La scoperta dell’acqua calda
L’esistenza dell’essere umano sulla faccia della Terra è costellata da innumerevoli sogni e fascinazioni.
Pensiamo, ad esempio, al controllo delle acque: partendo da Mosè che guida gli israeliti attraverso il Mar Rosso, abbiamo tagliato istmi e collegato oceani, bloccato le maree e sbarrato corsi d’acqua. Dal primo volo di Icaro e Dedalo per fuggire dal labirinto di Creta, siamo passati ad avere ogni giorno oltre 100.000 voli 1 commerciali che in sicurezza solcano i cieli. O anche, l’equipaggio dell’Apollo 11 che il 20 luglio 1969 portò il suo equipaggio sulla luna, esattamente come Astolfo di Ariosto fece cinquecento anni fa. Tra tutti questi sogni però ce n’è uno ancora irrealizzato e che, purtroppo, resterà tale per sempre.
I primi tentativi di realizzare macchine e congegni vari per l’ottenimento del moto perpetuo si perdono
nella storia; le prime tracce scritte risalgono al Rinascimento quando anche indiscusse geniali menti come
quella di Leonardo da Vinci si inserirono nel dibattito sul tema, famosi sono i disegni e i progetti di
quest’ultimo contenuti nel Codice di Madrid 2 . Per chiarezza: con “moto perpetuo” si intende un movimento assunto o impresso, a un oggetto o corpo, che non si esaurisce nel tempo, e che quindi si autosostiene e autoalimenta senza l’ausilio di qualsivoglia fonte energetica esterna (no a motori o batterie, no alla forza di vento, acqua, trazione animale o umana, no a corrente elettrica né calore).
L’oggetto raffigurato nella figura sopra, risalente al XVII secolo, è uno dei più semplici esempi di macchine a moto perpetuo pensate nel passato, in particolare si tratta del cosiddetto Vaso di Boyle (sì, proprio lo
stesso signore della famosa legge chimica3) e così funzionante: l’acqua nel serbatoio avrebbe risalito il tubo ricurvo, via via sempre più stretto, e, vuoi per capillarità 4 , vuoi per effetto sifone, sarebbe dovuta tornare nel serbatoio e instaurare così un moto perpetuo dell’acqua. Potrebbe sorprendere al giorno d’oggi che personaggi del calibro di Da Vinci o Boyle si siano dedicati allo studio di tali sistemi; a loro va però riconosciuta la scusante di averli progettati ben prima che vi fossero gli strumenti scientifici che sanciranno, in seguito, l’ormai nota impossibilità di realizzazione. Infatti, la comprensione delle leggi fisiche alla base della irrealizzabilità del moto perpetuo risale al XIX secolo quando, nel pieno dei ruggenti anni della Seconda Rivoluzione Industriale, le esigenze di indagare l’oscuro mondo dell’energia portano Lord Kelvin (William Thomson) e Rudolf Clausius a formalizzare una nuova branca della fisica: la termodinamica. Invece, è realmente sorprendente (o forse avvilente) come progetti per macchine a moto perpetuo vengano presentate in continuazione negli uffici brevetti di mezzo mondo ancora adesso. Già solo una veloce ricerca, in inglese, nel database dell’European Patent Office (https://www.epo.org/) della stringa “macchina a moto perpetuo”, restituisce ben 3845 ricorrenze! Immaginate quante persone e società hanno speso tempo e soldi per sottoporre a brevetto un qualcosa falsificabile da un qualunque studente di quarta liceo. Potremmo quindi affermare che i detentori di questi tremila e rotti brevetti abbiano tutti scoperto l’acqua calda, sia nel senso che hanno scoperto l’ovvio (le loro invenzioni non funzioneranno mai) sia nel senso storico e letterale: infatti, la termodinamica è nata e si è sviluppata a braccetto con la macchina a vapore, ovvero con la scoperta dell’acqua calda come fonte motrice.
Non vorrei però giungere al cuore dell’articolo, ovvero i principi della termodinamica di Kelvin e Clausius, in modo scolastico. Partiamo invece dal 1712, anno in cui l’inventore e scienziato inglese Thomas Newcomen brevetta la prima macchina a vapore, un marchingegno molto semplice, rappresentato nelle due immagini qua sotto. È composta da una caldaia a carbone con dell’acqua all’interno (A), una camera cilindrica, detta appunto cilindro (B), le cui due basi superiore (D) e inferiore (C) sono rispettivamente una parete mobile, chiamata pistone, in grado di scorrere su e giù per il cilindro e una valvola, ossia un sistema che permette di aprire o chiudere un passaggio verso l’esterno del cilindro, consentendo o meno un passaggio di materia.
Viene facile intuire la motivazione del perché si sia così desiderosi di ottenere il moto perpetuo; se vi fosse un modo di ottenere perpetuamente il moto del pistone senza utilizzare, e comprare, il carbone per la caldaia risparmieremmo un costo operativo. Tuttavia, osserviamola in moto e analizziamo cosa avviene: in una prima fase la caldaia scalda l’acqua ivi contenuta fino al punto di ebollizione e la fa diventare vapore. Quest’ultimo, visto che la valvola è aperta, fluisce naturalmente nel cilindro portando il pistone ad alzarsi, aiutato anche dal moto a favore di gravità del peso (K), e ad aumentare il volume interno del cilindro. Si ricorda infatti che la stessa quantità di acqua allo stato di vapore occuperà un volume maggiore che se conservata allo stato liquido. La seconda fase inizia quando il pistone è al massimo della sua altezza e pertanto, anche il volume interno del cilindro pieno di vapore è al massimo valore. Per proseguire nel ciclo, dovremmo inventarci un modo per vincere la gravità e risollevare quel peso (K) che ora è al punto più basso: come procedere? Se, come visto prima, l’acqua nel passare da liquida a vapore aumenta di volume, nel percorso inverso, il volume diminuirà: chiudiamo la valvola alla base del cilindro così che non vi sia scambio di materia con l’esterno e spruzziamo dell’altra acqua fredda (P) verso il cilindro pieno di vapore. L’acqua fredda abbasserà la temperatura il vapore all’interno del cilindro (che quindi tornerà ad essere liquido), diminuirà il suo volume e, dato che la camera è sigillata dalla valvola chiusa, per controbilanciare questo cambio di volume il pistone si abbasserà e richiamerà con sé il peso.
Apriamo ora il polveroso libro di fisica del liceo e leggiamo primo e secondo principio della termodinamica: “L’energia interna di un sistema termodinamico isolato è costante” ed “È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo senza l’apporto di lavoro esterno”. Ma come si applicano queste due leggi fisiche alla macchina a vapore di Newcomen del 1712? E come ci sono utili all’obiettivo di dimostrare l’impossibilità del moto perpetuo?
Dall’analisi del funzionamento della macchina a vapore abbiamo visto come nella prima fase la
combustione del carbone fornisca energia all’acqua che, dapprima si scalda, e poi evapora; pertanto,
l’energia fornita dal combustibile è stata assorbita dall’acqua e immagazzinata al suo interno sotto forma di un aumento di temperatura, testimoniato anche dal passaggio di fase da liquida a gassosa. La seconda fase, invece, comprende la condensazione del vapore racchiuso nel cilindro e la risalita del grave ad una quota maggiore di quella di partenza. In altre parole, l’energia immagazzinata nel vapore è stata in parte ceduta al peso, che ora si trova più in alto di prima, e in parte è stata ceduta all’acqua utilizzata per condensare, quindi raffreddare, il vapore.
Notiamo come al termine della seconda fase di fatto ci si trovi nelle condizioni iniziali, se ne deduce quindi
come tutta l’energia data dal carbone al sistema sia poi stata ceduta al grave e all’acqua di raffreddamento: l’energia interna di un sistema si conserva, abbiamo ricavato il primo principio della termodinamica.
Se applicassimo questo principio al vaso di Boyle, noteremmo che in quel sistema isolato – cioè senza apporti energetici esterni – l’unica energia disponibile sarebbe quella potenziale gravitazionale o, per dire più semplicemente, l’energia di caduta dell’acqua contenuta all’interno. Non è possibile che l’acqua nel tubo di ritorno superi il livello da cui è partita, altrimenti, al termine, avremmo più energia in un sistema isolato rispetto alla partenza, una situazione che viola il primo principio! Infatti, macchine del genere che vorrebbero avere in uscita una quantità di energia maggiore di quanto immessa in partenza si chiamano “di prima specie”, proprio perché violano il primo principio.
Esistono anche macchine che vorrebbero basarsi sul cosiddetto moto perpetuo “di seconda specie”, cioè
congegni violanti il secondo principio della termodinamica. Torniamo alla macchina a vapore del 1712 e
immaginiamo di farla funzionare per qualche tempo, fino al suo ingresso a regime, secondo quanto visto
prima. Immaginiamo ora di togliere il carbone al termine della prima fase, cioè quando l’acqua all’interno
del cilindro è già riscaldata e allo stato di vapore, e il peso (K) si trova alla quota minore. Rispetto alla scorsa analisi, il sistema macchina a vapore avrà un’energia interna maggiore, poiché dalla precedente quantità di energia corrispondente ad acqua allo stato liquido, si passa ora alla quantità corrispondente ad acqua allo stato di vapore. Di conseguenza, ora possiede energia sufficiente a consentire di riportare il peso alla sua quota massima quando il vapore verrà condensato.
Dopo la condensazione, giungiamo a una nuova situazione: grave alla sua altezza massima, acqua nel
cilindro non più come vapore ma condensata, ma assenza di carbone. La domanda è: se lasciassimo cadere il peso alla sua quota minima e riuscissimo a convogliare questa energia sotto forma di calore all’interno dell’acqua nel cilindro, saremmo in grado di far ripartire il ciclo anche senza più carbone che irradia energia? La risposta è no, perché per tornare alla situazione energetica di avvio, manca la quota parte ceduta all’acqua di raffreddamento.
L’animazione su cui finora abbiamo basato il nostro ragionamento in questo passaggio è un po’ ingannatrice: l’acqua di raffreddamento in realtà verrebbe spruzzata sulla superficie esterna della camera cilindrica e non all’interno, e in quantità molto maggiori rispetto all’acqua usata per il ciclo a vapore all’interno del cilindro. Una volta chiarito questo punto, è facile comprendere come l’acqua del ciclo, una volta condensata da quella di raffreddamento, sia sì liquida, ma comunque a una temperatura elevata (poniamo 80 °C). L’acqua di raffreddamento invece, al termine della condensazione, non sarà più fredda come all’inizio, ma comunque non calda come quella di ciclo: diciamo 50 °C. Per poter restituire anche questa quota parte di energia e poter iniziare un nuovo ciclo senza l’ausilio del carbone, dovremmo trasferire calore da una sorgente a 50 °C verso una a 80 °C, da un corpo freddo verso uno più caldo! Infatti, il secondo principio della termodinamica dice che non è possibile trasferire calore da un corpo più freddo verso uno più caldo senza l’apporto di lavoro esterno. Immaginare una macchina che faccia fluire naturalmente il calore dall’acqua di raffreddamento a quella di ciclo è una macchina a moto perpetuo di seconda specie e, ovviamente, dato che viola il secondo principio, non può funzionare.
Questo significa che è sempre impossibile portare calore da una fonte fredda verso una più calda?
Certamente no, basta pensare a un frigorifero o a un condizionatore: portano l’energia termica di una cosa fredda, ad esempio la camera da letto a 30° C, verso una cosa calda, l’esterno di una giornata estiva a 40°C. Trasferire calore verso un corpo più caldo sì può fare ma a patto di rispettare il secondo principio, fornendo quindi del lavoro da una fonte esterna. Serve necessariamente un motore, della corrente elettrica, o altre fonti energetiche che non siano altro calore.
Ma se quindi applicassimo questa fonte energetica esterna, e forzassimo lo scambio da acqua di
raffreddamento ad acqua di ciclo, potremmo realizzare un nuovo ciclo della macchina a vapore senza l’ausilio del carbone? Certo, però non avremmo una macchina a moto perpetuo perché il suo
funzionamento è basato sull’apporto di una fonte energetica esterna.
Giunti a questo punto, sarebbe davvero interessante addentrarci in un’altra grandezza fisica, fondamentale
e strettamente correlata a questo tema: l’entropia. Tuttavia, la termodinamica è stata sviluppata lungo un
secolo, non la si può racchiudere tutta in un solo articolo, perciò, per il momento meglio fermarsi qua. Se
però la curiosità ha la meglio, niente vi ferma dall’andare su internet, cercare “macchine a moto perpetuo”
e divertirvi a capire se si tratta di macchine di prima o seconda specie e trovare in che punto del flusso
logico si incappa nella violazione dei principi della termodinamica (perché sicuramente ci sarà). Infatti, sarà
pure vero che le vie del Signore sono infinite, ma spesso ci si dimentica che tutte le strade portano a Roma, e qualsiasi via si possa intraprendere per ottenere il moto perpetuo, si giungerà sempre al casello del fallimento.
Note
- https://www.flightradar24.com/data/statistics
- https://brunelleschi.imss.fi.it/genscheda.asp?appl=LIR&xsl=paginamanoscritto&chiave=101493
- Legge di Boyle: legge che governa, in un gas perfetto, la trasformazione isoterma. Fissata la temperatura lungo la trasformazione, il prodotto di volume e pressione è costante.
- La capillarità è quel fenomeno che si manifesta come risalita di un fluido lungo i bordi del condotto in cui è posto. La risalita capillare sarà tanto più manifesta quanto più la sezione di passaggio è piccola. Questo perché a causa dell’energia di legame delle molecole del fluido, esso tenderà a bagnare le pareti del capillare, risalendo, in modo più o meno marcato a seconda della specie chimica coinvolta. Si tenga presente come l’adesione alla parete, presente nell’acqua, possa però essere addirittura assente in fluidi come il mercurio dove la natura dei sui legame porta addirittura a respingersi dalla pareti. L’effetto sifone invece si manifesta nel momento in cui l’intero condotto sia attraversato da un liquido e l’aria o altro gas sia totalmente assente, infatti, in queste condizioni, la pressione agente sul pelo libero del liquido nel serbatoi riesce a spingere il liquido all’interno del tubo anche contro la forza di gravità. La seconda condizione di funzionamento però è quella che l’uscita del condotto sia posto a un livello inferiore al serbatoio di partenza, cosa che nel vaso di Boyle non accade.