ABBA live dal 1976 – solo per questa sera!
Circa un anno fa, girando per la metro di Londra con una delle mie migliori amiche, non ho potuto far a meno di notare la massiccia presenza di poster pubblicitari per ABBA Voyage, il concerto del quartetto svedese in versione digitale.
In pratica, dal 2022 e fino al 2026, i fan del gruppo euro-pop più famoso di tutti i tempi saranno in grado di assistere a un concerto degli ABBA in cui, grazie alla tecnologia motion-capture già largamente utilizzata in ambito cinematografico, gli avatar dei ringiovaniti Agnetha, Björn, Benny e Anni-Frid si esibiranno per novanta minuti in un’arena apposita costruita nel Queen Elizabeth Olympic Park. I biglietti, andati sold-out per la maggior parte delle date 2022, hanno prezzi assimilabili a quelli di un normale concerto.
Se Walter Benjamin, nel suo seminale saggio del 1936 L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, si interrogava sul valore artistico di media come la fotografia e il cinema, possiamo solo immaginare cos’avrebbe avuto da dire su ABBA Voyage. In effetti, le problematiche e i dubbi sollevati da un’operazione di questo tipo non sono pochi.
Innanzitutto, le implicazioni legali e morali di uno spettacolo del genere non sono da sottovalutare. I produttori Svana Gisla e Ludvig Andersson hanno dichiarato a Rolling Stone che sarebbe meglio non ripetere l’esperimento, soprattutto con artisti scomparsi, ma forse dimenticano che alcuni piccoli Lazzari della musica sono già esistiti. Nel 2014, ad esempio, l’ologramma di Michael Jackson si esibì in Slave to the Rhythm ai Billboard Music Awards, mentre nel 2019 si vociferava di un tour di Amy Winehouse, il quale si scontrò con le ire dei fan poiché la motion capture non sarebbe stata eseguità sui materiali d’archivio, ma su una controfigura. Per quanto riguarda gli “ABBA-tar”, invece, si è usata una tecnica che ha sovrapposto i modelli tridimensionali e le voci del gruppo svedese ai movimenti di controfigure più giovani, per ottenere un movimento che fosse realistico rispetto alle proiezioni. Inoltre, gli ABBA sono stati coinvolti in ogni step del processo produttivo dello spettacolo (hanno anche registrato due nuove canzoni): nel caso di celebrità defunte, ovviamente, questo non è possibile. Tuttavia, è sempre bene ricordare che il diritto all’immagine è uno dei diritti fondamentali dell’uomo: chi può decidere di usare l’immagine (intesa, ovviamente, anche come “forza commerciale” di questi artisti ultra-famosi) di Michael Jackson, Amy Winehouse o Whitney Houston? Chi può dire se essi sarebbero stati d’accordo?
Una cosa simile era successa qualche anno fa, quando una compagnia produttrice di cioccolato, grazie a un deepfake, aveva “resuscitato” Audrey Hepburn per una pubblicità. Se Hepburn fosse ancora in vita, avrebbe potuto contestare l’utilizzo della sua immagine a fini promozionali (anche gli eredi, in quanto intestatari dell’Audrey Hepburn Fund, possono farlo, come dimostrato da un’importante sentenza del 2015 della Corte di Milano, ma l’utilizzo di un’immagine o di video già esistenti è una questione un po’ diversa dalla creazione di nuovo materiale audiovisivo). Il performer, in questo modo, perde qualsiasi intenzionalità nella sua arte, il che rischia di avere conseguenze ben più gravi di un concerto troppo costoso.
Oltre alle questioni morali, poi, entra in gioco, ovviamente, un discorso più complicato sul versante artistico. Erika Fischer-Lichte, in Estetica del performativo, evidenzia come l’elemento zero da cui partire per poter definire se un evento è artistico/performativo sia il “loop di feedback”, ovvero il continuo scambio di energia e segnali tra performer e spettatore. La sua teoria, che riguarda le rappresentazioni dal vivo, vuole che tra lo spettatore e il performer si crei una nuova performance ad ogni rappresentazione, poiché i processi mentali, le reazioni, le risposte psico-emotive di ognuno, oltre che le condizioni esterne in cui si svolge lo spettacolo, non potranno mai essere uguali alle precedenti. È chiaro, però, che questo può succedere solo se performer e spettatore sono esseri vivi, in carne ed ossa, capaci di esperire l’evento della performance e di registrare e interpretare i cambiamenti del loop di feedback. Detto in termini più spicci, tutti abbiamo sentito un cantante parlare dell’“energia” di un pubblico, così come tutti, ad un concerto live, sappiamo che è possibile una piccola stonatura, un errore in una coreografia, un’interazione con il pubblico, ecc.: questo perché il cantante o la band sul palco sono vivi, reattivi, e così il pubblico. Entrambi hanno esperienze anche esterne alla performance che si ripercuotono sulla loro esperienza, e in questo consiste l’arte performativa, la liveness.
Come parlare di liveness nel caso di cantanti digitali, che non solo non modificheranno in nulla la propria performance a livello “oggettivo” (stonature, interazioni, ecc.), ma neppure a livello “soggettivo”, coscienziale, relazionale rispetto al pubblico? Possiamo ancora parlare di arte, o ci troviamo davanti a qualcosa di completamente diverso, forse a una sorta di “tecnologia spettacolare”?
Non sono sicura che non valga la pena di andare a vedere ABBA Voyage; tuttavia, penso sia certo il fatto che esso non possa essere esperito come un concerto veramente live. Benny Andersson ha dichiarato che il bello di Voyage è «essere sul palco senza esserlo davvero», eppure, l’essenza di una performance sta proprio nella presenza: che cosa stiamo guardando, allora? Ma, soprattutto, se è la presenza dell’artista a rafforzare la soggettività dello spettatore, che si riconosce come tale proprio grazie al loop di feedback e all’evento della performance, come possiamo definire chi assiste a questo tipo di eventi?
Per quanto, personalmente, non posso che storcere il naso davanti allo sfruttamento economico dell’opera di artisti che non possono o non vogliono più esibirsi live, mi rendo conto che, ancora una volta, la tecnologia sta ridefinendo i confini e la definizione stessa di arte, di artista e, per forza di cose, di pubblico. Con buona pace di Walter Benjamin.
On/Off
Editoriale · L’Eclisse
Anno 3 · N° 4 · Luglio 2023
Copertina di Maria Traversa.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Bianca Beretta, Ludovica Borelli, Matteo Capra, Michele Carenini, Ginevra Cesati, Anna Cosentini, Joanna Dema, Clara Femia, Eugenia Gandini, Marta Gatti, Chiara Gianfreda, Nikolin Lasku, Rosamaria Losito, Matteo Mallia, Erica Marchetti, Laura Maroccia, Marcello Monti, Valentina Oger, Alessandro Orlandi, Erika Pagliarini, Matteo Paguri, Luca Ruffini, Arianna Savelli, Tommaso Strada, Vittoria Tosatto, Marta Tucci, Marta Urriani.