“Pensavo ci volessero ancora 30 o 50 anni per arrivare a questi risultati.
Oggi, ovviamente, non lo penso più”.
~Geoffrey Hinton1, Vector Institute for Artificial Intelligence (2017-2023)
Le parole che seguono sono state poste l’una dietro l’altra da me, Matteo Paguri, studente, umano. Oppure no?
Il dubbio cui indica l’incipit a questo testo è il dilemma con cui siamo costretti a confrontarci, sempre più di frequente, navigando in Internet: quello che ci si presenta all’attenzione è stato composto, creato o ideato da qualcuno, inteso come una persona in carne e ossa, oppure è frutto di un’intelligenza nuova, mimetica, intangibile ma profondamente simile all’umana? L’aspetto istintuale di questo quesito, derivante dalla natura “clonofobica” dell’essere umano, non rende porselo meno doveroso, specialmente se si tenta di comprendere e analizzare le modificazioni di senso e significato di un Testo2 a partire da una differenza di natura intellettiva. Nel momento in cui vengono scritte queste parole, la realtà, creativa ma anche (e soprattutto) di ricerca, muta forma esplorando metodi ed ausili nuovi che necessitano della nostra attenzione. Quando, in percentuale sempre maggiore, una mente nuova e parzialmente sconosciuta sostituisce quella umana proprio negli impieghi in cui era maggiormente presente (creatività e ricerca), credo sia umano e necessario interrogarsi sulle cause e gli effetti di tale sostituzione intellettiva e sugli eventuali danni e benefici.
L’orizzonte in mutamento, descritto in precedenza, deve molta della sua repentina trasformazione alla recente diffusione di piattaforme online che forniscono servizi di assistenza virtuale, il più famoso dei quali risulta essere ChatGpt.com. Quest’ultimo è il programma di assistenza virtuale su cui ho approfondito maggiormente le mie ricerche e a cui ho sottoposto i miei quesiti. Nonostante ciò, è necessario notare che molte delle risposte che tenterò di dare ai maggiori interrogativi sorti nell’utilizzo del programma valgono per numerose intelligenze artificiali e non solamente per quella in esame.
Se qualcuno dei lettori è mai venuto a contatto con ChatGpt, quantomeno prima che il sito venisse oscurato in Italia, ha avuto modo di rendersi conto della portata rivoluzionaria che questo nuovo tipo di intelligenza può avere e probabilmente avrà. Interattiva, capace di comprendere e adattarsi all’interlocutore, in apparenza onnisciente e capace di selezionare in modo calcolato le informazioni da restituire in seguito a una richiesta di qualunque tipo, l’intelligenza artificiale (IA) è uno strumento talmente utile che già viene utilizzato all’interno di vari organi di ricerca e istruzione di alto livello per ricerca di dati, riformulazione di testi, traduzione di saggi, creazione di sommari, linee di codice e quant’altro.
Sorge, dunque, la nostra prima perplessità: in che misura è lecito lasciare il lavoro di scrittore, correttore o suggeritore di bozze ad un programma come ChatGpt? Si profila un futuro prossimo in cui le pagine di giornale verranno riempite di bit e i temi di scuola si comporranno a computer decidendo quali macro-argomenti dare in pasto a un’IA? Nonostante non si possa escludere negli anni a venire che queste intelligenze possano svilupparsi tanto da mimare quasi alla perfezione i meccanismi che regolano la ragione umana, stando alla condizione attuale di queste menti-computer lo scenario che ci si pone dinnanzi non rende necessaria una reazione allarmistica. Una più pacata, tenente conto degli svariati apporti profittevoli o svantaggiosi che siano per la società e il bene comune3, è quindi da auspicarsi. In primo luogo, in quanto il funzionamento stesso del programma non sembra in grado di replicare le modalità ragionative di un umano ma, basandosi su un insieme molto vasto di esempi testuali, ne mima le strutture, le forme senza comprendere il movimento che porta alla loro formazione; in secondo luogo, poiché la forma è contenuto e il contenuto è forma.
Mi spiego meglio: come rappresentato dal lavoro di Emilio Isgrò4, forma, struttura, scheletro organizzativo e contenuto esistono in una necessaria o naturale simbiosi dante vita al testo. I silenzi, le pause, le cancellature e le spaziature, le sottolineature e i segni di interpunzione vanno a dare forma, intelligibilità e senso a un magma nozionistico e astratto a cui è preclusa l’etichetta Idea proprio per una mancante strutturazione formale. Al contrario, la forma sterile, prona per nessuno se non per sé stessa, cede al terribile fato di Narciso5 annegando nell’autocompiacimento e nella vuotezza di intenti. Facciamo un esempio. La messa in forma della frase precedente (come notato dalla correttrice a questo articolo, Vittoria Tosatto, N.d.A.) utilizza un’analogia poco al servizio del lettore e molto al servizio di sé stessa. Essa risulta pretenziosa e poco divulgativa: non viene infatti destrutturato il messaggio che si vuole trasmettere in parti più digeribili dal lettore, ma lo si ammanta dietro una coltre nozionistica e di rimandi testuali. Ora però pongo una domanda al lettore e chiedo: quale migliore esempio di forma al servizio del contenuto potevo fornire se non una struttura autocompiaciuta e sterile in simbiosi a un soggetto che narra la sua sterilità? La prosa, allora, porta a galla un esempio di un Testo in cui contenuto e forma narrano della stessa vacuità d’intenti, coniugandosi perfettamente e facendo entrare in risonanza le due sfere comunicative.
Chatgpt, al contrario, non sembra in grado di restituire nulla di simile. Si viene a contatto non con un’intelligenza ma con una simil-intelligenza o, per essere più chiari, un’entità che lavora analizzando menti altrui ricavandone una struttura ragionativa condivisa: un camaleonte intellettivo che si mimetizza tra la massa. È deducibile, dunque, come allo stato attuale delle cose un programma come quello in analisi non possa essere un sostituto al lavoro critico del correttore o quantomeno dello scrittore, del saggista o del poeta. Per subentrare a queste identità, dovrebbe essere in grado di organizzare in modo adeguato e ponderato insiemi tematici e/o nozionistici adattandosi ad essi e al messaggio che a partire da essi si vuole trasmettere. La sua natura di eco di schemi cogitativi preesistenti e già applicati ad altri contenuti lo rende, dunque, poco utile nella nascita di un testo formalmente convincente e incatena l’utente, che cerca di violarne la natura facendogli svolgere questo tipo di compiti, a un destino di revisore e, in molti casi, ri-scrittore. Di conseguenza, viene a crearsi un paradosso che non rende più scorrevole, né accurato il lavoro del saggista, ricercatore o scrittore ma, al contrario, lo rallenta costringendo a un controllo raddoppiato.
A questo punto il lettore si potrebbe chiedere: e se potesse ragionare tanto da restituirci un Testo che abbia senso di essere chiamato tale e non un insieme di lettere e parole che cadono piatte sulla pagina? Se in un futuro prossimo o lontano venisse programmato per sviluppare un raziocinio simile in tutto e per tutto a quello umano? L’ipotesi non è da escludersi e non credo sia da considerare nemmeno parte di un universo immaginario appartenente ai migliori film di fantascienza. Considerando i passi da gigante che le tecnoscienze hanno fatto nel corso degli ultimi decenni, sono quesiti che nascono da una visione consequenziale della Storia che, per quanto discutibile possa essere, rimane parte degli archetipi ragionativi della nostra specie. Se il futuro descritto dalla nostra ipotesi si realizzasse, allora, naturalmente il discorso condotto fino ad ora e, in particolare, le deduzioni tratte da esso, si capovolgerebbero. È presumibile che, in un universo in cui le macchine siano proprie di una ratio, queste potrebbero essere impiegate in svariate mansioni tra cui quelle di cui si discuteva in precedenza; tuttavia, è verosimile che l’impiego sarebbe sottoposto ad alcuni interrogativi. Se si suppone che un programma possegga un intelletto proprio e autentico, disancorato dal riecheggio di strutture cogitative precostituite, questo credo debba essere necessariamente riconosciuto di un’autonomia autoriale. Scrivere, parafrasare, correggere con ChatGpt nel futuro descritto equivarrebbe a servirsi dell’aiuto professionale di un altro essere umano competente. Sarebbe quindi necessario, a mio avviso, citare o rendere nota la partecipazione del collega elettronico proprio come si farebbe come una qualsiasi altra identità autoriale; non farlo sarebbe un vero e proprio furto, anche se ad un’intelligenza non appartenente alla nostra specie.
Altro e principale utilizzo che si fa del programma è la ricerca di informazioni dato che questi le restituisce in modo personalizzato, adattandosi all’utente nei modi e nella quantità di dati forniti. Strumento capace di restituire una grande quantità di dati e nozioni afferenti alle più disparate branche delle scienze che l’uomo è stato capace di esplorare, se utilizzato con superficialità però risulta ingannevole: perché? Troviamo la risposta in quelle scritte piccole, schiacciate a pié di pagina o a fine capitolo, molte volte sorvolate dall’occhio più ingenuo ma che validano un testo donandogli radici contestuali: le fonti. Ebbene, al giorno d’oggi, ChatGpt fornisce nozioni di toponomastica, fisica nucleare, chimica dei materiali o biopolitica, praticamente su tutto ciò che è conosciuto all’uomo, ma non sui materiali da cui attinge per rimodellare una risposta user-friendly, rinforzando quindi l’idea diffusa di una dicotomia verità/falsità univoca, non tenente conto della pluralità di pensiero né di opinione né di esperienza. Il contesto, a cui le fonti e le note rimandano, collega il testo a una visione specifica della realtà necessariamente parziale rispetto alla totalità delle esperienze e delle posizioni di pensiero. Eliminandole, non solo si priva del riconoscimento a centinaia di teorici, critici e pensatori per il lavoro svolto e pubblicato ma anche, e soprattutto, si sottintende che ciò che viene trasmesso sotto forma di testo sia una nozionistica epurata da qualsiasi connessione con la realtà del sensibile e dell’esperibile, rendendola simile all’idea platonica.
Sulle note a pié di pagina si chiude la nostra breve analisi delle intelligenze artificiali, delle preoccupazioni che generano e delle risposte per il futuro. Naturalmente con questo breve articolo non si è voluto in alcun modo insinuare che questo tipo di assistenti elettronici non debbano essere utilizzati: questi possono comunque essere applicati ad una serie vasta di compiti. Il nostro saggio si pone come una lista di avvertenze, di consigli: per il miglioramento nell’interazione tra uomo e macchina e per lo sviluppo di un approccio proficuo nella richiesta di assistenza affinché, tra utilizzo e utilità, non prevalga la sterilità.
~ ChatGpt.com
Note
- Geoffrey Hinton (Wimbledon, 1947) è un informatico britannico naturalizzato canadese noto per i suoi contributi sull’apprendimento automatico e l’apprendimento approfondito. Nel 2017 è entrato nel comparto di Google Brain, dove ha fondato il Vector institute for artificial intelligence di cui è stato consulente scientifico principale fino alla scorsa settimana, prima delle dimissioni giustificate dalla seguente citazione “Me ne sono andato per poter parlare dei suoi pericoli.” Per approfondire il punto di vista del pioniere delle intelligenze artificiali sul futuro prossimo che ci attende, rimando all’intervista in occasione delle dimissioni rilasciata al New York Times: ‘The Godfather of A.I. Leaves Google and Warns of Danger Ahead’ ( 01.05.2023).
- Si utilizza ‘testo’ con un’accezione semiotica e si riporta la definizione che U. Eco fornisce in Semiotica e Filosofia del Linguaggio, Torino, Einaudi, 1984, pp. 64: “Per testo si intende sia una catena di enunciati legati da vincoli di coerenza, sia gruppi di enunciati emessi contemporaneamente sulla base di più sistemi semiotici.” (La definizione richiama, dunque, l’idea di qualcosa che sta al di là della frase e, nello stesso momento, comprende elementi non verbali.)
- È evidente che questa costruzione linguistica possieda accezioni differenti a seconda delle convinzioni etico-politiche di ognuno. È altrettanto evidente che le riflessioni che seguono derivano da una personale semantizzazione dell’espressione in questione.
- Emilio Isgrò (Barcellona di Sicilia, 1937) è un artista concettuale, un pittore e un poeta. Lungo tutto il corso della sua attività artistica fa utilizzo delle ‘cancellature’, eliminando da testi preesistenti parti di scritto e così creandone di nuovi in equilibrio tra pieno e vuoto, tra presenza e assenza.
- Si fa riferimento alla versione di Ovidio presente nel terzo libro delle Metamorfosi.
[…] La fine degli anni Sessanta, in effetti, era particolarmente propizia per la realizzazione di un film del genere, non solo per l’inerzia che la fantascienza tutta stava vivendo sin dal decennio precedente, bensì specialmente in quanto quegli anni avevano un’apertura molto forte verso il tema dello Spazio. Non a caso, era il periodo nel quale fece capolino sulla scena musicale il genere definito space rock, nato dalla psichedelia: mediante vari effetti sonori e le tematiche dei testi, si tentava di ricreare quel senso di mistero e ricerca che gli astri infliggevano alla gente e alla mente. Ciononostante, occorre chiedersi se 2001 sia “solo” un film di fantascienza e niente altro. Resta chiaro che l’espediente narrativo sia, effettivamente, azzeccato, essendo in grado di raccontare uno spicchio della vita futura dell’uomo e la possibile spirale catastrofista delle sue scoperte. Una predizione che trascende dalla Terra e dallo Spazio, toccando tematiche che, in effetti, sono tuttora oggetto di discussione e scontri dialettico-accademici: HAL 9000, il famoso e famigerato computer alla base della navicella nella penultima sequenza della pellicola, non è forse una forma di intelligenza artificiale? […]