Beef – Scontro Interiore
Prima che tu esploda, ti fermo subito. Rewind. Si riavvolge il nastro fino al principio; prima del “respira”, “rilassati”, “devi liberare la mente”; prima del lavoro, lo stress, le aspettative. Il dramma della scelta originaria si rintraccia in due figure, distese su un terreno scuro, fangoso, primordiale: sono in posizione fetale, l’una distesa dinanzi l’altra, luminose. In quell’istante esistono solo loro, il mondo attorno si è fatto vuoto e silenzioso come nello spazio remoto. Poi il Big Bang, e Amy e Danny vengono catapultati nella loro vita, a Los Angeles, tra le auto, Twitter, quelle piccole invenzioni rettangolari chiamate banconote e il rumore assordante del “andrà tutto bene, devi solo calmarti.”
Beef (titolo originale) è un prodotto su uno scontro con un’imposizione: caduti nella metropoli degli angeli, i due protagonisti si trovano intrappolati in una briglia di attenzioni, aspettative, premure e desideri, il più grande dei quali cita “abbi successo”. È un mantra che si ripete di bocca in bocca, di telefono in telefono e che per mail invia le norme di comportamento affinché l’individuo sia bilanciato, stabile, affidabile, comunicativo, produttivo. Ma che succede se non riusciamo a seguirle?
La miniserie Netflix del 2023 ce lo racconta introducendo due personaggi impegnati ad arrancare nel ballo della vita, nella continua ricerca dell’autoaffermazione che comporta il vivere nella società degli imprenditori digitali e dei life coach. Amy e Danny appaiono molto simili nel loro disagio esistenziale: entrambi cercano validazione dalla propria vita lavorativa rimanendo, allo stesso tempo, estremamente frustrati da essa; faticano a trovare un equilibrio tra l’ego produttivo e il dispensamento altruistico di attenzioni nei confronti di familiari. Due vite a metà, spezzate tra il desiderio di essere e quello di vivere. Sono due figure doloranti; afflitte, però, da un dolore incomunicabile.
Ammansito prima dal marito di Amy che le insegna esercizi di contenimento della rabbia, poi dai genitori di Danny che ricordano come la compostezza e la focalizzazione sui propri obiettivi siano virtù di valore incommensurabile, e infine dalla società che minaccia una ritorsione ogniqualvolta uno dei suoi componenti viola le proprie regole normative1, il dolore del singolo viene celato forzatamente dietro un sorriso. Lo Scontro (titolo italiano) assume valenza narrativa allora in primis come presenza del suo opposto. Quando li incontriamo, la costrizione a seppellire la rabbia sotto un velo di cordialità è la corona di spine che devono indossare i due protagonisti. Non può non suonare familiare la condizione di Amy e Danny, una condizione autoctona di quel mondo estremamente contemporaneo che Byung-Chul Han2 descrive perfettamente con queste parole: “La collera è una facoltà in grado di interrompere uno stato e farne iniziare uno nuovo. Oggi essa cede sempre più all’irritazione e al nervosismo, che non sono in grado di produrre alcun mutamento incisivo.”3
Così, le vite dei due protagonisti procedono, incomplete e irritate, fino a che non si incontrano. Specchio l’uno dell’altra, essi vedono l’incarnazione del proprio disagio sul volto dell’altro, odiandolo. È solo con la riflessione dello sguardo su di sé attraverso l’altro, in un modo un po’ lacaniano, che il nervosismo incontra il limite del sopportabile. Se i due erano accomunati, nell’incipit, da un disagio interiore, lo saranno nuovamente in funzione dell’impossibilità di sopportare oltre il malessere che esperiscono entrambi, portandoli a una forte presa di coscienza. Dunque, la battaglia che intraprendono è da considerarsi necessariamente nei confronti del proprio riflesso, di sé stessi. È una guerra guidata dalla frustrazione, dal desiderio di essere come gli altri, di fare parte di una comunità, contro un avversario imbattibile e sempre presente come un’ombra ancorata alla propria esistenza. Una guerra il cui fine è l’annientamento, annichilimento dell’avversario così simile e, simultaneamente, così distante da tutto ciò che è socialmente riconosciuto, da tutto ciò che è ritenuto norma. Siamo davanti a una lotta cieca, sintomo di una contemporaneità individualista, una lotta che mette in risalto il sentimento di inadeguatezza e spaesamento universale, indipendente da classe, genere o etnia. Sotto il fuoco della guerra, la famiglia di entrambi cade. Brucia tutto ciò che a loro è più caro: marito, figlia, fratello, cugino. Ogni legame lavorativo e affettivo diviene cenere e da essa rinascono come fenici.
Un corvo li ha accompagnati per tutto il viaggio. Similmente al mitico compagno di Odino, ha volato sopra i campi di battaglia e i corpi dei caduti, cibandosi delle carcasse. Ora, da simbolo della guerra esso riappare per tramutarsi, risemantizzarsi in altro proprio come le vite dei due protagonisti abbandonano l’ascia per una stretta di mano solitaria. Metamorfosi, trapasso e rinascita: il corvo accompagna nel cambiamento cibandosi della carne marcia e liberando i due dall’eccesso terreno della vita precedente. Tornati in una dimensione pre-natale, fetale, riacquistano la vita perduta attraverso il concepimento. Ora, sono solo Amy e Danny e si riconoscono, si vedono e si accettano l’un l’altra, dandosi la possibilità di esistere nella cenere, nelle rovine o, più letteralmente, nel deserto californiano. Nell’isolamento di coppia che viene raccontato interamente nel finale di stagione, trovano una forma di esistenza nuova, esterna alle norme sociali della vita precedente: è una relazione peculiare, intima, costruita a partire da sé e per sé. Come i protagonisti di Nomadland di Chloé Zhao o Grizzly Man di W. Herzog, Amy e Danny decidono di vivere al di fuori, cucendo la quotidianità sulla propria pelle, la propria esperienza. Esule o eremita, la fenice vola ora sopra le colline di L.A., sopra la scritta “Hollywood”, sui grattacieli, i senzatetto, i miliardari, sopra Venice Beach o l’Osservatorio; vola e pensa, prima che il ripetitore si agganci nuovamente, ancorandola al suolo: “Sai una cosa? Ce lo scordiamo, ma Los Angeles è bellissima”.
Note
- A questo proposito si ricorda l’episodio in cui Amy, in seguito all’inseguimento in macchina con Danny, cerca nervosamente di celare l’evidenza della sua colpevolezza. Ella si sente braccata da una società che cerca, ad ogni costo, un nome da allegare all’infrazione stradale ma, soprattutto, comportamentale. L’istanza punitiva e ritorsiva del corpo sociale culmina poi quando uno dei suoi componenti, Naomi, decide di perseguire le indagini per conto proprio e scopre della responsabilità di Amy, finendo per ricattarla.
- Abbiamo approfondito il pensiero di questo importante filosofo contemporaneo nell’articolo di Erika Pagliarini, “Stanchi e distrutti”, https://rivistaeclisse.com/2024/01/23/stanchi-e-distrutti/.
- Byung-Chul Han, La Società della Stanchezza, Nottetempo, Milano, 2016, p. 50.