Dopo lunghi mesi di trepidazione, numerose speculazioni e marketing coinvolgente, il 3 maggio 2024 è stato pubblicato Radical Optimism, il terzo album in studio di Dua Lipa. Se con Future Nostalgia (2020), il suo secondo album, si è affermata nell’Olimpo del pop facendoci ballare con creativi omaggi a Kylie Minogue e Madonna, con questo progetto la diva anglo-albanese (originaria del Kosovo, Lipa ha ottenuto la cittadinanza albanese nel 2022, NdA) vuole farci nuotare con profonda calma tra gli squali a suon di pop dal (presunto) sapore psichedelico – come suggerisce l’immagine di copertina.
In altre parole, l’artista vuole trasmettere l’essenza di una vita all’insegna dell’ottimismo radicale, concetto coniato da Allegra Lab, un collettivo statunitense che pone il focus su un ottimismo resiliente e consapevole degli ostacoli che ogni persona può incontrare. Come riporta la biografia dell’artista su Spotify, piattaforma digitale per l’ascolto on demand di musica, «Radical Optimism è un album che attinge alla pura gioia e felicità di avere chiarezza in situazioni che in passato sembravano impossibili da affrontare. Gli addii difficili e gli inizi spinosi – che prima rischiavano di distruggere l’anima – diventano delle tappe fondamentali quando si sceglie l’ottimismo e si inizia a camminare con grazia attraverso il caos» [traduzione e grassetto miei, NdA].
Alla luce di ciò, un punto di forza dell’album è certamente la leggerezza che viene trasmessa dagli undici pezzi. Le ascoltatrici e gli ascoltatori vengono infatti catapultatə nella storyline dall’atmosfera squisitamente estiva di una Dua Lipa matura e sicura di sé che si prefigge alti standard nella sua vita personale. Il filo rosso che percorre tutto l’album è il mantra ripetuto costantemente dell’ottimismo, il quale viene espresso con dignità e tenacia attraverso testi gradevoli e canticchiabili. Dunque, dal punto di vista tematico esiste una certa coerenza negli alti e bassi che vengono narrati – dalla relazione destinata a finire di These Walls («But if these walls could talk / They’d tell us to break up»1) all’innamoramento inatteso di Whatcha Doing e Falling Forever.
Tuttavia, la coerenza tematica non trova una corrispondenza altrettanto convincente nelle sonorità. Un’aspettativa che non è stata soddisfatta è stata la produzione, affidata a una squadra ristretta che comprende Kevin Parker, la mente dietro ai Tame Impala, e Danny L. Harle, pilastro della scena elettronica londinese. In effetti, una delle dichiarazioni ricorrenti della cantante riguarda i riferimenti musicali da cui Radical Optimism avrebbe attinto, tra cui la psichedelia (della quale i Tame Impala sono tra i rappresentanti più celebri attualmente, NdA). Tuttavia, questi richiami non sono esplicitati adeguatamente: Radical Optimism è un solidissimo album dance-pop senza una vera reinterpretazione di tali riferimenti. L’unica eccezione evidente all’assenza della psichedelia è Houdini, il primo singolo pubblicato il 10 novembre scorso.
L’esperienza di Parker è sicuramente indicativa per comprendere la produzione di questo pezzo: come già citato, il musicista e produttore è il frontman dei Tame Impala, una band rock-psichedelica australiana in attivo dal 2007 che ha conquistato la popolarità a livello globale con Currents (2015), il loro terzo album. Tra le canzoni più famose di questo progetto figurano infatti pezzi psichedelici che strizzano l’occhio al pop e al rock, come The Less I Know The Better (singolo da un miliardo e mezzo di ascolti su Spotify, NdA), Let It Happen e New Person, Same Old Mistakes. Si capisce subito che dietro Houdini c’è lo zampino di Parker – il quale ha collaborato in veste di produttore con artistə come Lady Gaga (Joanne, 2016), Rihanna (Anti, 2016), Kali Uchis (Isolation, 2018) e The Weeknd (After Hours, 2020) – non solo dalla presenza delle tastiere e dei sintetizzatori, ma soprattutto dal loop della base. Perciò, limitare tale sperimentazione esclusivamente al primo singolo è un gran peccato in quanto il progetto avrebbe potuto rappresentare un cambiamento veramente radicale e degno di nota per la diva mondiale se si fosse optato per delle sonorità più audaci e convintamente psichedeliche.
Inoltre, al primo ascolto, le aspettative vengono un po’ deluse non per la qualità delle canzoni, bensì per l’eccessiva perfezione dell’album. Incredibile ma vero, carə lettorə! La perfezione è un difetto pesante di quello che, secondo le voci di corridoio, doveva essere “il miglior album” della carriera di Lipa, la quale ha scritto novantasette canzoni alla ricerca metodica – se non noiosamente pignola – del testo perfetto. È illuminante come Mattia Barro per “Rolling Stone Italia” parli di fredda eccellenza: «Radical Optimism sarà un disco di enorme successo perché […] ogni brano […] è potenzialmente una hit». Non è un caso che il fine settimana dopo la pubblicazione non ho fatto altro che ascoltarlo prima con lieve amarezza e diffidenza (chiedendomi dove fosse la psichedelia, NdA), poi con piacere e serenità, aggiungendo canzoni quali End Of An Era e Illusion alla colonna sonora della mia prossima estate in Sardegna.
Facendo riferimento all’ottica della fredda eccellenza, è lodevole che Dua Lipa tenti di aprirsi di più e di essere più vulnerabile con il suo ultimo album. Se in genere il racconto sincero di sé è una carta vincente (es. Elodie con Ok. Respira), in questo caso risulta un po’ ovattato, tenendoci ben distanti dall’interprete. Lipa vuole raccontarsi senza effettivamente dire nulla di sé, nel tentativo, forse, di universalizzare le sue esperienze cantate e non far entrare i dettagli della sua vita privata nella sua musica (a differenza di Taylor Swift con The Tortured Poets Department, il suo “diario segreto”).
In Radical Optimism, c’è tanto ottimismo ma niente di radicalmente innovativo o sorprendente dal punto di vista artistico o narrativo. Sebbene sia un progetto fresco ed estivo con ottime canzoni, non è convincente in toto. Mi auguro di cambiare idea nelle prossime settimane. Intanto, non posso far altro che domandarmi: cara Dua, dove hai lasciato la tanto vociferata psichedelia?
Note
- «Se queste pareti potessero parlare / Ci direbbero di lasciarci» [traduzione mia, NdA].
Gioele Sotgiu
Sangue sardo e cuore meneghino-teutonico, dopo la laurea in Lingue e Relazioni Internazionali all’Università Cattolica sono passato a Politiche Europee e Internazionali per non piangere davanti al lessico per gli esami di tedesco, la lingua del mio cuore (davvero). Mi piacciono la musica pop, la politica internazionale, la sociolinguistica, la comicità sagace e la cucina di mio padre. Se non sono tra le righe de L’Eclisse, potete trovarmi a cena fuori, in macchina con le mie amiche cantando Mai Più di Elodie o su un volo per Alghero.