La fantascienza, soprattutto nella sua accezione spaziale, non sarebbe come la immaginiamo oggi, se alcuni fondamenti artistici non fossero mai stati creati. Se ne potrebbero menzionare meritatamente moltissimi, ma fra quelli più influenti spicca inevitabilmente 2001: Odissea Nello Spazio del regista Stanley Kubrick, uscito insieme ad un libro che porta il medesimo titolo. Quest’ultimo, infatti, anticipa di un solo anno l’allunaggio e mette in scena, con degli effetti speciali che potevano risultare effettivamente spaziali per l’epoca, la propensione e il viaggio dell’uomo verso quell’estensione ultraterrena e interstellare che, da sempre (e soprattutto in quel periodo), affascina la mente umana.
La fine degli anni Sessanta, in effetti, era particolarmente propizia per la realizzazione di un film del genere, non solo per l’inerzia che la fantascienza tutta stava vivendo sin dal decennio precedente, bensì specialmente in quanto quegli anni avevano un’apertura molto forte verso il tema dello Spazio. Non a caso, era il periodo nel quale fece capolino sulla scena musicale il genere definito space rock, nato dalla psichedelia: mediante vari effetti sonori e le tematiche dei testi, si tentava di ricreare quel senso di mistero e ricerca che gli astri infliggevano alla gente e alla mente. Ciononostante, occorre chiedersi se 2001 sia “solo” un film di fantascienza e niente altro. Resta chiaro che l’espediente narrativo sia, effettivamente, azzeccato, essendo in grado di raccontare uno spicchio della vita futura dell’uomo e la possibile spirale catastrofista delle sue scoperte. Una predizione che trascende dalla Terra e dallo Spazio, toccando tematiche che, in effetti, sono tuttora oggetto di discussione e scontri dialettico-accademici: HAL 9000, il famoso e famigerato computer alla base della navicella nella penultima sequenza della pellicola, non è forse una forma di intelligenza artificiale?
I territori tematici toccati e analizzati, in realtà, sono molti di più. La pellicola ha due “piani”, per così dire: uno più superficiale, quello fantascientifico di cui sopra, e uno più profondo, che si fonda sui piccoli dettagli, le interpretazioni dei gesti e dei simboli. A differenza di altre opere, i due livelli non sono distaccati, ma si intersecano in maniera tale da sembrare uno solo. O meglio, il secondo pare esistere in favore del primo, per renderlo più complesso e, perché no, più completo. Tuttavia, è proprio per questa complessità che il film ha dato vita a innumerevoli interpretazioni, spesso discordanti tra loro, e divergenze legate all’effettiva difficoltà di comprensione per via dei più disparati stimoli.
In realtà, i suggerimenti sono presenti nel titolo stesso. 2001: Odissea Nello Spazio, uscito nel 1968, è un film che parla indubbiamente (anche) del futuro. Lo si comprende sin dal nome e da alcuni degli elementi, fra cui lo stesso HAL 9000, che sono appartenenti a tutt’altra epoca. Al tempo, in effetti, erano solo ipotesi.
Per farlo, però, parte dal passato. Le prime scene dell’opera riprendono la quotidianità sulla Terra prima ancora dell’evoluzione, quando i primati erano le forme di vita più avanzate. Man mano, in un’esistenza che appare scarna del suo significato, gli animali si rendono conto di avere delle capacità ben più utili e interessanti di quelle che avevano sempre utilizzato, percependo un certo gusto anche nell’uso della violenza. Danno vita a quel meccanismo di progressione che, per una serie di incastri quasi tragicomici, ha portato ai nostri giorni. L’umano, una volta preso piede nel mondo, non perde tempo e giunge alle scoperte lunari. La capacità di comprendere che i messaggi, o quelli che appaiono come tali, siano diretti verso Giove non è che il frutto sbocciato da quel meccanismo di cui sopra. Stesso discorso per il già citato HAL 9000. Dalle prime alle ultime scene, i personaggi non cambiano mai strada, nonostante possa sembrare così: a cambiare è solo l’ambientazione. Mantengono sempre la medesima rotta, verso i nuovi lidi che possono portare soddisfazioni maggiori e sconosciute.
Il monolite, oggetto criptico ma attrattivo, è stato, nel corso del tempo, interpretato in tantissimi modi diversi. Senza voler togliere nulla a nessuno di questi ultimi, sarebbe forse più opportuno considerare i momenti in cui il misterioso parallelepipedo entra in scena. Sono sempre occasioni di grande pathos in cui, prima le scimmie e poi gli uomini, sono dinnanzi – consapevolmente o meno – a un grande cambiamento nella loro esistenza. Il primate che scopre come l’osso possa essere impugnato a mo’ di arma è un grande momento per la Storia, pur in senso negativo: da lì è iniziato quel processo che poi avrebbe portato alla bomba atomica. Gli astronauti che recepiscono informazioni che giungono sino a Giove sono in procinto di formulare teorie e fare scoperte impensabili fino a quel momento. E così via, fino all’ultimo monolito, su cui si tornerà in seguito.
Attraverso il corso della Storia, l’uomo cade negli stessi sbagli che, puntualmente, lo portano a perire. Gli ominidi, dopo aver scoperto di potersi difendere e di essere in grado di attaccare, si sentono invincibili. Muoiono, però, in diversi sensi: per ovvietà biologiche, l’esemplare in questione è oramai di esistenza remota; al tempo stesso, questa specie viene spazzata via da parte dell’evoluzione. In fin dei conti, ricorrere ad armamenti rudimentali non era altro che un passo avanti nel grande pallottoliere del Tempo. Come loro, i “grandi” astronauti che hanno ricevuto l’onere e l’onore di raggiungere Giove in una navicella autogestita si considerano le importanti menti del loro tempo. Tutto sommato, non si può dare nemmeno loro torto. Ciononostante, inciampano nella medesima trappola e cadono vittime del computer da loro stessi creato. Un suicidio indiretto, se si vuole. Come quello dei primati che, per i loro piccoli sviluppi, sono finiti per trasformarsi in qualcosa, anzi qualcuno, di molto diverso. Persino quello che, apparentemente, potrebbe essere definito l’uomo intelligente di tutti, David, fugge da HAL, per poi farsi raggiungere dalle beffe del destino ai limiti dello spaziotempo, ben oltre Giove e ben al di là dell’Infinito. Proprio su David e su questa sua esperienza, in effetti, si basa il ragionamento centrale della disamina in questione, la quale parte dalle premesse esposte sino a ora.
David, stando a quanto mostrato nella pellicola, non è l’ultimo essere umano esistente nel nostro universo. Tuttavia, lo si potrebbe definire l’ultimo uomo. Trovandosi a fronteggiare, in uno scontro tanto grottesco quanto spietato, il suo “amico” HAL nel mezzo di una navicella spaziale persa nel nulla cosmico (letteralmente), esce vincitore dalla contesa. Questo non lo frena assolutamente dal continuare la missione che gli era stata assegnata insieme ai suoi, oramai defunti per mano di HAL, compagni di viaggio e dal dirigersi verso Giove. Nel tentativo di spingersi, pur con una sorta di zattera spaziale, sino a territori stellari ove nessuno si era mai recato, si immette in una turbina incomprensibilmente stroboscopica. Come ci arrivi e da dove compaia non è certo, anzi, però succede. Probabilmente era ciò che doveva capitare in virtù di quel meccanismo di progressione menzionato e descritto nella premessa. Senza questo cambio di rotta, l’essere umano non avrebbe potuto raggiungere un ulteriore stadio di evoluzione, forse tra i più epocali di tutto il suo trascorso.
Non è un caso nemmeno che, poco prima della sua partenza in questo nuovo angolo multiversale, compaia il penultimo monolite. Ancora una volta, il parallelepipedo, oramai assodato nella struttura narrativo-tematica del film, precede, anzi annuncia, che sta per verificarsi l’impensabile. E così, dopo la lugubre fine di HAL, si apre l’ultima sequenza del film: Giove e Oltre l’Infinito. Aprendo una piccola parentesi, pare che la suite Echoes dei Pink Floyd risulti, sia per la durata che per le atmosfere, perfettamente sovrapponibile alla sequenza in questione: se ne consiglia la sconvolgente visione, disponibile gratuitamente su YouTube. Tornando all’esperienza del nostro, quanto accade durante il suo attraversamento dello spaziotempo non è noto, men che meno comprensibile. Si può ipotizzare che quell’apertura lo abbia portato a visitare differenti universi e/o mondi esistenti, come giustificherebbero i diversi colori e le distinte ambientazioni che caratterizzano la scena minuto dopo minuto. Secondo dopo secondo.
Il viaggio, improvvisamente, si conclude in una stanza che presenta un pallore incomprensibile. Arredata in gusto quasi-neoclassico, appare come uno spazio chiuso, irraggiungibile, sigillato e separato dal resto di tutto quello che esiste al di fuori di quelle mura e di quelle poche stanze eleganti. David, forse ancora una volta spinto da pulsioni evoluzionistiche che non può controllare, scende dalla sua navicella, che scompare, ma accade l’irreparabile. Prima che lui se ne possa rendere conto, così come gli spettatori, si apre una spirale di tempo nella quale gli anni si restringono sino a diventare secondi. David osserva se stesso con qualche anno di più, seduto a mangiare nella tavola posta in mezzo alla sala principale dell’ambiente. La sua versione più vissuta rompe involontariamente un bicchiere: è la rottura del Tempo e dello Spazio, della Vita. Si volta e, alle sue spalle, nota che una figura fortemente debilitata è stesa sul suo letto: si tratta della sua variante anziana, prossima al decesso, oramai irriconoscibile e priva dei lineamenti che avevano caratterizzato il giovane astronauta. Nei pochi secondi che gli restano, appare un altro monolite, l’ultimo: David alza un braccio per raggiungerlo, in quanto questa volta è così vicino a lui, ma non ci riesce per la mancanza di forza. La visuale si avvicina a quest’ultimo per poi inquadrare il bambino stellare che, prima di svanire nello schermo nero, fissa lo spettatore. Il ciclo della vita è completato.
Senza troppi giri di parole, è chiaro che la storia in questione sia carica di significato e difficile da interpretare: può essere considerata come una sorta di rappresentazione del cambio di passo nella storia del mondo. Coerentemente con quanto scritto sopra, occorre anche cercare di capire come mai, dopo quella che può essere considerata la morte corporale di David, quest’ultimo si trasformi in un bambino in fase fetale e ancora all’interno dell’utero materno. Seguendo un ragionamento piuttosto pessimista ma sensato, 2001: Odissea Nello Spazio può essere visto come la disperata ricerca della specie umana di raggiungere quello stato di pace e benessere al quale tutti aspirano e che alcuni culti e alcune teorie riconoscono nel cosiddetto “nirvana”. Non a caso, sin dalla prima sequenza che ritrae i primati, si ha un marginale ma comunque persistente miglioramento delle condizioni di vita e di caccia delle scimmie, le quali scoprono l’esistenza delle armi e, conseguentemente, della difesa. Successivamente, la scelta di spedire David e compagnia in un viaggio verso Giove è figlia della medesima necessità: non solo vi è la curiosità scientifica di determinare il significato del messaggio riscontrato nel monolito lunare, ma la speranza che quel codice possa portare un’informazione utile all’umanità tutta.
Chissà, forse viene da sé anche il timore che il messaggio in questione possa essere infausto. Anche se non coscientemente, queste decisioni cercano di portare a uno stadio superiore, almeno per quanto concerne il benessere, l’esistenza umana e le sue condizioni di vita. E, come si vede nella pellicola stessa, questo accade sin dalla Preistoria senza particolari risultati. Nemmeno David, che riesce a superare lo spaziotempo e a recarsi in una stanza che trascende i limiti fisici imposti per natura all’uomo, trova una soluzione a questo quesito esistenziale e onnipresente. Tutt’altro: muore senza successo e, subito dopo, viene sbeffeggiato dal destino stesso, trasformandosi in ciò che era stato molto tempo prima.
Come riportato in bibliografia da Clarke2, co-autore di 2001 sia nella versione cinematografica che in quella letteraria, si vide durante la collaborazione con Kubrick la possibilità di porre David in un destino ignoto nel finale, scegliendo poi di farlo regredire all’infanzia. Però per molti, se non quasi tutti, l’ignoto è effettivamente rimasto. Potrebbe sembrare un passo indietro, ma non è. Forse, il “succo” del film e, perché no, della vita, sta tutto in questi pochi fotogrammi. In poche parole, le persone, intese sia come individui che come specie, hanno passato e passano ancora la (loro) storia a cercare qualcosa che non potranno mai trovare, morendo spesso e volentieri senza successo. E, proprio perché l’ultimo monolite riporta alla fase fetale della persona, si può intendere come quello stato di pace e benessere sia, di fatto, irraggiungibile per natura. Anzi, la pace dello stato fetale potrebbe essere individuata come il grande traguardo, che però viene vissuto solo in un momento in cui non si hanno ahinoi le capacità psico-fisiche per rendersene conto.
D’altronde, come segnalato anche da Enrico Ghezzi nella sua ricerca sul film3, il parallelismo con la “vera” Odissea è evidente: lo stesso Ulisse, in mezzo e successivamente a innumerevoli peripezie, riesce a tornare a casa, salvo poi comprendere che non sarà più la stessa cosa malgrado la riconquistata normalità. Con una logica simmetrica, la specie umana che progredisce, inventa e intuisce tornerà sempre al suo punto di partenza senza comprendere e trovare ciò che realmente cerca. La sua inventiva si ritorcerà contro di sé colpendola alle spalle e ponendo fine alle sue risorse. Lo slancio sarà un salto nel vuoto e, ciclicamente, fallirà.
Come la “vera” Odissea, il nostro è il viaggio del ritorno. L’eterno ritorno, testimoniato anche dalla presenza del movimento sinfonico Also sprach Zarathustra di Strauss. Come la “vera” Odissea, non ci sarà meta se non il punto di partenza. A differenza della “vera” Odissea, però, non sarà l’intenzione, bensì la condanna (o forse no, chi lo sa…).
Note
- 2001 tra Kubrick e Clarke. Genesi, realizzazione e paternità di un capolavoro, Filippo Ulivieri/Simone Udino, autoprodotto, 2019.
- Stanley Kubrick, Enrico Ghezzi, Il Castoro Cinema, 2007.
di Alessandro Mazza
Nato nel 2002 in Romagna, sono studente all’Università di Bologna. Lo studio è, fortunatamente, fra le mie passioni, come lettura, musica e scrittura. Insieme ad altre meno “auliche”, come lo sport. Curioso per natura, mi pongo domande e cerco risposte, molto spesso senza successo, ma con conoscenze in più.