Premessa
Che decidiate di restare in pigiama al mattino e indossare solo un maglione per sembrare presentabili durante le call da casa, che siate tra quelli che pensano «non ho niente da mettermi», o che abbiate un guardaroba composto da venti t-shirt tutte uguali, la scelta degli abiti che indossiamo richiede un momento di riflessione ogni giorno. Gli abiti sono infatti un modo per presentarci al mondo e raccontare chi siamo, a noi stessə e aglə altrə. Lo stesso corpo con un vestitino a fiori, con una camicia allacciata fino all’ultimo bottone o con un top verde acido fornisce di sé tre narrazioni differenti. Quel corpo può sentirsi a proprio agio vestendo sia i panni della signorina Rottenmeier che quelli di una brat girl, oppure essere nel mezzo di un tentativo di auto convincimento di identificarsi nell’una o nell’altra personalità. Le spiegazioni profonde appartengono a chi indossa i vestiti; le percezioni esterne, nel bene o nel male, si formano negli occhi di chi guarda.
Affermare che ci vestiamo soltanto per proteggerci dal caldo o dal freddo è riduttivo e superficiale: se questo è il ruolo dell’abbigliamento, alla moda va riconosciuto un valore sociale e simbolico estremamente potente. Basti pensare alla creazione della minigonna: un semplice capo che ha scosso le convenzioni e che oggi possiamo considerare parte integrante del processo di emancipazione femminile, come ci racconta Bianca Beretta nel suo articolo a pagina 4.
Con la fine dell’estate, il mondo occidentale è invaso dalle Fashion Week, che per una settimana paralizzano le capitali della moda, riempiendole di stilistə, giornalistə, modelle e modelli, di corpi, creazioni e riflessioni. Appena conclusi i red carpet di Venezia e degli Emmy a Los Angeles, iniziano le frenetiche settimane della moda a Londra, Milano, Parigi e New York. Osservando le sfilate, dalle prestigiose maison del lusso come Prada e Valentino ai marchi più giovani, possiamo osservare come vengono presentate le collezioni, quali modelli vengono scelti (qualche anno fa, una figura come quella di BigMama non avrebbe mai camminato in passerella), quali canzoni fanno da colonna sonora, chi è seduto in prima fila e chi manca. Nel nostro editoriale affrontiamo sia il fenomeno dei red carpet, analizzando le scelte di stile e narrazione discutibili (grazie al pezzo di Erika Pagliarini, che si concentra sull’iconica Blake Lively), sia un personaggio emblematico dell’industria del lusso, con una verticale su Moschino firmata da Luca Ruffini.Non mancano riflessioni sui problemi e le sfide che il settore della moda deve affrontare: come scrive Vittoria Tosatto, una prospettiva cruciale è offerta da Contro la moda – Un manifesto di Anouchka Grose, pubblicato in Italia da Wudz Edizioni.