Il capro espiatorio, o come il teatro racconta l’odio
Se la paura è un’emozione umana e da essa può scaturire l’odio, allora anche l’odio è intrinsecamente umano. La paura apparterrà all’uomo finché non sarà eliminata “la madre di tutte le paure”, ossia la paura della morte. Questa forte pulsione induce gli uomini a usare la violenza per primi come impulso reattivo di autoconservazione e in questo modo danneggiano, in realtà, il loro primo mezzo di sopravvivenza, ovvero la socialità. Il panico è tanto più devastante quanto più debole è la coesione psicologica delle persone in preda ad esso. Per questo, la gestione della paura è la prima fonte del potere, la cui prima opera è eliminare l’angoscia (la paura dell’ignoto) e fabbricare delle paure identificabili, “convertendo il pericolo indefinito e ignoto in preciso oggetto di timore o di aggressione”.1
Nel teatro greco del V sec. a.C. nasce la tragedia, genere serio e alto che educa la polis attraverso il mito. Concentrandosi su momenti di crisi, essa porta la comunità a confrontarsi su temi politici e morali, valori tradizionali e nuovi. Funzionale a ciò è la sua caratteristica principale, ovvero concentrarsi non sull’esito della storia, ma sul come si arrivi a tale finale. A rifletterci su, sembra quasi ovvio: se a inizio film ci viene detto che il protagonista morirà, è la nostra curiosità a spingerci a continuarlo.
Le tragedie moderne sono innumerevoli, ma vorrei concentrarmi su una in particolare. Scritta da Montagu Slater, musicata da Benjamin Britten e basata sul poema The Borough di George Crabbe, si tratta di Peter Grimes, un’opera in tre atti andata in scena per la prima volta il 7 giugno 1945 al Teatro Sadler’s Wells a Londra.
Il prologo ci dice già tutto ciò che dobbiamo sapere: nel Borgo, il sindaco e avvocato Swallow conduce l’inchiesta per fare luce sulla misteriosa morte del mozzo di Peter Grimes, vecchio pescatore, burbero e già da tempo osteggiato dai suoi compaesani. Grimes testimonia in propria difesa: a seguito di una pesca proficua, il vento era cambiato e dopo tre giorni in mare aperto senza acqua il ragazzo era morto. Aveva, quindi, gettato il carico di pesci per raggiungere in fretta la riva e cercare aiuto, ma ormai non c’era più niente da fare. Swallow scagiona Peter, pronunciandosi per una “morte per cause accidentali”, ma lo ammonisce a non assumere altri mozzi, se non pescatori adulti e in forze. Il pescatore, però, protesta: ci vuole un processo per dimostrare la sua completa innocenza e far zittire una volta per tutte le malelingue del suo paese, ma l’avvocato fa sgomberare l’aula.
Ovunque vada, Peter Grimes porta l’inquietudine con sé e non aiuta il fatto che egli preferisca lavorare sul mare anche quando la tempesta si avvicina, pur di non stare assieme ai suoi compaesani; il disprezzo è reciproco, dato che nel Borgo ci sono fanatici come Boles che vorrebbero solo sbarazzarsi di lui. La sua unica amica è la vedova Ellen Orford, che si offre di andare all’orfanotrofio a prendere John, il nuovo mozzo per Peter, il quale lo porta subito a casa.
Il vero motivo per cui egli lavora così incessantemente è che vorrebbe sposare Ellen e farle condurre una vita rispettabile con i risparmi ottenuti dalla pesca.
Qualche settimana dopo, accompagnando John a messa, Ellen nota dei lividi sul suo corpo. Come se non bastasse la preoccupazione, poco dopo arriva Peter a reclamare il suo mozzo per andare a lavorare, nonostante sia domenica. Ellen protesta e lo assilla di domande sull’origine di quei lividi e Peter ne è talmente infastidito che la colpisce: alla scena assiste Boles, che aspetta appositamente l’uscita dei cittadini dalla messa per aizzarli e dirigerli verso casa di Grimes. Lì, il pescatore avverte l’arrivo della folla inferocita e incolpa John di avere la lingua troppo lunga. I due escono dal retro della casa, che dà su una scogliera, ma, nella concitazione della fuga, il ragazzo precipita. Quando la folla arriva, la casa è vuota e apparentemente tranquilla, ma Balstrode sospetta che qualcosa di terribile sia successo…
Anche durante il ballo di paese, i sospetti sulla colpevolezza di Grimes aumentano, specie da parte dell’anziana e bisbetica Mrs. Sedley. È proprio lei a origliare una conversazione tra Balstrode ed Ellen, nella quale si scopre che quest’ultima ha trovato sulla spiaggia il maglione di John, ma nessuna traccia del ragazzo. Sedley corre ad avvertire Swallow, che, di fronte alla prova schiacciante, non può fare altro che mobilitare una caccia all’uomo. In una scena di grande tensione, l’intero paese grida il nome di Grimes, in modo ossessivo e famelico di vendetta. Nel frattempo, Ellen e Balstrode trovano il pescatore in preda a uno stato mentale delirante e ormai irreversibile: continua a rievocare le morti dei suoi due mozzi. Mosso dalla pietà, Balstrode lo conduce alla sua barca: non c’è altra soluzione ormai, se non andare al largo e sparire per sempre. Peter ubbidisce. All’alba, la notizia di un’imbarcazione che sta affondando viene accolta con indifferenza dal borgo.
Peter Grimes è un uomo solo. Non sappiamo se per scelta o per necessità, ma, nel corso dell’intera opera, è come se il resto del borgo ne fosse respinto magneticamente. È chiaro che Grimes non appartiene alla comunità, che si comporta come un branco che deve eliminare ogni elemento estraneo per garantire la propria sopravvivenza. Nessuno sta veramente dalla sua parte (o, almeno, è così che lui vede le cose): la vedova Orford sicuramente gli dimostra affetto e cura, ma persino lei arriverà a dubitare di lui, per pietà del giovane John.
L’unico crimine di Peter è stato volere una vita migliore, al di sopra del ruolo che aveva assunto nel microcosmo del borgo. Tuttavia, è proprio l’ambiguità la vera forza dell’opera di Britten e Slater: se, in un primo momento, sembra ovvio prendere la parte del più debole osteggiato da tutti, Peter Grimes non ci rende certo il lavoro semplice. È burbero, chiuso e “scomoda” la pace del borgo; non ci è dato sapere se la morte dei due mozzi sia (almeno indirettamente) opera sua o no. Non possiamo, quindi, giungere a una conclusione unitaria e la tragedia consiste proprio in questo: a chi dovremmo credere? Può la verità stare nel mezzo anche quando si tratta di due morti innocenti?
Non sarà l’ultima volta che il teatro novecentesco porta sulla scena una comunità che si unisce nell’eliminazione del capro espiatorio: La visita dell’anziana signora di Friedrich Dürrenmatt parla esattamente di ciò. In questo caso, è la cupidigia che determina la violenza di gruppo contro il singolo; ne parlai già in questo articolo, ma ribadisco nuovamente l’intenzione del drammaturgo svizzero, ovvero rappresentare la tragedia della non-moralità, della supremazia dell’“avere” sull’“essere”.
Per riassumere: la sopracitata anziana signora Claire Zachanassian torna a Güllen, suo paese d’origine, per realizzare la sua agognata vendetta contro il suo ex amante Alfred Ill. Basta l’offerta di un miliardo a smuovere le coscienze di Güllen e qualcosa inizia a rimestarsi negli abitanti… Inutile dire che la tentazione del vile denaro ha la meglio sul già vacillante senso etico dei concittadini di Ill, che ormai è spacciato. L’ostilità di tutti contro uno porta il malcapitato a fare un ultimo tentativo per salvarsi e corre alla stazione dei treni, dove, però, gli viene fisicamente impedito di lasciare il paese. Una riunione straordinaria, infine, decide il destino di Alfred Ill: sarà, anzi, deve essere giustiziato, per il bene del paese. A nulla sono bastate le pressioni verso di lui (il borgomastro gli aveva addirittura consegnato un’arma per suicidarsi, in modo da “risolvere” la questione), dunque è presto detto, presto fatto. Ill viene ucciso e la sua morte viene dichiarata frutto di un arresto cardiaco. Claire consegna il miliardo e lascia la città di Güllen, che, per ottenere denaro, ha sacrificato la propria moralità, oltre che una vita umana.
È possibile provare compassione per Alfred Ill e Peter Grimes? O è più probabile che, se ci trovassimo in tale situazione, ci comporteremmo come Güllen o il Borgo? Britten, Slater e Dürrenmatt pongono la questione del cum-patire e della moralità come una scelta obbligata, in cui, però, non c’è una risposta giusta; non perché siano ugualmente valide, ma proprio l’opposto! Non c’è giustizia, solo contraddizione e ambiguità.
Claire Zachanassian abbandona Güllen dopo il misfatto, ma non ci è dato sapere se si sia pentita o sia ancor più soddisfatta della brutta fine di Ill. Allo stesso modo, il Borgo si sveglia sereno dopo che l’elemento estraneo si è finalmente tolto di torno, senza che alcun cittadino abbia dovuto rimetterci la faccia o un altro innocente mozzo la vita. I due paesi possono continuare a vivere tranquilli e il merito è solo del peggior tipo di odio: la loro indifferenza.
Note
- Per maggiori approfondimenti: C. Bernardi, Eros. Sull’antropologia della rappresent-azione, EDUCatt, Milano 2015.