
Premessa
Allə nostrə lettorə forse risulterà strano, ironico o incoerente aver scelto l’odio come tema di questo editoriale di febbraio, da moltə considerato il mese dell’amore, per estensione dal giorno degli innamorati, San Valentino. Sarà che un editoriale, all’amore (o, meglio, all’eros), l’avevamo già dedicato, sarà che la Redazione in sessione si è incattivita: eccovi Versus, l’editoriale che ci ha fatto entrare nella nostra villain era, come dicono i giovani.
Più seriamente, il tema dell’odio e del conflitto bussa ormai alla nostra porta da parecchio tempo e i fatti del mondo non sembrano intenzionati a cambiare le cose: le campagne politiche sembrano diventare sempre più spesso attacchi personali agli avversari, sui social è ormai impossibile non imbattersi in commenti e post inferociti – quando non apertamente insultanti e/o discriminatori – e i notiziari sono dominati dai resoconti di conflitti le cui radici sono riscontrabili principalmente nell’avidità e nel disprezzo etnico-religioso.
L’odio, d’altronde, è sempre stato una delle armi più potenti della propaganda, quando debitamente indirizzato: Hannah Arendt docet. Alcunə possono addirittura arrivare a pensare che l’odio e i conflitti che ne derivano siano intrinseci della specie umana; non a caso uno dei primi episodi biblici relativi alle azioni dell’uomo sulla Terra parla di un odio fratricida e pure la Teogonia di Esiodo non lesina racconti di guerre tra titani, dèi, e via dicendo.
È difficile descrivere cos’è l’odio, perché si tratta di un’emozione complessa, forse di una miscela di più emozioni (un po’ come per la sua controparte, l’amore). Invidia, rancore, antipatia, rabbia, senso di inferiorità, paura – tutto questo e, spesso, qualcosa di più ineffabile e inesplicabile, possono essere sensazioni che moltə di noi associano all’odio o a forme di odio, ma scommettiamo che, se doveste spiegare esattamente perché odiate una persona, o un gruppo di persone, scoprireste ben presto che sarebbe estremamente complicato tradurre a parole quello che state provando, anche se forse un paio di scuse razionali le potreste anche trovare. Non a caso, sui social è proliferata una vera e propria cultura dell’odio, che si declina nelle tante forme che piagano la sezione commenti, generalmente accomunate, però, da un’estrema semplicità di articolazione. Quante volte vi è capitato di leggere un insulto, magari attinto dal mare magnum di -ismi e -fobie su cui sempre più spesso fa leva il dibattito pubblico, lasciato poi senza contesto, spiegazione, razionalizzazione? Quante volte vi è capitato di provare a discutere con qualche utente inferocito, magari spiegandogli la fallacia di alcune sue argomentazioni, per poi accorgervi che nulla può la logica contro la forza distruttrice dell’odio cieco, che spesso chiamiamo “la pancia”? Per la vostra salute mentale, speriamo raramente.
In questo editoriale, due articoli hanno affrontato il tema dell’odio sui social: Erika Pagliarini, a pagina 2, si è occupata della cancel culture e dei suoi meccanismi, talvolta tragici e reali anche una volta effettuato il log off. Michele Carenini, invece, ha voluto parlare delle forme dell’hate-speech su Internet, cui – per fortuna, aggiungiamo – controbattono modelli positivi, come quello di WeAfricansUnited: per un po’ di ottimismo, andate a pagina 6. La lingua, tuttavia, può essere foriera di messaggi d’odio e discriminazione anche in maniera più subdola e composita: del tema si occupa Gioele Sotgiu, a pagina 4, concentrandosi sul valore sessista intrinseco ad alcune nostre abitudini (socio-)linguistiche.
Gli altri due articoli dell’editoriale, come da stile dell’Eclisse, riflettono sulle declinazioni artistiche del tema del mese. Non c’è da stupirsi se sia Vittoria Tosatto (pagina 3) che Matteo Paguri (pagina 5) abbiano scelto di parlare di opere drammatiche. Prima lezione di sceneggiatura di qualsiasi scuola o corso nel mondo: il dramma deriva dal conflitto.
Vittoria, allora, ci parla di due opere teatrali, Peter Grimes di Montagu Slater e Benjamin Britten e La visita dell’anziana signora di Friedrich Dürrenmatt, in cui il conflitto sgorga proprio dall’odio di una comunità verso un singolo; Matteo, invece, analizza la miniserie Netflix trionfatrice agli ultimi Golden Globes – e qui basta il titolo: Lo scontro (Beef).
Lə lettorə ci perdoneranno una premessa un po’ più lunga del solito: l’argomento, battute a parte, necessitava di qualche riflessione in più. L’abbiamo già detto molte volte, ma è bene ripeterlo: il 2024 è l’anno in cui più di 4 miliardi di persone in tutto il mondo saranno chiamati alle urne e state pur certə che l’odio sarà centrale nel discorso politico. Imparare ad analizzarlo, sviscerarlo, neutralizzarlo, per presentarsi in cabina elettorale scevri da sentimenti costruiti a tavolino da leader d’opinione, non può che giovare alle nostre democrazie sempre più fragili.
Buona lettura,
[…] l’angolo e fenomeni di mobbing e cancel culture sono all’ordine del giorno: ne aveva parlato Erika Pagliarini nel nostro editoriale di febbraio, dedicato al tema dell’odio. Vivere su Internet, con Internet, sfruttando il web per scalare la montagna capitalista, vuol dire […]