Concepire l’ignoto
Indagini sullo sconosciuto per la XXIII Triennale di Milano

Unknown Unknowns, “quello che non sappiamo di non sapere”: con questo tema si è aperta, lo scorso luglio, la 23a Triennale di Milano, appuntamento di spicco nel panorama dell’arte contemporanea italiana e internazionale. L’esposizione, che rimarrà aperta fino all’11 dicembre, si presenta come un conglomerato di mostre differenti; tra esse spiccano “La tradizione del nuovo”, riservata alle ricerche di design italiano tra gli anni ’60 e gli anni 90’, e “Mondo Reale”, che raccoglie opere di arte figurativa dedicate all’indagine dell’ignoto a partire dalla realtà terrena.
Una vasta gamma di sguardi sull’arte, riuniti sotto l’unica intenzione di esplorare e comprendere ciò che sfugge alla comprensione logica e razionale; dagli aspetti meno familiari della psiche fino ai grandi misteri del cosmo, passando per le problematiche ambientali e le politiche proposte dalle Partecipazioni Internazionali1, siamo dunque messi nelle condizioni di dialogare con tutto ciò che non sappiamo (o scegliamo di non sapere), in un confronto dai risultati stupefacenti.
Aggirandosi per il meraviglioso palazzo di Parco Sempione,
gli spettatori sono chiamati a fare i conti con una realtà che va oltre a ogni aspettativa, e che tuttavia si materializza davanti ai nostri occhi tramite il mezzo artistico. Da un meraviglioso arazzo di Fontana (rivisitazione di un suo “Concetto Spaziale”), posto in apertura del padiglione italiano, passando per le incredibili partecipazioni di Austria e Polonia – rispettivamente dedicate al mondo biologico e vegetale – e fino alla spettacolare opera multimediale curata dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea): le opere disegnano un percorso che esplora misteri e realtà immaginarie, ponendo l’accento su questioni importanti quali il futuro dell’umanità e del pianeta. Inoltre, è interessante notare come gli spunti proposti dall’esposizione si manifestino in una varietà di forme e tecniche artistiche, con una commistione totale tra forme d’arte figurativa più tradizionali e nuove ricerche, tra le quali la video art e, soprattutto, l’installazione.
È proprio un’installazione a guadagnarsi un posto tra le opere più spettacolari presentate alla 23a triennale: EL di Romeo Castellucci rappresenta infatti, per la sua particolarità e per l’esperienza che riesce a regalare al pubblico, un esempio unico di come l’arte riesca a indagare la realtà, permettendo al visitatore di immergersi completamente nell’opera. Presentata in prima assoluta e visitabile dal 5 al 20 Novembre, l’opera di Castellucci ha accolto durante due settimane un abbondante numero di curiosi visitatori che si sono avventurati all’interno del Teatro della Triennale, inconsapevoli di ciò che vi avrebbero trovato.
Davanti allo spettatore, seduto in platea, la sala si presenta completamente vuota e buia, con l’eccezione di un enorme schermo luminoso innalzato sul palco; la luce fioca proveniente da esso illumina appena l’ambiente, e del fumo artificiale ne permette un misterioso riverbero. Senza alcun preavviso, lo schermo inizia a muoversi, abbassandosi man mano, accompagnato dai rumori secchi e metallici delle carrucole; lo spazio geometrico creato dal rettangolo dello schermo viene così alterato, in un progressivo avvicinamento alla forma di una linea, quasi a ricordare un ideale orizzonte. Improvvisamente, poi, la struttura si appoggia alle assi del palco, mentre un sonoro tonfo getta l’intera platea nel buio più totale. A questo punto, nell’oscurità in cui nulla è percettibile, prende piede il suono: una serie di vibrazioni profonde e continue sono trasmesse tutto intorno alla sala, mentre un flusso d’aria gelida attraversa l’intero teatro. Dopo un interminabile minuto di buio, lo schermo si risolleva, rivelando nuovamente la sua luce, fino a ergersi maestoso sul palco; si innesta dunque un ciclo, ripetuto più volte per la durata totale di 10 minuti.
Quella che EL riesce a creare è un’esperienza totalizzante, che riesce a scuotere a più riprese l’intera gamma sensoriale dello spettatore; dalla vista – messa alla prova dalle forti pulsazioni di luce dello schermo – all’udito, grazie alle suggestioni musicali dell’opera di Scott Gibbons, ogni componente della sensibilità umana è chiamato a un tentativo di comprensione all’interno di un contesto apparentemente infinito e disorientante. Tramite una saggia gestione delle fonti di luce e dell’utilizzo del movimento, infatti, Castellucci riesce a creare uno spazio solo apparentemente statico, messo in moto dal ciclo di salita e discesa dello schermo, e che entra in un rapporto spaziale e temporale con il visitatore. Così facendo, egli costruisce una sorta di “abitudine”, per poi distruggerla puntualmente tramite le minime variazioni di luce che distinguono tra di loro le varie ripetizioni della sequenza.
È senz’altro la fase di buio, punto focale della riflessione dell’opera dell’artista, a costituire il vero e proprio tramite del messaggio dell’opera. Se nell’alternanza di luce e buio si può infatti leggere un parallelo con l’esistenza umana – contraddistinta da una continua alternanza di fasi di lavoro e di riposo, o meglio di esistenza e di assenza – le dinamiche interne all’intervallo di buio sono quelle che rendono palese il collegamento con il tema dell’esplorazione dell’ignoto. Le componenti sonore (ma anche quelle tattili, dovute alla vibrazione causata dal suono e dalla percezione del flusso d’aria) sono infatti leggibili come elementi sconosciuti e – secondo una lettura fortemente connotata socialmente – possibilmente minacciosi. Isolato dal buio e privo di riferimenti, lo spettatore è portato a guardare dentro sé stesso, rivelando la dimensione profondamente intima di quest’opera.
Quel che resta, in definitiva, dell’opera di Castellucci, è dunque la sensazione di vuoto e di mancanza di appigli a cui la ragione possa riferirsi. Ciononostante, il visitatore è spinto fino all’ultimo momento a interrogarsi sull’entità e sulle caratteristiche della minuscola (ma al contempo illimitata) realtà creata nella sala dall’installazione, in una sfida continua alla percezione sensibile e intellettiva che ha molto in comune con ambiti quali la ricerca scientifica e lo studio del cosmo. In questo senso, EL diviene il simbolo e l’incarnazione dell’intento di sperimentazione e di scoperta del Nuovo, in un connubio tra fascino ed eterna domanda che spinge ognuno di noi a chiederci, in fondo, cosa “non sappiamo di non sapere”.
Note
- Le Partecipazioni Internazionali alla XXIII Triennale si dipanano in una serie di 21 padiglioni, ciascuno curato da una diversa nazione; all’interno degli spazi ad esso riservato, ogni Stato mette espone le opere di uno o più artisti del proprio territorio, o ad esso collegati.
di Matteo Capra
Illustrazioni e Grafiche di Eleonora Rocco e Matteo Capra