Se c’è qualcosa per cui l’estate del 2022 verrà ricordata, è il caldo anomalo (e la caduta del governo, dalle nostre parti). Ma a tenere compagnia nei pomeriggi infernali, oltre a ventilatori e aria condizionata, c’è stata la quarta stagione di Stranger Things, uno dei cavalli di battaglia di Netflix. Le avventure di Millie Bobby Brown e soci sono proseguite, conquistando pubblico, critica e, ovviamente, Internet: Eddie Munson che suona Master of Puppets dei Metallica lo riconoscerete anche se non avete visto la serie (come l’autrice di questo articolo) – oramai Stranger Things è ovunque, anche sulle confezioni dei Ringo. È un prodotto che si nutre di cultura pop, grazie alla forte impronta anni Ottanta che risulta forse più familiare al pubblico odierno rispetto a una serie ambientata negli anni Settanta, soprattutto a livello musicale. E se Master of Puppets ha fatto vibrare i cuori dei metallari, un altro successo discografico è rientrato nelle classifiche estive, ovvero Running Up That Hill (A Deal With God) che – stando ai meme, per quanto mi riguarda – gioca un ruolo chiave in uno degli episodi. Stranger Things ha ridato popolarità alla hit, che già nel 1985 si era affermata in tutto il mondo, e che, nel corso degli anni, è stata più volte riarrangiata e reinterpretata.
Qui sotto, troverete l’originale Running Up That Hill e dieci rivisitazioni; ogni canzone è seguita da una valutazione – non troppo personale ma nemmeno troppo tecnica! – ovvero l’Eclissometro. Potete trovare la playlist su tutti i canali social dell’Eclisse e nel caso qualche cover fosse sfuggita ai nostri radar, fatecelo sapere nei commenti!
L’originale (1985)
ovvero “il Capolavoro”.
Con un iconico riff al sintetizzatore, Kate Bush introduce uno dei rapporti più difficili di sempre: quello tra uomini e donne, spesso separati da incomprensioni e pregiudizi. Ecco allora che uno dei due (non necessariamente la lei) azzarda un’ipotesi al limite del reale, cioè chiedere a Dio di scambiarli di posto affinché i litigi facciano spazio a un’empatia reciproca, assecondando il desiderio di capire l’altro per non ferirsi più – un desiderio che, dopotutto, supera i confini di genere e riguarda tutte le relazioni. Si potrebbe accostare a Running Up That Hill la storia dell’indovino Tiresia, che secondo la mitologia greca assunse sembianze femminili per risolvere la diatriba tra Zeus ed Era su chi provasse più piacere tra uomini e donne, e rispose in favore delle donne, venendo accecato dalla regina dell’Olimpo che aveva sostenuto la tesi contraria.
Al netto di mitologie d’altri tempi e divinità irascibili, Running Up That Hill è un’autentica opera d’arte che riesce a conciliare un testo carico di significato alla strumentazione tipica del periodo, in cui tastiere e sintetizzatori la fanno da padrone. Il risultato è una potente canzone d’amore che emerge dalle note del synth, etereo ma scintillante, come un faro nella nebbia. Il video ufficiale, a mio avviso, riesce a riprendere questa doppia immagine con una luce soffusa, violacea, che permea la coreografia in cui si esibiscono la Bush e il ballerino Michael Herviu. Dalla fine del secondo ritornello la luce però cambia, ogni cosa ritorna al suo colore originario e i due amanti si perdono in un mare di volti di carta che li ritraggono (unica nota un tantino buffa del video, forse). La sequenza finale vede la Bush e Herviu “mirare” a qualcosa (se stessi? Dio?), osservando intensamente l’obiettivo.
Elastic Band (1994)
“Italians don’t always do it better”
Probabilmente, in musica esiste una specie di variante della Regola 34: ogni canzone celebre ha il suo rifacimento in chiave house, dance o nightcore. Questa cover in particolare è stata registrata dal duo italiano Elastic Band, curiosamente omonimo di un gruppo rock gallese di fine anni Sessanta. Internet non fornisce molte informazioni aggiuntive, nonostante questa versione abbia raggiunto la prima posizione in Canada, nella classifica dance della rivista RPM.
Tagliamo subito la testa al toro: è inutilmente lunga. Dura circa un minuto in più dell’originale, della quale snatura il significato alterando la disposizione del testo (per esempio, ripetendo la prima strofa). Qui Running Up That Hill sembra vendere la propria anima in cambio di una piattaforma su cui scatenarsi in discoteca, quando non ce ne sarebbe il bisogno se l’arrangiamento fosse un po’ più vivo, il che è paradossale per il genere di riferimento, la musica house. Con meno superficialità, si sarebbe potuto ottenere un rifacimento migliore. Sarebbe stata una luna e mezza per l’Eclissometro, ma con i simboli Word tocca arrotondare per eccesso!
Within Temptation (2003)
“Se Robin Hood fosse stato un metallaro olandese”
Con questa cover si ritorna a parlare di musica seria: i Within Temptation, band olandese attiva dalla fine degli anni Novanta, omaggiano il brano di Kate Bush con un arrangiamento metal sinfonico che sicuramente risulta accattivante anche per chi non mastica questo genere. La bellissima voce di Sharon den Andel sembra evocare un grido di battaglia con la propria grinta.
Quanto al video, bisogna ricordare che risale al 2003, perciò non è il caso di sparare sulla Croce Rossa. Gli effetti speciali lasciano ovviamente a desiderare, però sono circoscritti a poche scene; per il resto, sarebbe il caso che qualcuno ricordasse alla den Andel che incontrare la propria doppelgänger è un presagio di morte, anche quando è vestita di bianco. Qui la sosia rappresenta una sorta di “forza angelica” che possiede la cantante, raffigurata durante un concerto all’interno di una chiesa. Un po’ bislacco, ma ripeto, il video è del 2003.
L’unica domanda che mi resta riguarda il magico riff iniziale: quelli che suonano sono flauti? Se non sono flauti, allora cosa sono? Qualsiasi sia la risposta, l’effetto mi ha riportata a un’atmosfera quasi medievale, come se la canzone fosse stata utilizzata per un adattamento di Robin Hood.
Placebo (2003)
“Un patto col Diavolo”
È forse la cover più famosa di tutte quelle realizzate, tanto da essere stata utilizzata in numerose serie (The O.C., Bones, The Vampire Diaries), e per alcuni è una sorta di introduzione alla Running Up That Hill di Kate Bush, se non alla sua discografia. I Placebo rallentano il ritmo, mantenendo però la tonalità di partenza, e realizzano una versione a tratti spettrale: se l’originale può essere paragonata a una tempesta di lampi, qui sembra più di stare in una notte buia, nebbiosa, ectoplasmatica, come se la collina del titolo fosse un luogo oltre lo spazio, vicino all’Aldilà. In un’intervista, i Placebo l’hanno descritta come “un patto col Diavolo” più che con Dio, in riferimento al sottotitolo A Deal With God, ovvero il nome iniziale scelto dalla Bush e poi cambiato su pressione dell’etichetta per evitare controversie nei Paesi più religiosi.
Sebbene il singolo sia stato pubblicato una prima volta nel 2003 nell’album Covers, il video è stato realizzato nel 2007 in collaborazione con i fan del gruppo. Decine di volti cantano le parole della canzone con luci, scenari, effetti, espressioni differenti, combinati come le tessere di un mosaico nel montaggio finale: Running Up That Hill si scopre piena di sfaccettature, a seconda dello sguardo di chi compare nella ripresa.
Chromatics (2007)
“VOCE!”
I Chromatics, band elettronica originaria di Portland e attiva fino all’anno scorso, nel 2007 rilasciano una versione synth-pop che, pur essendo un’ascoltatrice non specializzata, trovo divisiva. L’arrangiamento, infatti, è coinvolgente, moderno, azzeccato insomma, ma lo stesso non riesco a pensare della componente vocale, che già al primo ascolto non mi convince. La voce di Ruth Radelet non è affatto brutta, ma forse troppo sospirata, quasi verticale rispetto alla base strumentale. “Qualquadra non cosa”, per dirla in parole povere: sarà il missaggio o qualche effetto acustico, non è dato saperlo, ma la parte vocale sembra lasciare una specie di vuoto, non si armonizza con tutto il resto. Anche qui, due lune e mezza che diventano tre.
Ellevator (dal vivo, 2018)
“Partire col botto, o quasi”
Prima cover dal vivo della lista, eseguita dagli Ellevator per Sirius XM Canada. La loro versione, poi registrata in studio nel 2019, ha sonorità più vicine al rock alternativo di oggi, senza rinunciare però al sintetizzatore. Il riff suonato dalla chitarra crea un piacevole contrasto con la voce di Nabi Sue Bersche, anche se mi verrebbe da chiederle come mai ha cambiato l’attacco del ritornello, dove l’accento passa da “If I only could” a “If I only could”, rompendo in un certo senso la metrica originale – cosa che succede anche nella versione in studio. Nell’insieme però funziona, anzi, ascoltarla come prima canzone invoglia a sentire altri pezzi della band, che ha all’attivo un album pubblicato proprio quest’anno, The Words You Spoke Still Move Me. Staremo a vedere!
First Aid Kit (dal vivo, 2018)
“Less is more”
Le sorelle svedesi Johanna e Klara Söderberg hanno suonato più volte Running Up That Hill dal vivo: nella nostra lista è presente la loro esibizione al Rock Werchter, festival belga che si svolge all’inizio di luglio.
In quanto duo folk rock, la prima cosa che le First Aid Kit fanno è eliminare ogni traccia dello scintillio sintetico anni Ottanta per un arrangiamento acustico che, pur orfano del caratteristico riff, non se la cava affatto male. La punta di diamante sta forse nell’intreccio tra voce principale e secondaria, che esplode verso la strofa finale. Se la resa è così buona in video, dal vivo dev’essere fenomenale, e infatti il pubblico non manca di esprimere il proprio entusiasmo sia prima che dopo l’esibizione. Promosse, senza dubbio.
Meg Myers (2019)
“Semidea”
Tra le rivisitazioni di questa lista, quella di Meg Myers si distingue subito all’orecchio: la sua voce profonda è molto diversa da quella di Kate Bush, più spessa, ma non si incaglia mai, scorre fluida, scandita dalle percussioni che, in questo rifacimento, prende parte dello spazio riservato al synth, senza strafare. Nel complesso, è un brano all’altezza dell’originale, di cui mantiene la luminosità favorendo, però, un’atmosfera più concreta, come se il patto con Dio venisse stretto non correndo su una collina, ma attraverso le piccole cose di tutti i giorni che, alla fine, pregiudicano una relazione sentimentale. Running Up That Hill diventa una canzone più “di sostanza”, in un certo senso, il che è perfettamente in linea con i nostri tempi. Penso che questa versione sia l’erede vera e propria dell’originale.
Peccato solo che il video sia proprio brutto. Non si salva l’aver fatto colorare i fotogrammi a 2130 bambini, né la metafora del bruco che diventa farfalla e vola nello spazio (seriamente?): il continuo cambio di colori dà fastidio, senza dover scomodare l’epilessia fotosensibile dell’avviso iniziale; grazie per il pensiero, ma il video è decisamente bypassabile.
Georgia (2021)
“Scintillio synth”
Qui Running Up That Hill ritorna a scintillare nell’aria, complice la base che strizza l’occhio alla musica pop di oggi; devo dire che, tra tutte quelle che ho ascoltato, questa ha la tonalità che preferisco. Georgia confeziona un brano ballabilissimo, non è difficile immaginarlo trasmesso in una discoteca.
Il video potrebbe essere visto come un omaggio alla danza libera della Bush, anche se il ballerino, Sid Barnes, esegue la coreografia (diversa) da solo; vediamo la cantante apparire di schiena, all’inizio, e poi nel riflesso di due frammenti di specchio, come una sorta di “narratrice”. Il difetto peggiore di questa canzone, secondo me, è che è molto più corta della prima Running Up That Hill.
Pub Choir (dal vivo, 2022)
“Metti una sera a Brisbane”
La descrizione del video recita: “What happens when 1600 strangers have a few drinks, then learn to sing Running Up That Hill in 3-part harmony?”. Succede che vengono i brividi, ma di piacere, ed è quello che ha pensato la stessa Kate Bush, che si è personalmente congratulata con il Brisbane Pub Choir e la sua direttrice, Astrid Jorgensen, per l’incantevole, “utterly, utterly wonderful!” interpretazione di Running Up That Hill. Come la Jorgensen sia riuscita a combinare le voci di 1600 persone è per me un mistero, ma forse non è necessario svelare tutti i segreti del mestiere.
La potenza del video sta nei volti dei partecipanti, luminosi non soltanto per le luci della sala, ma anche per l’emozione che brilla nei loro occhi e sale dalle loro voci. È uno spettacolo bellissimo, guardare per credere.
Raye (dal vivo, 2022)
“Un angelo alla BBC”
L’ultima, ma non per importanza, è la versione live di Raye, giovane cantante R&B britannica. Niente sintetizzatore o batteria elettronica: la magia nasce da tastiera e voce, accompagnate dal riff di chitarra e tre strumenti ad arco (due viole e un violoncello). C’è qualcosa di celestiale nell’esecuzione, come se la cima della collina, il patto divino e lo scambio di posti fossero più che mai vicini. Poteva uscire qualcosa di banale, invece questa versione è tremendamente bella – io continuo ad ascoltarla da una settimana. Una menzione speciale va alle mani della tastierista, dalle dita affusolate e la manicure perfetta!
Quello che ho capito scrivendo questo articolo è che un capolavoro, in musica, non perde mai del tutto la propria bellezza, indipendentemente dagli arrangiamenti improbabili, i cambi di tonalità e metrica o la voce piatta. Running Up That Hill (A Deal With God) è una canzone intramontabile, e ben vengano i reel o i TikTok se si tratta di restituirle un po’ della popolarità sfumata nel tempo. Quello che più conta è scendere ai piedi della collina e capire quali emozioni si celano dietro quella corsa a perdifiato per arrivare in cima.
di Joanna Dema
Sono Joanna, senz’acca e con la J di Just Dance, per quanto sia un pezzo di legno. Non sono molto brava a parlare di me seriamente, perciò preferisco che lo facciano gli altri. Essendo nata nel ’98, dovrei avere più di vent’anni, ma ho iniziato a contarli al contrario perché la gente non me ne dà più di quindici. Pare che a quaranta sia una bella cosa. Si spera di arrivarci, apocalisse permettendo. Spero anche di finire la magistrale in traduzione prima che sia lei a finire me, ma ride bene chi ride ultimo…
Non fiori, ma cioccolatini (a un primo appuntamento)