 e nel 2022.
Diventa, allora, parecchio interessante analizzare i meccanismi dei Booker Prizes, perché possono dare più di un indizio sulle tendenze dell’editoria odierna, o addirittura indirizzarne il corso. Per esempio, la longlist dell’International Booker Prize 2025 è composta quasi unicamente da libri sotto le 250 pagine. Eccedono Solenoide di Mircea Cărtărescu (639 pagine), Sulla pazzia di una donna di Astrid Roemer (265 pagine) e Under the Eye of the Big Bird di Kawakami Hiromi (256 pagine)1. Di questi, solo Kawakami è riuscita a entrare nella shortlist. Anche il Nobel, negli ultimi anni, ha premiato autorə notə, oltre che per la loro bravura nella scrittura, anche per la brevità delle proprie opere, che raramente superano le 300 pagine.
Bazzicando quel luogo terribile e meraviglioso che è l’internet, mi è capitato di entrare a contatto con la sfera dellə lettorə online, oramai una “nicchia” così poco di nicchia che le più note catene librarie allestiscono banchetti promozionali o intere scaffalature sotto l’egida dell’hashtag #AsSeenonBookTok, o semplicemente #BookTok. Come sanno anche i sassi, TikTok, la piattaforma social di video brevi che pare essere radice di tutti i mali dell’uomo moderno, ha sviluppato da qualche anno una vivace comunità bibliofila, particolarmente frequentata da giovani e giovanissimə, che si scambiano consigli e recensioni sui propri libri preferiti. TikTok è uno dei social dall’algoritmo più sviluppato per proporci infinite copie di quello che pensa ci sia piaciuto: non sorprende quindi il proliferare di trend (che molto spesso non lo sono, o meglio, lo sono solo in una bolla molto più piccola di quanto non sembri) e la suddivisione in tribù di tutte le principali civiltà tiktokiane. Per quanto riguarda BookTok, il neofita potrebbe essere portato a pensare che solo fantasy e storie d’amore, o tutt’al più il mostro bifronte romantasy – romance + fantasy – interessino “i giovani d’oggi”. Questa visione, però, è decisamente riduttiva: su TikTok si possono trovare appassionatə di qualsiasi genere, dai classici del grande romanzo ottocentesco (Jane Austen va fortissimo, ma ultimamente anche Il conte di Montecristo) agli intramontabili sad hot girl books, i libri per “ragazze tristi e fighe”, capitanate dalle paladine Sally Rooney e Ottessa Moshfegh.
Tutti questi sottogruppi, però, effettivamente qualcosa in comune ce l’hanno, e non parlo delle video-reazioni durante la lettura o della schiera invidiabile di post-it colorati per evidenziare le proprie parti preferite nei romanzi (so che sembro un po’ caustica, ma invidio davvero quei bellissimi post-it colorati). Quello che hanno in comune è una visione totalmente distorta dell’attività della lettura e di che cosa significhi essere “lettorə forte”. Mi spiego. Forse vi ricorderete le prove INVALSI, o vi sarà capitato di compilare un questionario per l’ISTAT. Le domande su libri e lettura non sono generalmente molte, ma sono rivelatorie: per i nostri istituti di statistica, si è considerati lettorə “forti” se si leggono almeno dodici libri all’anno, quindi, in media, uno al mese. Non è raro, nei consueti wrap-up (brevi cataloghi delle letture) di fine mese dei booktoker, trovare dieci o più libri in un solo mese. Ora, è vero che per moltə di loro la lettura è il loro mestiere, ma i numeri diventano comunque sempre più impressionanti.
Effettivamente, il loro mestiere non è solo leggere libri, ma anche creare contenuti su di essi. Come sappiamo, il pubblico dei social è sempre più esigente e sempre più annoiato: è normale, quindi, che lə creators si sentano in dovere di proporre contenuti (nel nostro caso, libri) sempre nuovi. Questo, a mio avviso, crea un cortocircuito non indifferente, in quanto la lettura è sempre stata un’attività riflessiva, che ci invita a rallentare e isolarci dalla vita quotidiana, a rimuginare sulle idee proposteci dall’autorə, a empatizzare con storie che non sono la nostra. Quale riflessione, quale empatia, quale sacralità ci possono essere in una lettura assuefatta ai ritmi folli del mercato, smontata e organizzata per sottostare a regimi fordisti? 50 pagine al giorno! Due libri a settimana! O non riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo di lettura per l’anno in corso!
Allo stesso tempo, in chi si occupa dei libri sui social, ma anche nei lettori comuni, si sta sviluppando una rampante FOMO: la fear of missing out, paura di perdersi qualcosa, di restare fuori dal loop. Ogni anno viene pubblicata una mole di libri inquietante, grazie alla riduzione dei prezzi di stampa, ma anche alla democratizzazione della scrittura, specialmente grazie a piattaforme come Wattpad e alla sempre più diffusa pratica dell’autopubblicazione. Questi, che dovrebbero essere sviluppi positivi – al giorno d’oggi, voci marginalizzate e scrittorə di culture lontane possono arrivare sulle nostre librerie con sorprendente facilità – creano anche una saturazione del mercato che ci lascia costantemente con l’acqua alla gola per rincorrere il nuovo caso editoriale, il nuovo saggio che ci cambierà la vita, lə nuovə autorə imperdibile, e così via.

Detto questo, torniamo alla questione da cui siamo partiti: la lunghezza dei libri. Ça va sans dire, non sono solo i premi letterari a preferire romanzi brevi, ma anche e soprattutto lə lettorə. La logica è semplice: se l’importanza è posta su quanto leggiamo (per status, per FOMO, ecc.), tenderemo a prediligere libri con poche pagine, che possano essere finiti in una manciata di giorni, o addirittura di ore, e possano alzare il numerino del nostro counter su Storygraph o Goodreads. Se, poi, creare contenuti sempre nuovi sui libri è il nostro mestiere, la comodità dei libri brevi raddoppia. Anche chi deve leggere 150 libri per poi assegnare un premio letterario ha da sperare che, tra tutti questi titoli, una buona metà non superi le 300 pagine. Infine, se fossi una scrittrice di professione e il mio editore volesse un libro ogni due-tre anni, perché entrambi sappiamo che anche il più grande hype svanisce più o meno in questo lasso di tempo, sarebbe di sicuro molto più semplice concentrarmi su una storia concisa ma d’impatto, invece di dover lavorare a centinaia e centinaia di pagine. Sia chiaro, non voglio dire che i libri sotto le 250 pagine siano per forza meno belli, meno intellettuali o meno importanti. Tutte le 177 pagine della Vegetariana sono magnetiche (ve ne avevamo parlato qui e qui). La nostra redattrice Vittoria Tosatto ha avuto solo lodi per Orbital di Samantha Harvey, il vincitore dello scorso Booker Prize e il più breve della storia del premio, con sole 136 pagine. Tuttavia, è un peccato che volumi più importanti vengano accantonati dallə lettorə, professionistə e non, e conseguentemente dagli editori. È vero che un libro da 600 pagine non ci potrà dare a breve la scarica di dopamina dell’aver portato a termine un impegno intellettuale, ma immergersi in una storia per settimane è una sensazione unica, che ha fatto innamorare della lettura molti di noi. Alcuni libri (a mio parere, tutti i libri) hanno bisogno di tempo, di attenzione: continuare a considerare la cultura come un mero prodotto da essere consumato e rigettato in tempo record è una pessima idea, credo che questo sia chiaro a tutti.
Come fare, quindi, a contrastare questa brutta abitudine della “lettura bulimica”? Ci sono vari modi: per esempio, consiglio un digital detox di qualche settimana o mese. Le meccaniche dei social possono assuefare, ma quando ce ne si distanzia un poco lo schiaffo della realtà arriva pressoché immediato (riassunto per pigrə: niente ha senso e tutto è una bugia). Inoltre, un buon metodo per auto-incoraggiarsi a leggere, ma senza stressarsi per raggiungere un numero inverosimile di libri “macinati”, può essere quello di impostare come obiettivo di lettura un numero simbolico – uno, ad esempio. La cosa più importante, di sicuro, è imparare di nuovo a lavorare su quello che stiamo leggendo, a cercare di capirlo a fondo, approfondendone i temi e le domande che ci sta ponendo. Per i classici, si possono trovare online tantissime risorse, da video-approfondimenti, a saggi critici, a lezioni universitarie vere e proprie. Per i libri contemporanei, può essere utile leggere o ascoltare interviste con l’autorə, o discussioni e podcast di professionisti del settore (se masticate l’inglese, vi consiglio The Book Review del “New York Times”, mentre in Italia amo molto Comodino, a cura de “Il Post”).
Anche eventi culturali e presentazioni possono essere occasioni molto stimolanti per sentire altri punti di vista su un libro che non vi ha convinto – o che, al contrario, avete adorato. Potete annotare le vostre opinioni e riflessioni su un quadernino, cartaceo o digitale. Forse, però, il modo più divertente e trascinante per imparare a leggere attivamente è quello di iscriversi a un club del libro. Ce ne sono tantissimi, sia virtuali che in presenza, adatti a ogni livello, gusto ed esigenza: una semplice ricerca in rete, o nei centri culturali vicino a voi (le biblioteche!!!!!!!!!!!!!!), e capirete che ormai i book club spuntano come funghi. Praticamente manca solo quello de L’Eclisse. Ehi, non è una cattiva idea….
Note
- Di quest’ultima raccolta di racconti cito il titolo inglese, poiché in Italia non è stata ancora tradotta.

Valentina Oger
Nata a Bologna nel lontano 2002, ha girato l’Italia (e, per dieci mesi, la Corea del Sud) prima di approdare al DAMS dell’Università di Torino. Generalmente è la meno socievole del gruppo – ha madre ligure e padre francese – e per L’Eclisse fa l’uccello del malaugurio. La sua ossessione principale è il cinema, ma è abbastanza eclettica: le sue ultime celebrity crushes includono Orson Welles, Magnus Carlsen, Farinata degli Uberti e Paul McCartney nel ’66. Ha due gatti e molti dubbi.