“First thought, best thought”
Succede tutto per caso e poi sta a noi tessere la rete di associazioni che porta il nome di senso. Forse Penelope, in attesa del suo Ulisse, tesseva per sé e sé sola per cercare un senso, poiché il caso non provvedeva ad una svolta.
Molto tempo addietro, forse quattro o cinque anni fa, vidi Giovani Ribelli (Kill Your Darlings è il titolo originale). La mia intenzione era tutt’altro che quella di rivivere gli inizi della futura “brigata” (mi si passi il termine vista la matrice anticapitalista e anticonsumista del movimento) dei poeti e degli scrittori della Beat Generation. Del resto, la letteratura era ancora lontana dall’essere il mio principale interesse.
Non mi ricordo esattamente come avevo scoperto del film, ma doveva essere avvenuto googlando “film gay da vedere” oppure dovevo essermi imbattuto nel titolo di qualche video YouTube dedicato alla cinematografia a tematica LGBTQ+. Proprio ora, mentre scrivo questo pezzo dedicato all’anniversario della morte di Allen Ginsberg [avvenuta il 5 aprile 1997, NdR], scopro che il film ha come trama le vicende ambientate alla Columbia University che hanno portato all’omicidio del giovane professore David Kammerer ad opera del suo amante Lucien Carr. Possiamo dire che Carr è stato il primo vero amore non corrisposto di Ginsberg, ma anche colui che, per primo, lo ha indirizzato ad un anticonformismo che, poi, sarebbe stato programmatico per tutta la Beat generation, culminando il 7 Ottobre 1955, quando cinque poeti Beat, tra cui Ginsberg, hanno letto le loro poesie alla Six Gallery di San Francisco.
Fu in quel giorno che Ginsberg recitò il suo Howl, lunghissimo poema di denuncia contro la società capitalista statunitense del dopoguerra e che inizia proprio così:
Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, / trascinarsi per strade di ne*ri all’alba in cerca di droga rabbiosa, / hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata / nel macchinario della notte, / che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando jazz.
Beat come beatitudo; beat come battuto; beat come il battito del jazz.
Quale sfinge di cemento e alluminio gli ha spaccato il cranio e ha mangiato / i loro cervelli e la loro immaginazione? / Moloch! Solitudine! Sporco! Bruttezza! Ashcan e dollari irraggiungibili! / Bambini urlanti sotto trombe delle scale! Ragazzi che gemono negli eserciti! / Vecchi che piangono nei parchi!
È il denaro ad aver infettato le menti ed averle svuotate, è il sistema che rende impossibile la bellezza.
Questa, come altre sue poesie tra cui A supermarket in California, denunciano il fallimento della “American Way Of Life” e mettono in luce la desolazione di tutte quelle realtà più marginali e comunità escluse dal benessere borghese.
Scrive Marjorie Perloff, acclamata critica di poesia contemporanea che ha avuto l’occasione di incontrare più volte di persona Ginsberg: “Una delle ultime volte che vidi Allen fu mentre facevo la spesa da Gelson, che è proprio l’incarnazione della sua poesia A supermarket in California. Era in coda alla gastronomia, stanco, malato, distratto, oramai senza più le forze per l’attività preferita dal suo Whitman, ovvero adocchiare i commessi del supermercato.”
Come Whitman e poi Ezra Pound, anche Ginsberg ha voluto esplorare le possibilità di una poesia non costretta dalla forma, affidandosi solo alla prosodia come collante per i suoi componimenti. Esplorare le possibilità di scansione del verso era diventata una delle ossessioni dei suoi ultimi anni, mentre, in quelli della gioventù, invece, era la voce intuitiva dell’ispirazione a guidarlo: celebre è l’episodio dell’allucinazione uditiva avuta da Allen durante la lettura di una poesia di William Blake.
A mio avviso, pur non avendo raggiunto le vette eliconiche di Whitman o Pound, di Rimbaud o dell’Eliot nella sua Terra desolata, il più grande merito di Ginsberg è forse quello di essere rimasto testimone sano – o comunque poco corrotto – di una scena sorprendente, mutevole e incredibile. Inoltre, egli ha certamente avuto il coraggio di resistere alla tentazione della “normalità” per essere osservatore delle grida e degli urli di giovani perduti che, così come i Proci con Penelope, ronzavano attorno a lui. Ciononostante, lui è sempre rimasto amico fedele del suo “Ulisse”, ovver Jack Kerouac, aiutandolo ad emergere sulla scena letteraria americana.
Celebrando Ginsberg si celebra la letteratura stessa, ovvero la scelta di chi si mette nella posizione di osservatore piuttosto che di attore, di chi decide di raccontare e non di vivere, di chi rinuncia alla vita per il racconto della vita che forse è l’unica cosa che sopravvive alla vita stessa.