Floreale? Per la primavera? Avanguardia pura.
L’origine dell’utilizzo di fiori, reali o stampati, nei vestiti è molto incerta, ma comune a moltissime culture; è verosimile che le stampe si siano originate in Oriente e siano poi state esportate in tutto l’Occidente in tempi successivi.
I primi commercianti portarono in Europa sete preziose decorate con disegni di fiori esotici, il che rendeva il tessuto ancora più pregiato. Le stampe più popolari erano quelle con le peonie, fiore originario della Cina, con petali grandi e dai colori brillanti. Prima di questi commerci, nessun occidentale aveva mai visto questa pianta! Perciò, bisogna dare il merito all’Asia per l’introduzione delle stampe floreali per i tessuti: basti pensare alla vasta gamma di specie botaniche a cui oggi abbiamo accesso. Le sete floreali, considerate un vero e proprio fashion statement durante la dinastia Tang (618-907 d.C.), al contrario, divennero molto più popolari nella scena della moda occidentale solo nel XIX secolo.
Grazie agli artigiani di Venezia e Firenze, splendidi velluti filigranati con disegni floreali si aggiunsero alle sete ricamate, arrivando fino alla corte di Luigi XIV. Qui, il sovrintendente della finanza Jean-Baptiste Colbert avanzò un piano per promuovere l’artigianato francese, ispirandosi ai prodotti esportati dai mercanti italiani. In Inghilterra, invece, le decorazioni erano maggiormente ispirate agli studi botanici dell’epoca. Inoltre, la manifattura di tessuti serigrafati rese i design floreali disponibili anche al grande pubblico, non solo alle classi più ricche che potevano permettersi di pagare le stoffe pregiate. La Rivoluzione Industriale contribuì ulteriormente, soprattutto nella diffusione del chintz, un tessuto in cotone di origini indiane, robusto e dalla finitura lucida. Finalmente, anche le donne dei ceti più bassi poterono acquistare abiti con decorazioni floreali ad un prezzo accessibile1.
Da questo momento in poi, ogni epoca ebbe un fiore che ne contraddistinse la moda: il girasole di William Morris (un fondatore delle Arts and Crafts2), le piante orientali nel Liberty3 degli anni ‘20 e l’ibisco sulle prime camicie hawaiiane degli anni ‘40, fino ad arrivare ai “figli dei fiori” negli anni ‘70.
Probabilmente, questo è l’esempio contemporaneo di abbigliamento floreale che più salta in mente. Assecondando il loro desiderio di liberarsi dalle imposizioni della società, gli hippie prediligevano un modo di vestire insolito e fantasioso, in modo da rendersi immediatamente riconoscibili gli uni agli altri. Dunque, questo stile simboleggiava proprio il loro rispetto dei diritti individuali e la volontà di mettere in discussione l’autorità. Oltre a sfidare le principali differenze di genere (uomini e donne portavano i capelli lunghi, i primi solitamente con la barba e le seconde spesso senza trucco né reggiseno), i vestiti erano caratterizzati da colori brillanti e tagli inusuali per l’epoca, come pantaloni a zampa d’elefante, indumenti tie-dyed4 e vestiario di taglio non occidentale, ispirandosi principalmente ai nativi americani, all’Africa e al Sudamerica5.
Il termine che meglio esemplifica questa rivoluzione culturale e sociale è flower power: come meglio spiegare la resistenza pacifica del tempo se non con un fiore, divenuto simbolo di non-violenza e armonia tra gli uomini. I designer del tempo hanno tenuto conto dello spirito di ribellione diffusosi negli anni ‘60 e, ben presto, anche la moda è arrivata a riflettere questo cambiamento: i fiori hanno cominciato ad occupare le stampe degli abiti con ghirigori complicati e colori accesi, ma anche infilati tra i capelli o intrecciati in coroncine. L’incredibile influenza di questo periodo si sente ancora adesso e un contributo fondamentale è stato dato da uno dei più grandi eventi di quel periodo, ovvero Woodstock6 nel 1969.
Ancora oggi, in particolare negli ultimi anni, lo stile hippie viene adottato per i festival musicali, sia nel vestiario che nelle acconciature: ad esempio, basta menzionare il Coachella7, un altro festival musicale che, dal 2001 ad oggi, ha continuato a crescere in popolarità anche grazie ai look eccentrici8 che le celebrities vi presentano.
Come abbiamo visto il motivo floreale, simbolo primo della rinascita della primavera e del ritorno della natura dopo il lungo e freddo inverno, è sempre stato utilizzato nell’abbigliamento in numerosissime culture ed epoche diverse. La contemporaneità non fa eccezione: anche oggi, i designer continuano a farsi ispirare dai fiori, dai loro colori e dalle loro forme, dalla delicatezza e fragilità, ma anche dalla loro morte. Gli esempi sono innumerevoli ed è molto difficile, in certi brand e stilisti, trovare collezioni che non contengano dei fiori, declinati in centinaia di forme diverse.
Quando abbiamo pensato di scrivere un articolo al riguardo, il primo capo che abbiamo ricordato è anche un capo storico, uno degli abiti più riconoscibili del designer, parte della collezione S/S 2007 di Alexander McQueen, denominata “Sarabande”, è una delle più famose e apprezzate del compianto designer inglese. La passerella in parquet scricchiolante, con in sottofondo un quartetto d’archi, sopra agli ospiti e alle modelle dei lampadari di cristallo… l’atmosfera era rarefatta, quasi onirica, e lo show rappresentò l’esaltazione e la messa in scena nella contemporaneità di una certa estetica eduardiana che McQueen ha sempre amato. Le modelle algide dallo sguardo serio, quasi incattivito, i loro volti incipriati in maniera pressoché comica, uniti alle loro acconciature alte, gonfissime e volutamente disordinate, sono diventati gli aiutanti perfetti per l’ode di McQueen ad un singolo fiore, il suo fiore prediletto e anche IL fiore per antonomasia: la rosa.
Il look d’uscita finale, indossato da Tanya Dziahileva, era un abito da sera, con spalline alte ed imbottite, la gonna ampia e, soprattutto, completamente ricoperta di rose vere. Osservando il momento di uscita della modella bielorussa, all’epoca appena quindicenne, si avverte una sorta di magia, un timore antico nei suoi confronti. Procedendo nella camminata, lenta, imperiosa e malinconica, il vestito perde continuamente le sue rose, lasciandole sulla passerella e segnando una strada di fiori ormai morti.
La rosa ha sempre avuto un significato speciale nell’opera artistica di McQueen: compare fin dalle sue prime collezioni, incisa a laser su pelle nera.
Nella collezione “Sarabande”, le rose vengono usate come imbottiture delle spalline in alcune giacche e continuano, ancora oggi, ad essere parte integrante dell’identità del brand grazie all’opera di Sarah Burton, braccio destro di McQueen fino alla sua morte, e ora direttrice creativa. Nel 2019, è stata aperta una mostra, intitolata semplicemente “Roses”, nella boutique di McQueen a Londra, per celebrare la bellezza di questi fiori e il loro ruolo nel contesto creativo del designer inglese. Una video-intervista9 di Sarah Burton accompagnava la visita, nella quale si spiegava la motivazione dietro alla scelta della rosa, dicendo:
«To me, it’s the queen of flowers, the most British flower of all, a symbol of femininity. I love the fragility and splendor of it, the idea that it represents birth and rebirth and the whole life cycle, which has beauty as a bud and a beauty through its decay. It has a strength and a power. It almost represents a woman, to me. It has a beauty and a strength but a fragility in the fact that it will inevitably wither and die, but is just as beautiful then as it is at the beginning of its life span».
Sarah Burton
Proseguendo nel nostro percorso di analisi del concetto floreale nella moda contemporanea, non si può non citare l’interpretazione forse più teatrale degli ultimi anni. La collezione S/S 2018 di Moschino, partorita dalla mente di Jeremy Scott, non è sicuramente stata la collezione più apprezzata del designer e neanche una delle più famose, ma non ha fallito di certo nel darci una visione surrealista del fiore, proponendo non solo l’utilizzo di quest’ultimo nei vestiti, ma facendo diventare i vestiti e le modelle stesse dei fiori.
Orchidee, rose, magnolie e interi bouquet, come quello indossato, nel vero senso del termine, da Gigi Hadid nel finale. La collezione era il trionfo di una visione surrealista estremamente camp, dissacrante, ironica e parodica insieme, ma anche un velato riferimento al lavoro di Franco Moschino, il fondatore del brand. Da Jeremy Scott non ci si aspettava niente di meno, d’altronde è lui quello che, negli ultimi anni, ha vestito le modelle con bambole di dimensione umana, ha utilizzato il cartone da imballaggio come materiale di lusso, ha mandato in passerella abiti bruciati per metà e, infine, ha messo un lampadario sulla testa di Katy Perry al Met Gala del 2019.
L’ultimo esempio di utilizzo dei fiori nella moda è, forse, quello più intimo, più segreto e meno teatrale, ma ugualmente potente. Lo stilista Dries Van Noten è riconosciuto per l’esteso utilizzo dei fiori, dei motivi e dei rimandi floreali nelle sue collezioni: probabilmente, non esiste neanche una sua collezione che non contenga almeno un capo floreale. La collezione A/W 2019, però, rappresenta un punto di svolta nell’utilizzo dei fiori per il designer belga. Innanzitutto, si noti come Van Noten sia tanto un designer quanto un giardiniere, che, da ben trent’anni, trascorre il suo tempo libero a curare il giardino della sua abitazione ad Anversa. Egli ha sempre diviso queste sue due passioni «tanto quanto Chiesa e Stato»10, ma si è continuamente chiesto come poterle far collidere e unire: con questo obiettivo in mente, nasce la collezione A/W 2019 dopo aver deciso non solo di usare stampe floreali, ma di utilizzare stampe floreali create partendo proprio dai fiori del suo giardino. In un documentario11 sulla nascita della collezione, vediamo lui e il suo team cogliere i fiori e fotografarli davanti ad uno sfondo monocromatico. Infatti, queste foto diventeranno, poi, le stampe da usare su abiti di seta, giacche, top di chiffon e trench. L’aspetto più interessante in questa collezione è il profondo contrasto che Van Noten sottolinea fra le sue due passioni: mentre la moda corre velocissima, imponendo a chi ci lavora a ritmi serrati e spesso dannosi, Madre Natura costringe all’attesa, obbligandoci ad aspettare la fine dell’inverno per veder sbocciare i fiori e, in questo ciclo naturale, sempre uguale a se stesso, riesce comunque a meravigliarci ogni volta.
I fiori che Van Noten utilizza in questa collezione non sono perfetti né appena sbocciati, anzi lo stilista sceglie proprio i fiori imperfetti alla fine del loro ciclo di vita, di fine estate, e proprio in questa scelta risiede il senso del suo lavoro come giardiniere e designer. Van Noten ci fa osservare come il fiore appassito sia anch’esso portatore di una bellezza “strana”, naturale e malinconica, ma potentissima nella sua essenza e, allo stesso modo, della sua visione estetica, che è la ricerca costante di un momento effimero, di una bellezza dotata e non danneggiata da imperfezioni.
Insomma, che si tratti di diverse specie, stagioni o trend, i fiori sono sempre riusciti a rimanere “in tendenza” per migliaia di anni, adattandosi alle nuove mode e ai metodi di manifattura. Finché ci saranno fiori, i designer continueranno a farsi ispirare da questi veri e propri doni della natura.
di Luca Ruffini e Vittoria Tosatto
Note
- Per maggiori informazioni e foto riguardo l’utilizzo di stampe floreali nella storia: https://www.the-sustainable-fashion-collective.com/2014/10/08/flower-fashion-ages
- Fu un movimento artistico di fine Ottocento per la riforma delle arti applicate (ovvero la progettazione e decorazione di oggetti per renderli esteticamente gradevoli), in reazione all’industrializzazione galoppante del periodo.
- Noto anche come Art Nouveau, si rafforzò sulla scia dell’Arts and Crafts. In risposta alle conseguenze negative dell’industrializzazione, ebbe come fonte primaria di ispirazione la natura e la sua perfezione formale.
- Un metodo di tintura, realizzato annodando parti del tessuto affinché non assorbano il colore in maniera omogenea, e creando quindi delle macchie a effetto psichedelico.
- Per maggiori informazioni e foto a riguardo: https://www.madflowers.com/blog/the-flower-power-era-fashion-in-the-60s/
- Il nome completo era “Festival della Musica e delle Arti di Woodstock”. Era una manifestazione tenuta a Bethel, città rurale nello stato di New York, all’apice della diffusione della cultura hippie.
- https://en.wikipedia.org/wiki/Coachella_Valley_Music_and_Arts_Festival
- https://style.corriere.it/moda/coachella-2022-look-gallery/
- L’intervista di Sarah Burton è irreperibile online, ma per completezza alleghiamo un articolo di spiegazione della mostra: https://www.vogue.co.uk/fashion/article/alexander-mcqueen-roses-exhibition-london
- L’articolo e il video della creazione della collezione: https://www.anothermag.com/fashion-beauty/11829/dries-van-noten-garden-antwerp-autumn-winter-2019-collection-show-interview
- Ibidem
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[…] scontato e ripetitivo affrontare il tema della bella stagione, dato che le abbiamo già dedicato un editoriale ben due anni fa. Perciò, questo mese L’Eclisse vi conduce nell’affascinante e misterioso mondo […]