La cultura dell’odio

L’odio è un’emozione negativa e intensa, un atteggiamento istintivo che, se alimentato, porta al compimento di azioni deplorevoli, eticamente e umanamente. Purtroppo, i mezzi con il quale diffonderlo si sono sempre più differenziati e, nell’epoca in cui ci troviamo, il protagonista emergente è il mondo dell’internet ormai sede della cancel culture.
La mentalità dell’odio e della “cancellazione” di determinati individui ha messo le proprie radici nelle piattaforme mediatiche andando a estendersi ben oltre la realtà culturale e sociale da cui ebbe origine negli anni Ottanta. Ebbene sì, nel 1981 il gruppo musicale Chic compone una canzone chiamata Your love is cancelled paragonando per la prima volta in assoluto la rottura di un fidanzamento al cancellamento di uno show televisivo; il paragone viene ripreso dalla cultura popolare e permane nell’immaginario collettivo fino al 2015, quando, a partire dal mondo di Twitter – ora X -, si associa definitivamente l’atto del cancellare al distaccarsi completamente e ostracizzare un certo individuo che ha attuato comportamenti altamente discutibili, se non persino illeciti.

Il Merriam Webster Dictionary1 dà spazio alla definizione di questo fenomeno descrivendolo come “La pratica o la tendenza a cancellare in massa come mezzo per esprimere disapprovazione ed esercitare pressione sociale”, laddove per cancellare viene inteso l’atto di togliere il supporto nei confronti di celebrità o associazioni, specialmente sui social media.
Per quanto sia corretto il concetto di allontanarsi da determinati individui o ignorarli come conseguenza alle azioni negative compiute, la cancel culture è pressoché diventata un appiglio su cui gli haters vanno ad aggrapparsi con tutte le loro forze pur di poter seminare odio digitale.
Infatti sono parecchie le persone che non si limitano alla disapprovazione personale di una celebrità, ma procedono piuttosto alla diffusione di commenti negativi che finiscono nello sfociare in atti di cyberbullismo, talvolta diffamazione o peggio ancora vere e proprie minacce di morte e istigazione al suicidio.

(Fonte: http://corrierenerd.it/)
A testimoniarlo abbiamo un recentissimo episodio risalente allo scorso Ottobre, quando Vincent Plicchi, Inquisitor Ghost su TikTok, si toglie la vita in diretta traumatizzando un gran numero di spettatori che, impotenti, hanno solo potuto assistere al compimento del gesto. Vincent è considerabile vittima di questa cultura della cancellazione che, senza troppi indugi, si è accanita nei suoi confronti in modo spietato, non lasciandogli via di scampo. Alla base della decisione drastica presa dal ragazzo vi erano sia una forma di instabilità psicologica, che ha gravato sulla sua situazione già delicata, sia mesi di false accuse2 e minacce varie che lo hanno perseguitato fino all’ultimo.
Prima che la tragedia avesse luogo, fu additato come pedofilo da un piccolo gruppo di colleghi streamer il cui obiettivo era quello di scovare i groomer presenti nel mondo del cosplay digitale; tuttavia, non trovando prove concrete e necessarie per denunciare Vincent, ne hanno create di fittizie, iniziando così il meccanismo di cancellamento che ha sempre piú logorato il TikToker, i cui messaggi privati consistevano in continue minacce. Queste non erano rivolte solo a lui, ma si estendevano anche ad amici e famiglia, e persistevano alimentate dalla convinzione che fosse giusto esiliare e boicottare la vita di un individuo ancora prima che fosse possibile provarne l’innocenza.

(Fonte: http://corriereadriatico.it/)
Se pensiamo al fatto che eventi simili possano accadere a chi non ha commesso alcun crimine, proviamo a metterci anche nei panni di chi un crimine l’ha commesso e chiediamoci: quanto è possibile intraprendere un percorso di riabilitazione in un contesto così ostile?
Dopotutto, nel momento in cui si compiono atti illeciti o moralmente discutibili, a prendersene carico sono tribunali, forze dell’ordine o comunque figure professionali adatte a trattare il problema. Sicuramente il giudizio definitivo non sta al popolo dell’internet, che spesso si fa mero portatore di odio e critiche senza avere i mezzi adeguati per poter comprendere il problema. Ne segue una gran quantità di “paladini della giustizia”, che utilizza come scusante ai propri comportamenti d’odio proprio l’illecito commesso.
A tal proposito consideriamo l’altrettanto scottante caso Ferragni3, che a partire da Dicembre ha logorato la cronaca italiana. Sapranno tutti, anche solo per menzione, della pubblicità ingannevole con la quale ha sponsorizzato i propri prodotti, sostenendo di donare i fondi ricavati dalla merce venduta a determinati enti benefici.

(Fonte: http://affaritaliani.it/)
Sorge scontato non condividere eticamente ciò che è stato commesso, e altrettanto spontanea è la volontà di prendere le distanze da una celebrità le cui azioni non si allineano più con il nostro pensiero. Quello che risulta preoccupante è la quantità di persone che, anziché prendere in considerazione il problema della truffa in sé, hanno utilizzato la pessima gaffe di Chiara Ferragni per inveire contro la sua figura e contro la sua famiglia.
Purtroppo siamo a conoscenza del body shaming a cui l’influencer è costantemente soggetta, e la situazione attuale ha ulteriormente incentivato e concentrato l’odio nei suoi confronti finendo per superare nuovamente i limiti e costringerla ad allontanarsi dai social per tutelare la sua salute mentale.
Nonostante Chiara non si sia mai esposta a riguardo, mantenendo sempre un volto professionale, è semplice immaginare la numerosa dose di messaggi che una celebrità del suo calibro avrà ricevuto ogni giorno; in maniera altrettanto semplice possiamo presumere quanto sia difficile ignorarli e cercare di redimersi lavorando sui propri errori.

Il problema della cancel culture consiste esattamente nell’impossibilità di reintegrare funzionalmente nella società tutti coloro che hanno attuato comportamenti simili. In un contesto giudicante, dove ci si ritrova costantemente sotto i riflettori, come ci si può riabilitare? Il soggetto soggiogato dall’odio e dal giudizio agirà sempre in virtù di questi, non si riabiliterà mai completamente poiché qualsiasi azione che tenterà di intraprendere verrà vista con sospetto o, ancor peggio, verrà compiuta con vuotezza d’animo, finalizzata a ritrovare consenso pubblico e senza una vera crescita personale.
Dunque il nostro compito in quanto pubblico non dovrebbe risiedere nel condannare puntando il dito, quanto più nell’aiutare proattivamente in questa ricostruzione umana. Senza partire con pregiudizi ma con leggerezza d’animo, imparando a nostra volta dagli errori commessi da altre persone e concedendo una seconda possibilità a chi sta cercando operosamente di reintegrarsi.
Note
- Definizioni cancel culture e to cancel sb: Cambridge Dictionary, Merriam Webster Dictionary per cancel culture, Merriam Webster Dictionary per cancel verbo.
- Approfondimenti caso Vincent Plicchi: La Repubblica, Il fatto quotidiano, Cosmopolitan.
- Approfondimenti caso Ferragni: Francesca Bugamelli per ricostruzione antecedenti, Irene Usbergo per ricostruzione fatti.
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